
«Noi studiamo il mutamento perché siamo mutevoli», scriveva il grande storico dell'età classica Arnaldo Momigliano. «A causa del mutamento la nostra conoscenza non sarà mai definitiva: la misura dell'inatteso è infinita». Questo libro affronta il rapporto mutevole fra ebrei e cultura italiana in un arco cronologico inconsueto: dalla Restaurazione al cinquantenario delle leggi razziali, quando si chiude una stagione e se ne apre un'altra, quella dell'uso pubblico della storia nella quale siamo tuttora immersi. I capitoli ruotano intorno a quei personaggi che sono stati capaci di oltrepassare la siepe nei rari momenti in cui il salto fu loro consentito: il primo sionismo, il modernismo, l'antifascismo e i conti con il fascismo, la battaglia per la libertà religiosa dopo il Concordato e l'art. 7 della Costituzione.
Ideato per la ricorrenza del 150° anniversario dell'unione di Roma all'Italia, il volume si propone di ripensare ciò che la breccia di Porta Pia significò e comportò nel contesto storico, politico e culturale della capitale, dell'Italia e dell'Europa dal 1870 allo scoppio della Prima guerra mondiale. Alla luce dei più recenti orientamenti storiografici, un'équipe d'illustri studiosi, italiani e stranieri, propone dunque ricerche inedite sull'organizzazione politico-amministrativa della nuova realtà urbana, concentrandosi in particolare sui rapporti con la Chiesa, sulle dinamiche tra i diversi corpi sociali, sulle strategie e sui processi di affermazione dei ceti dirigenti, nonché sulle rispettive forme d'integrazione nella realtà di quella che per secoli era stata la città del papa.
Dedicato alla produzione pittorica romana dell'altomedioevo, questo libro è il primo scorcio di una ricerca in corso nell'ambito del progetto Rome aux siècles 'obscurs'. Les lumières de la communication visuelle, Ve-XIe siècles (Fondo Nazionale Svizzero della ricerca, 2020-2023). Sette casi di studio illustrano le strategie metodologiche sviluppate da un gruppo di ricerca multidisciplinare per affrontare testimonianze tra loro diverse per contesto, funzione e tipo di committenza (i mosaici di Sant'Agnese fuori le mura e di Santo Stefano Rotondo, il mosaico e le pitture della cosiddetta aula a sei vani sotto San Martino ai Monti, le pitture del Patriarchio lateranense, di Santa Maria in Cosmedin, di San Giorgio al Velabro e della galleria orientale di San Lorenzo fuori le mura). Le molte novità qui riunite sono prova della vitalità di Roma tra i secoli V e XI, quando si affermò un sistema di comunicazione visiva che plasmerà nel tempo il paesaggio figurativo cittadino.
Questo volume costituisce il primo tentativo di scrivere una storia comparata della presenza dei cattolici nelle Resistenze dei vari paesi europei. Basata su un'ampia storiografia in più lingue e sulla rilettura della stampa clandestina, oltre che di svariate testimonianze, la ricostruzione delle vicende di paesi come Francia, Belgio, Paesi Bassi, Germania e Austria, Cecoslovacchia e Polonia consente di presentare ai lettori italiani figure di uomini e donne talvolta sconosciuti persino agli storici specialisti. L'analisi segue il filo del rapporto tra cattolici, fede religiosa e ricorso alla violenza. In questa prospettiva intende contrastare la tentazione ricorrente di applicare ai cattolici di allora le categorie dell'oggi, come il pacifismo o l'obiezione di coscienza, insieme all'accusa di essere stati imbelli e "attendisti". L'educazione cattolica di allora non disdegnava infatti di formare anche al dovere militare. Il problema, semmai, era quello della legittima autorità cui obbedire. Queste pagine contribuiscono così a bilanciare la tendenza storiografica che, nel corso degli ultimi decenni, ha posto in primo piano la Resistenza civile, senza armi, a scapito di quella - che pure ci fu - combattente.
Nel 1566, Pio V autorizzò i Conservatori di Roma a concedere libertà e cittadinanza a tutti gli schiavi battezzati che si fossero presentati in Campidoglio. Questo libro ricostruisce per la prima volta la storia eccezionale di queste emancipazioni inquadrandole all'interno dei processi, più ampi e complessi, con cui la società cattolica arrivò a definirsi nel corso dell'età moderna. La gestione romana della schiavitù viene letta in prospettiva globale e in parallelo con l'elaborazione di idee e pratiche intorno alle minoranze religiose e alla loro presenza necessaria (ma sgradita) nella società cristiana. Per Roma, in cerca di soluzioni alla questione delicata e irrisolvibile della diversità, queste emancipazioni furono parte di un progetto di salvezza universale, programmaticamente intollerante e non replicabile altrove.
Cos'è il potere? Come nascono le rivoluzioni? Esiste l'opinione pubblica? Come si formano le generazioni? Per poter porre domande come queste occorre conoscere i concetti fondamentali attraverso cui diamo senso al mondo, e alla storia. Il libro approfondisce questi concetti ed altri ("identità", "cultura popolare", "violenza", "Stato moderno", "Mediterraneo") analizzando il modo con cui sono stati usati nel pensiero storico-sociale e delineando un loro possibile utilizzo al tempo d'oggi. In un momento di profonda trasformazione della concezione della storia, sfidata sul piano mediatico dall'ascesa della cosiddetta memoria storica, c'è bisogno di una maggiore consapevolezza dell'uso dei concetti che usiamo, che sono poi quelli che ci consentono di orientarci, di capire il presente, e il passato. Ecco perché è cruciale conoscerli, questi concetti. Per non usarli senza sapere. Per non obbedirgli senza volere.
Russia, seconda metà dell’Ottocento. La questione ebraica diviene argomento di dibattito pubblico sulle pagine di giornali e riviste. Brafman pubblica Il libro del Kahal, e scatena le fantasie più pericolose dei giudeofobi russi. Kahal, da termine indicante la forma di autogoverno delle comunità ebraiche dell’Europa orientale, acquisisce ora il significato di potenza occulta che, attraverso una cospirazione planetaria, attua il programma di dominazione del mondo, dirige la mano armata del nichilismo nel suo attacco all’Europa, e realizza il progetto di disgregazione fisica e morale dell’Impero russo.
A che punto si diffonde in Russia l’idea dell’esistenza di questo kahal segreto? Perché diviene una vera e propria fissazione per un numero crescente d’intellettuali, di letterati, di funzionari, di personalità di governo dell’Impero? In che modo, dunque, la giudeofobia, da sottotesto narrativo, diviene un’accusa reale capace di scatenare terribili pogrom antiebraici?
Nel presente saggio l’autore risponde a queste così come ad altre domande esaminando la preistoria dei Protocolli dei Savi di Sion, quel testo che, come scriveva Rollin nel 1939, sarebbe divenuto il più diffuso nel mondo dopo la Bibbia. Collocandosi nel panorama dei saggi sull’origine culturale dei Protocolli in un ambiente russofono, L’ombra del kahal si scosta dai lavori più noti sull’argomento, concentrandosi sulle opere in cui la menzogna diventa realtà e fomenta violenza, disprezzo, politiche antiebraiche, e agisce duramente sul corso delle vite di milioni di sudditi russi di fede mosaica.
L’ombra del kahal è, dunque, una profonda analisi letteraria sulle origini, tra storia e mito, dell’antisemitismo russo.
Il volume offre un panorama assai ampio e innovativo su cosa abbia significato e come si sia sviluppata la politica internazionale del papato in età moderna. Oltre a precisare le istituzioni e gli uomini che ne furono i protagonisti, i saggi qui riuniti mettono a fuoco gli obiettivi che il papato si propose rispetto al mondo cattolico, al mondo riformato, ai cristiani delle zone di frontiere con il mondo russo-ortodosso e in Medio Oriente e rispetto agli “infedeli” in Asia e in America.
Tutta la complessità del rapporto papato/politica internazionale è qui fotografata, esaminata, spiegata, compreso il suo essere determinata tanto dal carattere multiplo della sovranità papale e dall’evoluzione dei dibattiti intorno ad essa, quanto dal mutare della concezione della sovranità degli Stati e dalla trasformazione dei rapporti di forza internazionali.
Questo è il primo libro che si occupa in maniera sistematica della storia della città di Roma in un periodo cerniera - fra la crisi del papato carolingio intorno al 900 e l'avvento del Senato nel 1143-1144 - col risultato di offrire una serie di conclusioni originali e inaspettate sia sull'economia e sulla struttura sociopolitica di Roma che sulla sua cultura. Sul finire dell'XI secolo Roma era enormemente più grande e ricca di ogni altra città italiana, ed era quindi dotata di una struttura più complessa e articolata; struttura che, nella crisi del secolo seguente, conobbe prima una cristallizzazione delle sue società locali e poi lo sviluppo di nuove forme di aggregazione, culminate con l'avvento del Senato. Si scopre così che il periodo successivo al 1050, per essere compreso, non va rubricato come periodo di "riforma", quanto di "crisi": così lo vissero i veri protagonisti di questo libro, i Romani. Tuttavia, non solo di Roma si occupa il volume. Wickham analizza nel dettaglio ogni aspetto dell'Urbe, la mette a confronto con esperienze coeve di altre città italiane e, dopo un'esaustiva analisi comparativa, riporta Roma al centro dello sviluppo dell'intera Penisola, rivelandone la natura di città fortemente atipica rispetto al resto d'Italia, ma di un'atipicità finora mal compresa.
Alla Società dei Giacobini di Parigi, sul finire del 1791, Brissot propose una guerra all’Europa intera in nome della libertà dei popoli, ma venne prontamente contrastato da Robespierre, che temeva da quella scelta un drammatico contraccolpo sui precari equilibri della Francia rivoluzionaria.
Brissot avrebbe vinto il duello oratorio, la Francia sarebbe andata in guerra e avrebbe scoperto la Repubblica: ma il tribunale dei posteri sarebbe stato sempre con Robespierre, riconoscendogli il merito di avere resistito alla violenta deriva del patriottismo.
Su questa lettura fan tuttavia premio gli avvenimenti successivi, quando il rovescio delle operazioni militari portò al precipizio Brissot e la Gironda e aprì la via al governo rivoluzionario dominato dal suo avversario. Nella congiuntura politica di fine 1791 il senso delle posizioni dei due era infatti diverso: entrambi favorevoli a una guerra di libertà, si differenziavano giusto per le priorità che intendevano assegnare all’azione politica rivoluzionaria.
Il volume restituisce quel duello oratorio alla propria originale dinamica, proponendo, in uno stretto ordine cronologico, il serrato contraddittorio tra i due, costruito su tre discorsi per parte, dove le argomentazioni dell’uno son puntualmente riprese e criticate dall’altro. In tal modo, le parole di Brissot, mai tradotte in italiano, molto attutiscono l’avventurismo politico sempre addebitatogli e consentono al tempo stesso di rileggere quelle di Robespierre su altro registro rispetto al pacifismo rivoluzionario troppo spesso riconosciutogli.
Pensato come riflessione critica sul ruolo che le donne hanno avuto nel processo di costruzione dell'Italia unita come soggetti attivi e come proiezioni dell'immaginario collettivo, il volume è costruito secondo una sequenza di "generazioni brevi", affrontate ciascuna attraverso un suo tratto caratterizzante, affiancando un quadro generale al profilo di una o più figure che ne hanno impersonato la specificità: Giannina Milli, Erminia Fuà Fusinato, Matilde Serao, Maria Montessori, Margherita Sarfatti, Nilde Iotti, Tina Anselmi, Carla Lonzi. Una articolazione per blocchi ventennali - le "generazioni brevi" appunto - permette di rappresentare al meglio alcune scansioni di fondo della presenza delle donne in quanto soggetti ed emblemi del processo di nazionalizzazione: processo che, soprattutto sul fronte femminile, ha stentato a diventare di massa e che risulta fortemente segnato dalla tensione tra affermazione dei diritti (individuali e collettivi) e pratiche di controllo volte a modellare pensieri, progetti di vita, comportamenti delle donne e, con esse e attraverso di esse, di tutto il paese. Nell'ultima parte, attraverso un ventaglio di riflessioni, il volume dà voce alle contraddizioni in atto nel nuovo secolo, che valorizzano la soggettività delle giovani ma ne imbrigliano la proiezione sul futuro.
In questa monografia l'autore ci conduce in un viaggio attraverso un universo affascinante e poco esplorato come quello della stampa satirica del dopoguerra, individuando nella diffusione della demarcazione fra puro e impuro lo snodo rivelatore di una situazione di ansia legata ai due regimi, con diversi esiti nelle due nazioni. Un'ansia in primo luogo derivante dalle procedure di epurazione del dopoguerra, davanti alle quali la società tedesca e quella italiana si sentirono messe sul banco degli imputati. Ma anche da un disagio più profondo. In questo senso, il ribrezzo provocato dalla diffusione delle immagini dei crimini nazisti favorì una significativa presa di distanza dei tedeschi dall'esperienza della dittatura. Al contrario, in Italia una rappresentazione del fascismo edulcorata ha fatto spazio, nell'opinione pubblica del dopoguerra, a una relazione più ambigua, e ancor oggi non risolta, con la memoria del trascorso regime.