
All'inizio del Seicento, nel periodo che si apre con la "guerra dell'Interdetto" tra Venezia e Roma e si chiude con la riconquista asburgica della Boemia, la possibilità di una riconciliazione tra i fronti confessionali appare un progetto realizzabile, quantomeno agli occhi di una minoranza di intellettuali, in stretto contatto epistolare tra loro. Grozio, Bacone e Sarpi, impegnati ai massimi livelli della vita politica, filosofi come Keplero, filologi come Isaac Casaubon, vescovi come De Dominis e Lukaris, pur appartenendo a confessioni diverse, condividono un ideale di riconciliazione religiosa fondato sul rifiuto del primato del dogma sulla convivenza civile e sulla necessità di adottare un cristianesimo essenziale nei suoi tratti dottrinali. Fede, scienza e politica si intrecciano in una compiuta ideologia che attribuisce alla sovranità politica il compito della coesione, che supera il paradigma filosofico aristotelico e il predominio della teologia scolastica e che, per alcuni anni, coincidenti con la prima fase del regno di Giacomo I in Inghilterra, sembra prefigurare un'età aurea di pace, ben presto smentita dallo scoppio della Guerra dei trent'anni.
Nell'Europa del Cinque e Seicento, che rifiuta il mescolamento tra cattolici e seguaci di altre religioni, la Chiesa elabora la categoria speciale dei peccati contro natura. In questo contesto, la sodomia etero e omosessuale viene interpretata come un crimine ereticale, che prevede leggi severissime e, in alcuni casi, la condanna al rogo. La storia della disciplina di questi reati fornisce la cartina di tornasole per comprendere come una polizia della fede - quella inquisitoriale, divisa nei tribunali centrali pontificio, spagnolo e portoghese - allarga la sfera di ciò che considera eresia fino a includervi i comportamenti non conformi alle norme morali introiettate dalla società cattolica. La severità che si registra nella penisola iberica, dovuta anche all'odio contro l'islam e alle presunte empietà contro natura degli indios dopo la scoperta dell'America, viene attenuata dal Sant'Ufficio romano, preoccupato di preservare l'onore del clero, spesso implicato in casi di sodomia.
Nel Medioevo cristiano la morte è onnipresente. Il primo motivo strutturale è di ordine demografico e riguarda l'estrema fragilità dell'esistenza umana nelle società dell'Ancien Régime. Il secondo è rappresentato dal cristianesimo e dalla centralità della morte e della risurrezione di Gesù. I defunti sono continuamente presenti nella preghiera dei vivi e nel paesaggio rurale e urbano, in particolare nei luoghi in cui la giustizia innalza le forche e nei cimiteri, spazi fisici e simbolici che consentono la nascita dei villaggi. La pietà dei laici e, in particolare, delle donne di alto rango si dota di un nuovo testo di preghiera, il Libro delle ore, che permette di rivolgersi alla Vergine, al Cristo della Passione e alla Trinità, ma soprattutto di meditare sulle "ore della morte", sempre evocate. Anche il testamento diviene un obbligo di natura spirituale, oltre che giuridica: regola la successione in favore delle persone più vicine, serve a chiedere perdono a coloro a cui si è fatto torto e permette di fare un'ultima volta e massicciamente la carità ai poveri e ai malati.
Il saggio ripercorre, alla luce degli studi più recenti, la vita e le opere dello storico Flavio Giuseppe, mettendo a fuoco un tema che ha a lungo appassionato gli studiosi: fu un traditore della sua patria o un eroe? Diversi fattori hanno influenzato la risposta a questa domanda, non ultimo l'uso che in chiave anti-giudaica fecero della sua opera i primi cristiani. Una lettura equilibrata dei suoi scritti consente di giungere a una soluzione per certi versi paradossale: la sua condotta, non sempre trasparente nelle prime fasi della guerra giudaico-romana, rende fondata l'accusa di tradimento verso i suoi connazionali, tuttavia il suo odio contro i ribelli, una volta passato nel campo romano, rivela un amore profondo e incompreso per il suo popolo.
Tra il II secolo a.C. e l'inizio dell'Impero la popolazione emigrata a Roma proveniva, per lo più, dalla parte orientale del Mediterraneo, conquistata dalle legioni romane, e anche le divinità straniere avevano la medesima origine. La natura aperta e politeistica del sistema religioso consentiva nuovi culti, che venivano "naturalizzati" in modo completo quando lo Stato decideva di aggiungerli al calendario pubblico, eventualmente conservando il rituale originario. Anche se la società romana dell'Impero classico era aperta e inclusiva, una xenofobia latente colpiva, in particolare, gli orientali per il loro presunto esotismo variopinto ed eccessivo; la tradizione letteraria latina, non senza forzature, si compiaceva di descrivere le loro cerimonie esotiche, caratterizzate dall'uso di lingue barbare e di musiche stordenti, celebrate da sacerdoti abbigliati con vesti eccentriche e dai costumi depravati.
Descrizione dell'opera
Negli ultimi anni della seconda guerra mondiale, una rete clandestina di soccorso opera in provincia di Modena per aiutare gli ebrei perseguitati dal nazismo. Ne fanno parte uomini di diversa fede politica e religiosa, che non esitano a mettere a repentaglio la loro vita per salvare centinaia di persone altrimenti destinate alla morte nei campi di concentramento.
Odoardo Focherini (1909-1944) è uno di questi: giornalista cattolico, padre di sette figli, viene arrestato, deportato e troverà la morte nel campo di lavoro di Hersbruck. Insignito della medaglia di Giusto fra le nazioni dallo Stato d Israele e della medaglia d oro al merito civile dalla Repubblica italiana, beatificato dalla Chiesa cattolica nel 2013, Focherini viene raccontato in questo libro dalla figlia primogenita Olga, che per anni ha conservato e promosso la memoria paterna. Una testimonianza in presa diretta che intreccia storia e ricordi sullo sfondo di uno dei periodi più bui del ventesimo secolo.
Sommario
Introduzione. ; La mia famiglia. ; Parrocchie e giornali. ; «Questo ascensore è vietato agli ebrei». ; La prigionia e le lettere. ; «Signora, vedrà che torna». ; Cronologia di Olga Focherini. ; Fonti. ; Bibliografia. ; Videografia.
Note sul curatore
Odoardo Semellini, figlio di Olga Focherini, è operatore culturale al Comune di Carpi. Ha curato, in collaborazione con Ulderico Parente e Maria Peri, la riedizione delle Lettere dalla prigionia e dai campi di concentramento (EDB 2013) e si occupa dell'Archivio della Memoria di Odoardo Focherini.
La caduta del Muro di Berlino è diventata il simbolo della libertà riconquistata dai popoli dell'Europa centro-orientale sottoposti all'egemonia sovietica alla fine della seconda guerra mondiale. Per i cristiani dell'Est si aprì allora un'era nuova di libertà e di rinascita dopo una lunga stagione di prove. Ogni Paese viveva una situazione diversa e diverse erano le strategie proposte per assicurare la vita delle rispettive Chiese. "C'era chi riteneva di non poter trattare con l'oppressore e proponeva di ritornare nelle catacombe, in attesa di tempi migliori", ricorda il cardinale Sodano. "Però c'era anche chi proponeva che per aiutare gli incarcerati si dovesse trattare con il carceriere". Attraverso le testimonianze di alcuni protagonisti, il volume ripercorre la transizione dal comunismo alla situazione odierna e coglie un fermento sotterraneo nato ben prima del 1989 e della caduta del Muro. Prefazione del card. Angelo Sodano. Introduzione di mons. Antonio Mennini.
«Nel giugno del 1945, a Torino, leggo un annuncio sul giornale. Una famiglia facoltosa sta cercando un precettore di lingua inglese a domicilio. Mi precipito, ma nella fretta sbaglio piano. Mi apre un signore distinto, magro, con gli occhi chiari, in vestaglia di seta. Non vuole saperne di lezioni di inglese, ma io sono senza un soldo, ho bisogno di lavorare e digiuno da almeno dieci ore. Lo convinco che l’inglese è la lingua del futuro. Mi fa entrare. Mi dà da mangiare. Parliamo per due giorni e due notti. Lui è Felice Balbo, conte di Vinadio, ancora convalescente a causa di un malanno contratto da ufficiale del Regio Esercito in Albania. È un uomo complesso e profondo. Intuisce che il marxismo, nelle sue molteplici incarnazioni, altro non è che un’eresia del cristianesimo. Nel modo più insolito, inizia un’amicizia profonda che si interromperà solo con la sua morte».
L’ufficiale tedesco Claus von Stauffenberg, discendente di un’aristocratica famiglia cattolica della Baviera, ebbe un ruolo di primo piano nella progettazione e nell’esecuzione dell’attentato del 20 luglio 1944 contro Adolf Hitler e nel successivo tentativo di colpo di stato. Al complotto parteciparono anche altri militari, tra i quali il generale Ludwig Beck, già capo di Stato Maggiore della Wehrmacht, e il generale Henning von Tresckow, esperto in strategia. L’attentato, denominato «operazione Valchiria» – reso celebre dall’omonimo film con Tom Cruise – doveva avvenire nella sede del quartier generale di Hitler, la cosiddetta Tana del Lupo, a Rastenburg, ma fallì. Hitler sopravvisse quasi incolume all’esplosione, i congiurati vennero arrestati dalle SS e dalla Gestapo, torturati e trucidati senza nemmeno un processo (Stauffenberg fu fucilato alla schiena) e le loro ceneri furono sparse nelle fogne cittadine.
«Nella luce limpida del mattino si disegnava chiaramente il fumo scuro che usciva dai camini dei forni crematori». Con una prosa concisa e stringata, il diario inedito dell’ebreo olandese Jo Koopman giunge direttamente da Auschwitz. Scritto quasi in presa diretta, tra il 1945 e il 1946, questa testimonianza restituisce la vita quotidiana nel campo di sterminio nazista, le paure, le vessazioni, l’incombere della morte. Ma anche la liberazione ad opera dei russi e il lungo viaggio attraverso l’Europa orientale che ricorda quello descritto da Primo Levi nel libro La tregua. «Non fu toccante – scrive Koopman - ma ben deludente, dopo un viaggio così lungo e pieno di emozioni, il nostro arrivo in Olanda», esperienza purtroppo comune a molti dei sopravvissuti alla notte del Novecento.
Un affresco biografico che attraversa momenti cruciali della storia del XX secolo. Si potrebbe definire in questo modo il discorso che Giuseppe Dossetti tenne nella sala dello Stabat Mater dell'Archiginnasio di Bologna il 22 febbraio 1986, in occasione del conferimento del premio Archiginnasio d'oro. In questo libro, il discorso viene introdotto da una ricostruzione storica e biografica di Enrico Galavotti e corredato da uno studio conclusivo di Fabrizio Mandreoli su alcune tematiche teologiche, spirituali e politiche presenti nel discorso e nella vicenda complessiva di Dossetti. In questo secondo intervento si presentano anche alcune annotazioni sulla rilevanza odierna delle prospettive dossettiane per la vita politica, sociale ed ecclesiale italiana e mediterranea.
In una notte di fine giugno del 1915, tre donne, un uomo e un bambino rimasto senza genitori scappano verso le montagne. L'esercito turco ha lasciato nel loro villaggio solo morti e rovine, una delle tante prove del genocidio armeno avvenuto tra il 1915 e il 1922. I cinque fuggiaschi hanno perso tutto, ma riescono a portare in salvo un prezioso libro liturgico conservato da sette secoli in un monastero. È alto quasi un metro e pesa poco meno di trenta chili. È il prezioso brandello di memoria di un popolo massacrato e disperso. Nella lunga e tormentata storia del popolo armeno, da sempre ponte tra Oriente e Occidente, due elementi si sono rivelati fondamentali: l'adesione al cristianesimo e l'invenzione dell'alfabeto, che con le sue 39 lettere segue come un perfetto strumento tutte le sfumature fonetiche di una lingua antichissima. Il destino di testimonianza e di martirio che spesso toccò a comunità disperse e finite sotto il giogo dei più svariati dominatori - dal sultano ottomano Abdul-Hamid II al governo dei "Giovani Turchi" - rese indispensabile il possesso di un "libro", di solito un testo sacro, da portare con sé come prezioso pegno salvifico. Una "casa di parole" per continuare a vivere e poter conservare la memoria religiosa e civile dopo le persecuzioni, i massacri e le umilianti rimozioni che la storia talvolta riserva.

