
Nel momento della battaglia, le nazioni, i popoli e gli eserciti mettono in campo tutto ciò che possiedono per ottenere la vittoria: cultura, etica, tecnologia, arte, coesione sociale, inventiva, ricchezza, fede, organizzazione. In un lasso di tempo breve, a volte poche ore, tutto questo si concentra e si contrae in uno spazio esiguo, come in certe catastrofi astronomiche, quando una stella esplode e sprigiona in un singolo istante enormi quantità di energia che si lasciano dietro solo polvere e detriti, e nessun ricordo di sé. Sono infatti innumerevoli, nella storia d'Italia, i racconti deformati, le memorie studiate a tavolino, le dimenticanze volute e anzi ricercate. E così, dalla scaramuccia all'epopea, dalla vittoria strategica alla battaglia campale, spesso la Storia non lascia alcuna traccia nei luoghi dov'è passata. Il viaggiatore di battaglie è allora colui che ostinatamente va alla ricerca di quella polvere e di quei detriti, che si mette in ascolto, in cerca dell'eco e delle vibrazioni superstiti di quella lontana esplosione. Fra monumenti e ossari, musei e manifestazioni, documenti e poesia, Marco Scardigli ci conduce alla scoperta dei grandi campi di battaglia italiani, insegnandoci a leggerne le tracce rimaste o la loro muta assenza. Attraversando più di venti secoli di storia d'Italia, riviviamo allora le antiche guerre combattute in Sicilia; saliamo sulla torre di San Martino e passeggiamo attraverso il Risorgimento; a Marsala e a Caprera inseguiamo Garibaldi e il suo mito; sul Carso ripercorriamo le trincee della Grande Guerra; infine rivolgiamo un pensiero alle tragedie del passato più recente. Perché recuperare la memoria delle battaglie passate non significa tanto celebrare la guerra, quanto preservare la Storia e, con essa, il valore sofferto della pace.
Nel 1899, ricordando i suoi soggiorni in Italia, Lev Tolstoj scriveva alla moglie: «Firenze, è vero, anche a me piace per la modestia e la gradevolezza. Al mio tempo - tuttavia - d'improvviso si cominciò a sciupare: era diventata capitale». Molti dei viaggiatori stranieri che in quegli anni intraprendevano il grand tour lungo le strade italiane rimanevano interdetti davanti ai cantieri che affollavano il centro storico. Osservando gli sventramenti degli stretti vicoli fiorentini, Ruskin rimpiangeva la Firenze immobile di alcuni anni prima, quando era ancora possibile attraversare le stesse strade percorse da Dante. La trasformazione aveva preso il via con l'unità d'Italia, quando i politici sabaudi avevano deciso di spostare temporaneamente la capitale da Torino a Firenze, nella speranza di stabilirla un giorno a Roma, ancora da conquistare. Il ruolo di capitale, seppure provvisoria, aveva reso necessari cambiamenti strutturali che minacciavano l'antica pianta della città: le mura medievali furono abbattute e al loro posto nacquero ariosi boulevard e interi quartieri sorsero a ridosso della città vecchia. Le trasformazioni di Firenze tuttavia non sono paragonabili a quelle che coinvolsero Roma. Dal 1871 le vie dell'Urbe sono invase di calcinacci e ponteggi, mucchi di pozzolana rossa e muraglie di detriti, lastre di travertino e polvere. I borghi del centro demoliti o ridisegnati, gli enormi spazi verdi delle ville patrizie all'interno delle mura - caratteristica peculiare della geografia urbana di Roma - venduti e edificati. Quella che era la provinciale e immobile città dei papi cominciò a crescere a dismisura, senza controllo. Utilizzando le testimonianze e i diari dei viaggiatori del tempo, Attilio Brilli insegue la capitale nel suo viaggio da Torino a Roma, attraverso Firenze, e ci restituisce la cronaca avvincente di un momento decisivo della storia italiana: la nascita di una società moderna, espressione di una nuova classe sociale, che avrebbe cambiato nel profondo la fisionomia delle grandi città italiane.
30 aprile 1945: quando l'Armata Rossa è ormai a pochi metri dal bunker sotterraneo della Cancelleria di Berlino, Adolf Hitler si suicida con un colpo alla testa. Ma l'altro grande dittatore del Novecento, Josif Stalin, detto "la tigre" dallo stesso Führer, non si rassegna alla notizia della morte del nemico e rivale: lo sente simile a sé, in una sorta di «affinità spirituale» che lo affascina fin dalla sfrontata e rischiosa aggressione alla Russia del 1941. Dominato dall'inquietudine, Stalin chiede i documenti delle autopsie, fa interrogare ufficiali e civili e, alla fine dell'anno, ordina ai servizi segreti politici l'avvio dell'"Operazione Mito": un'ambiziosa e dettagliata ricerca sulla vita e la carriera politica del Führer. Il 29 dicembre 1949 il "dossier Hitler" è sulla sua scrivania. Da allora il documento n. 462a, a suo modo sospetto e compromettente, è stato sempre tenuto nascosto negli archivi sovietici, da cui emergerà solo nei tardi anni Novanta. Scopriamo così una sorprendente biografia di Hitler, basata sui ricordi estorti ai suoi assistenti di campo personali, Otto Günsche e Heinz Linge, che restarono al suo fianco fino alla fine, al punto da occuparsi di bruciare il suo cadavere. Le testimonianze dei due restituiscono, oltre ai pettegolezzi di partito e alle strategie belliche, anche gli aspetti più umili e quotidiani della vita del dittatore: gli umori discontinui e le abitudini alimentari, gli scoppi d'ira e le piccole miserie del suo fragile stato di salute. Tutte queste rivelazioni vanno a comporre una curiosa biografia redatta per un solo lettore, e da quell'unico lettore condizionata. Il dossier glissa infatti opportunamente su idee e dottrine non conformi al pensiero comunista, esalta le scene drammatiche e si premura di riportare maldicenze, anche triviali o infondate, pur di soddisfare e blandire il suo lettore. Così, da quello stesso testo, finiscono per emergere in controluce anche la figura, gli interessi e le idiosincrasie di Stalin. In un gioco di specchi sulfureo e affascinante, II dossier Hitler restituisce tutto il sottile antagonismo tra i due dittatori: un contrasto di personalità simili e opposte, un'insolita chiave d'accesso alla tragica storia del XX secolo.
In un mappa universale del genio artistico, è facile immaginare il nome di Leonardo da Vinci in un luogo assai vicino al centro. Eppure, i dipinti attribuiti con certezza alla sua mano non arrivano a venti: un numero davvero esiguo anche per un maestro antico. Non è strano allora che da decenni studiosi e mercanti in tutto il mondo vadano alla ricerca dei suoi capolavori perduti. C’è solo un’opera, però, che sembra condensare tutte le loro ossessioni.
È il Salvator Mundi, ieratica immagine di Cristo dipinta per Luigi XII quando il re di Francia, insieme al ducato di Milano, strappa a Ludovico il Moro anche i servigi di Leonardo, pittore e ingegnere di corte. Se questa piccola tavola – solo 65 centimetri per 45 – fosse rimasta nelle collezioni reali francesi, forse sarebbe da secoli esposta al Louvre; il suo destino, invece, è molto più avventuroso. Portato in Inghilterra come dono per le nozze fra Henrietta Maria di Borbone e Carlo I Stuart, il Salvator Mundi sopravvive ai tumulti delle Rivoluzioni inglesi; viene donato da Giacomo II a una sua spregiudicata amante; viene ereditato, venduto, restaurato, ridipinto al punto da scomparire, lasciando dietro di sé solo la lunga scia di copie dei pittori leonardeschi, e una riproduzione seicentesca dell’incisore boemo Wenceslaus Hollar.
Fino al 2005, quando un dipinto comprato in Louisiana per poche migliaia di dollari viene sottoposto a una radicale pulitura che lascia sbalorditi: quella che emerge sotto la crosta di vernici e ridipinture sembra proprio la mano di Leonardo. Per alcuni esperti è questo l’originale, il primo Salvator Mundi. Di certo, è questa l’opera che il 15 novembre 2017, nella sede newyorkese della casa d’aste Christie’s, viene aggiudicata per 450 milioni di dollari. Petrodollari, per la precisione: Cristo passa dalle mani di un oligarca russo proprietario della squadra di calcio del Monaco a quelle degli Emiri. A ospitarlo sarà il nuovissimo Louvre di Abu Dhabi.
Con il rigore dello storico d’arte e la sensibilità del romanziere, Pierluigi Panza ricostruisce la storia, gli intrighi e i segreti del quadro più costoso del mondo, dipanando i fili di un mistero che lega in modo imprevedibile due mondi: quello del glorioso passato europeo popolato di nobili, artisti e cortigiani, e quello attuale, dominato da capitali finanziari e nuovi ricchi sedotti dall’ambiguo potere delle immagini.
Esiste una direzione della Storia, una strada obbligata che, lungo i secoli, il genere umano ha percorso alla ricerca dell'originario paradiso perduto o di una condizione finalmente stabile e, in certo modo, definitiva? L'affermarsi del modello liberale come unico sistema politico ha segnato veramente l'ultimo tratto della Storia o si tratta, invece, di uno dei tanti momenti destinati a essere travolti da nuovi equilibri? Sono sufficienti la libertà e l'uguaglianza, sia politica, sia economica (raggiunte in una presunta 'fine della Storia') a garantire una condizione sociale stabile in cui ogni uomo possa dirsi completamente soddisfatto? A queste e altre domande risponde Fukuyama in questo volume che ha segnato un punto di estrema importanza nella riflessione politica del Novecento.
All'inizio del 1944, dopo la liberazione dell'Italia del Sud, le truppe angloamericane avanzavano verso il centro della penisola; per raggiungere Roma occorreva conquistare la roccaforte di Montecassino. Gli strateghi tedeschi ne avevano fatto il punto nodale della linea Gustav, la barriera difensiva che attraversava l'Italia dal Tirreno all'Adriatico, con la quale Hitler voleva fermare l'avanzata alleata. Il libro ricostruisce il quadro storico degli eventi che portarono alla sanguinosa battaglia di Montecassino.
Questa è la relazione richiesta dall'imperatore di Spagna Carlo V, dopo le ampie esposizioni orali fatte dal domenicano Bartolomé De Las Casas, sulle distruzioni operate dalle armate spagnole nelle Indie (Antille, Messico, Guatemala, Venezuela, Florida, Rio della Plata). "Io ho deciso, per non essere reo, tacendo, di mettere a stampa..." le ingiustizie e le devastazioni, le rovine e le distruzioni... le opere inique, tiranniche, condannate... esecrabili e abominevoli fatte dagli spagnoli alle genti delle Indie "pacifiche, umili e mansuete". La denuncia più dura e documentata della conquista delle Americhe scritta nel 1542 e tuttora considerata uno dei libri classici per conoscere il massacro dei popoli indios.
Si poteva evitare la Seconda guerra mondiale? E Mussolini che ruolo ebbe nelle "grandi manovre" della diplomazia volte a prevenire il conflitto? A questa ed a molte altre domande cerca di rispondere quest'opera. L'autore ricostruisce la complessa dinamica dei rapporti tra Mussolini e la Gran Bretagna, che procedettero attraverso una prassi di relazioni diplomatiche "non formali", mediante contatti diretti tra il dittatore italiano e gli statisti inglesi (Chamberlain e Churchill, soprattutto). I documenti del Foreign Office e dell'Archivio del primo ministro, analizzati dall'autore, permettono di ricostruire, con retroscena importanti, i veri rapporti tra Londra e Roma fino all'entrata in guerra dell'Italia.
In un momento di grande tensione fra Occidente e mondo islamico e di invito allo scontro dì civiltà da parte dei fondamentalismi politici e religiosi dei due campi, questo libro analizza le radici dell'Europa che provengono dall'Islam. La filosofia, la scienza, la medicina, l'architettura sono aree in cui l'influsso della civiltà islamica è evidente in un processo storico di contaminazione con la civiltà europea spesso arretrata. La scoperta ragionata e fortemente documentata è, oggi, un contributo di grande rilevanza per quanti ritengono che solo il dialogo e la tolleranza sono i terreni di un possibile incontro tra le due civiltà. Un libro coraggioso, perfino provocatorio, scritto da uno studioso della civiltà islamica.
Non possiamo smettere di raccontare la realtà storica dei lager, le ideologie distorte che li hanno generati, le scelte dei singoli che hanno determinato per tanti la vita o la morte.
Questo libro raccoglie documenti, fotografie, testimonianze sulle relazioni tra oppressori e oppressi, la struttura e l'organizzazione dei lager, la grande rendita economica che generarono, insieme a tante storie di abiezione e di eroismo con una cronologia e un lessico essenziale.
Le origini del popolo etrusco sono tutt'oggi misteriose nonostante l'enorme mole di studi. Quel che è certo è che la civiltà etrusca si viene formando nella penisola italiana a partire dal X secolo a.C. per fondersi poi nella cultura romana, con un centro storicamente consolidato in Toscana, Umbria, Alto Lazio. Gli Etruschi ebbero contatti con le principali culture del Mediterraneo, soprattutto con la Sardegna e la Grecia. Ma le manifestazioni artistiche, l'organizzazione sociale, la visione ultraterrena, le ritualità che accompagnavano la loro vita appaiono originali e ben leggibili nella gran quantità di testimonianze che ci sono giunte, dagli affreschi nelle monumentali sepolture di Tarquinia o Vulci alle suppellettili, alla scultura e all'oreficeria.
Il libro indaga sulle vicende del tenimentum Silae, antico demanio della Corona e uno dei più estesi del Regno di Napoli, le cui prime memorie documentate risalgono al duca Ruggiero il Normanno e la cui storia ha influenzato gli svolgimenti politici dell'Ottocento e quelli sociali del Novecento, fino al secondo dopoguerra. Una particolare attenzione è rivolta al secolo XIX, che ha conosciuto le cosiddette leggi eversive della feudalità che hanno influenzato le vicende della Sila, sebbene quest'area ne fosse esclusa -, l'usurpazione dei demani e degli usi civici, e il conseguente inasprimento dei rapporti sociali, tanto che quasi tutto il secolo fu caratterizzato da una forte tensione popolare volta alla rivendicazione degli usi civici usurpati o alla divisione delle terre comunali. Con il passare degli anni, infatti, la piccola borghesia agraria, detentrice delle cariche comunali, si era impadronita delle terre indivise, frammentandole e usurpandone la proprietà.

