
Fondato da don Giuseppe De Luca come raccolta di testi non ge­­nericamente religiosi ma significativi di un incontro dell’uomo con Dio, l’«Ar­chivio italiano per la storia della pietà» ha ri­preso a essere pub­blicato nel 1996 aprendosi a prospettive più ampie e non sol­tanto a quelle genericamente individuabili con la religione cat­tolica. Pub­blica saggi che indagano il rapporto che l’uomo ha con l’Assoluto comunque inteso, nel­le religioni monoteistiche come nelle altre religioni, dal­le epoche più re­mo­te fino ai giorni nostri.
Numero monografico: il volume si interroga sui modi nei quali, nella prima età moderna, la materialità di oggetti, corpi, abiti poteva diventare una questione religiosa. A lungo le ricerche sul dissenso religioso hanno privilegiato la dimensione ‘immateriale’, indagando soprattutto le idee, le teorie e le produzioni intellettuali, analizzate nella loro diffusione attraverso testi e immagini. All’interno di una storia sociale della cultura e dei fenomeni religiosi si è fatta strada progressivamente l’esigenza di esplorare anche la ‘cultura materiale’. Ed è proprio in quest’ottica, e raccogliendo suggestioni da altre discipline come l’archeologia, la sociologia e l’antropologia, che sono stati individuati come terreno di studio gli oggetti e le forme della loro circolazione.
Letto da alcuni studiosi come il momento fondativo della laicità, da altri soltanto come fase di cauto rinnovamento delle idee e delle istituzioni religiose, il Settecento presenta spinte contraddittorie: da un lato, la difesa della tolleranza religiosa; dall'altro, la riproposizione di forme dogmatiche delle fedi o addirittura atteggiamenti di fanatismo. Prendendo atto di tali letture contrastanti e tenendo conto delle profonde trasformazioni del secolo, il volume intende soffermare l'attenzione sui rapporti reciproci tra questi cambiamenti e la sfera religiosa.
Il volume prende spunto dal Seminario di studi L'Inquisizione e le donne organizzato nel 2014 dall'Università di Roma La Sapienza insieme all'Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede presso l'antico Palazzo del S. Uffizio (Città del Vaticano). La tematica affrontata è del tutto originale, in quanto prima non era stata mai oggetto specifico ed esclusivo né di trattazione né di convegni né di studi, né di libri o articoli. Il volume intende porsi in un'ottica di genere e cogliere le differenze tra i sessi sul piano della repressione, del controllo e del procedimento giudiziario; in ogni caso riflettere su come la qualità femminile influenzasse dottrine, istituzioni e comportamenti. Avvalendosi di fonti documentarie estremamente varie, il testo raccoglie una serie di saggi che affrontano il tema del rapporto tra l'Inquisizione romana e le donne, sia in qualità di inquisite che di testimoni, in un lungo arco temporale che va dal XVI al XX secolo.
Tra il 1985 e le due importanti visite di Stato del 1988 e 1989 prende forma la peculiare posizione del governo italiano nei confronti del tentativo riformista in atto in URSS, posizione che lo distingue dagli altri componenti del G7. Ne è protagonista Andreotti, che giudicava l'evoluzione del comunismo gorba?ëviano un fenomeno complessivamente positivo per la società sovietica e per la politica internazionale, condividendo in grande misura la visione moderata del «sistema di mercato» e la critica di quelle che Gorba?ëv ancora chiamava le «contraddizioni del capitalismo». Soprattutto, come sottolinea Silvio Pons, Andreotti condivideva con il presidente sovietico la visione di un futuro ordine bipolare senza la Guerra fredda: una visione «legata a un mondo in dissoluzione» che faceva proprio consapevolmente «il problema di costruire un'architettura nelle relazioni tra l'Europa e la Russia/URSS», il cui fallimento corrispose alla rimozione della «coscienza stessa del problema». Passata la prova di eventi epocali come il crollo del muro di Berlino, la riunificazione tedesca, la prima Guerra del Golfo, quella sintonia e il disegno strategico di cui era espressione si sarebbero infatti infranti nella fine dell'Unione sovietica del dicembre 1991.
L'Ajax era la squadra del ghetto di Amsterdam. Ogni domenica, le bancarelle del mercato ebraico chiudevano in tempo per andare a vedere la partita. Poi è arrivato Hitler. Kuper, giornalista e scrittore olandese, racconta la tragedia della Shoah da un'angolazione inedita: quella delle pagine sportive dei vecchi giornali, delle storie dei tifosi e atleti sopravvissuti, degli archivi delle squadre olandesi. L'utilizzo del calcio da parte di Hitler e Mussolini viene calato da Kuper nella cronaca della partita, nella memoria del singolo atto di discriminazione. Il libro contiene un prezioso apparato fotografico: la nazionale inglese che fa il saluto nazista, la faccia di un'ala destra ebrea dell'Ajax, di cui Kuper ricostruisce gli ultimi giorni ad Auschwitz.
Chi sono i "gendarmi della memoria" evocati nel titolo del nuovo saggio di Giampaolo Pansa? Sono tutti coloro - dalla sinistra radicale a molti intellettuali che vi si richiamano ideologicamente - che tengono sotto chiave la memoria della guerra civile, per impedire che chiunque dissenta dalla loro versione ci metta le mani, la "revisioni", racconti verità scomode che possano intaccarne l'immagine oleografica da loro custodita e tramandata nel tempo. Questo libro ripercorre l'esperienza vissuta da Pansa nell'ultimo anno, dopo l'uscita del suo "La Grande Bugia". Un lavoro scomodo, documentato e duro, che rimetteva in discussione il mito resistenziale e il ruolo giocato dai comunisti nel costruirlo, criticando al contempo quanti non accettavano nessuna forma di ripensamento o di autocritica. La reazione contro Pansa è stata durissima, costellata da gravi episodi di intolleranza. Ma l'autore non si è fatto certo intimidire e nelle sue nuove pagine dimostra la validità delle tesi che ha sostenuto, rivelando parecchie delle storie "proibite" dai gendarmi: da quelle di comandanti partigiani comunisti eliminati dal Partito perché dissenzienti rispetto alle sue direttive, al ruolo ambiguo che esso svolse in una zona cruciale come l'Emilia nel periodo successivo alla Liberazione. Insieme a queste, Pansa racconta molte altre vicende della resa dei conti sui fascisti sconfitti, grazie alle testimonianze di persone che, dopo 60 anni di silenzio, oggi parlano.
"Ho fatto solo il mio dovere. Se puoi salvare la vita di qualcuno, è tuo dovere provarci." Con questa semplicità disarmante Jan Zabiriski, direttore dello zoo di Varsavia negli anni della seconda guerra mondiale, ha parlato della straordinaria impresa grazie alla quale lui e la moglie Antonina sottrassero alla furia nazista più di trecento ebrei. È il 1939, i bombardamenti tedeschi devastano lo storico zoo della capitale polacca: Jan e Antonina reagiscono allo sgomento e salvano gli animali superstiti. Ma ben presto il razzismo nazista si accanisce sugli uomini: quando iniziano i pogrom contro gli ebrei, i due coniugi non esitano a trasformare lo zoo in un rifugio per i perseguitati, creando un mondo alla rovescia in cui gli "ospiti" segreti vengono chiamati con il nome in codice degli animali di cui occupano la gabbia vuota, mentre le bestie portano nomi di persona. Al disprezzo per chi è diverso e alla follia di voler imporre alla natura un disegno mitomane, Jan e Antonina oppongono il rispetto per gli esseri viventi, che siano animali in pericolo o ebrei polacchi, "uomini in via d'estinzione". Basandosi sul diario di Antonina e su molte altre fonti storiche, l'autrice ha recuperato dall'oblio una storia vera di coraggio e compassione.
La morte di Mikis Mantakas, lo studente ucciso dopo una giornata di guerriglia metropolitana, è l'innesco di una spirale di violenza che sembra inarrestabile. Vittime e assassini sono giovanissimi, mossi da motivazioni ideologico-politiche, mescolate spesso con l'istinto criminale. Dalle macerie nasce un'ondata di terrorismo animato da un furore omicida scambiato per ansia di liberazione. Da parte nera si teorizza e si mette in pratica lo spontaneismo armato, che ha nei Nar di Fioravanti l'avanguardia più aggressiva e non pochi punti di contatto - nella strategia e negli obiettivi da colpire con il terrorismo di estrema sinistra. I giovani e carismatici "capi" esercitano un fascino torbido e la guerra di strada diventa una sorta di rito di iniziazione per una generazione di ragazzi, bruciata - con il senno di oggi - senza un perché. Questo libro, ultimo atto della "trilogia della celtica", si addentra negli antri più oscuri degli anni Settanta e Ottanta, dando la parola alle vittime, ai testimoni, alle forze dell'ordine e persino agli agenti dei servizi: a tutti i protagonisti di quella che passerà alla storia come una lunga, epica e folle avventura criminale.