
Tra i meriti dello storico americano Rabinowitch vi è quello di restituire alla rivoluzione d'ottobre - di cui Pietrogrado è stato l'epicentro - la sua dimensione concreta, umana e politica, oltre a raccontare con penna sciolta le mobilitazioni che portarono i bolscevichi a rovesciare il governo Kerenski. Ovviamente, non si deve sottostimare il peso giocato nella vicenda personalmente da Lenin, ma questo libro mostra anche quanto il partito bolscevico, lungi dall'essere un'entità monolitica, fosse invece attraversato a ogni livello da contraddizioni e aspri dibattiti interni. I suoi diversi presidi territoriali difatti disponevano di una grande autonomia d'azione, anche su parole d'ordine apparentemente divergenti. Sarà questa duttilità d'azione a permettere loro poi di tradurre le aspirazioni popolari - la terra ai contadini, la fine della guerra - in programma politico generale fino alla conquista definitiva del potere. Si tratta di un approccio innovativo, questo di Rabinowitch, rispetto alla classica storiografia sulla rivoluzione d'ottobre, perché demolisce l'idea che la ragione del successo bolscevico fosse dovuta alla disciplina e all'obbedienza monocorde del partito alle indicazioni di Lenin. La ragione della sua forza era invece da ricercarsi nella sua diversità interna. Con una nuova prefazione dell'autore.
Nel corso della storia le carte geografiche hanno modellato la nostra visione del mondo e il posto che vi occupiamo. In questo libro, Jerry Brotton sostiene che, lungi dall'essere meri strumenti della scienza, le mappe del mondo sono inevitabilmente descrizioni parziali e soggettive, intimamente legate ai sistemi di potere, all'autorità e alla creatività di tempi e luoghi particolari. I disegnatori di mappe non si limitano a raffigurare il mondo, lo costruiscono sulla base delle idee vigenti nella loro epoca. Questo libro analizza il significato di dodici mappe del mondo riprese dalla storia globale, a partire dalle rappresentazioni mistiche della storia antica e per finire con le immagini di derivazione satellitare contemporanee. Ricrea gli ambienti e le circostanze in cui queste carte sono state fatte, mostrando come ciascuna di esse trasmetta un'immagine estremamente personale del mondo: la prospettiva cristiana centrata su Gerusalemme del "mappamundi" di Hereford del XIV secolo; la più antica mappa coreana che mostra la Terra intera, compresa l'Europa; la prima autentica visione del mondo globalizzato del portoghese Diego Ribeiro agli inizi del XVI secolo; la proiezione negli anni Settanta del Novecento che aveva l'ambizione di dare uguale dignità al "terzo mondo" e il pianeta secondo Google. Brotton rivela come ogni mappa abbia tanto influenzato quanto riflesso gli eventi contemporanei e come, leggendole, si possano meglio comprendere gli universi che le hanno prodotte.
Un libretto di citazioni: le letture preferite del Che. Avventurosamente ritrovato, il materiale di questo volume fa parte dei taccuini sui quali Ernesto Che Guevara veniva annotando i passi più significativi delle sue letture. Le parole di Rosa Luxemburg, Lenin, Trockij, Stalin, Mao Zedong, Lukàcs, Hegel, Engels, Castro si rincorrono tra loro. Ma vi è anche la trascrizione di tre bellissime poesie di Ruben Dario. Compilate con la pazienza e la disciplina di uno studioso severo - un'attitudine che si avverte nella stessa grafia, nell'ordine dei paragrafi, nella precisione dei riferimenti bibliografici - queste note di lettura del Che sono accompagnate dalle fotografie dei quaderni, dei documenti, dei reperti. "Prima di morire" non è solo uno straordinario inedito, è anche la testimonianza di una passione intellettuale e di una coscienza politica che volentieri si intrecciano a fantasia e poesia.
“Ma poi, cosa è Auschwitz? Per me, prima di tutto Auschwitz è un cimitero. Il mio cimitero di famiglia”
Cos’è la memoria? Cos’è il passato? Cosa resta delle vite e delle morti di chi abbiamo amato, di chi ci ha preceduto? Riflessioni universali, che diventano lancinanti quando si applicano al passato di un ebreo, polacco e comunista, cresciuto nel dopoguerra in una patria che l’ha poi rinnegato.
Wlodek Goldkorn è da molti anni una voce conosciuta della cultura italiana, ha intervistato grandi scrittori, premi Nobel, e raccontato molte storie – mai la sua personale. Quella di un bambino nato da genitori scampati agli orrori della seconda guerra mondiale, che abitava in una casa abbandonata dai tedeschi in fuga, ancora piena di piatti e mobili adornati di svastiche, cresciuto nel vuoto di una memoria familiare impossibile da raccontare e da dimenticare, impossibile da vivere. “Poi, capita che nascano i nipotini. E arriva il momento in cui ci si pone la domanda: come dire loro l’indicibile? Come trasmettere la memoria?” Ecco allora un viaggio di ritorno: a Cracovia, a Varsavia, ad Auschwitz, a Sobibór, a Treblinka. E un viaggio nella memoria, da ricostruire, da inventare, da proiettare nel futuro. Un viaggio che non ha paura di spingersi nel buio più profondo del Novecento, senza perdere la chiarezza dello sguardo, il disincanto di chi sa che ogni ricordo è anche fantasia, che essere figlio dell’Olocausto non significa immedesimarsi nelle vittime ma deve portare alla rivolta.
Furono marinai, schiavi, soldati, plebaglia, ma anche gruppi organizzati come i pirati e gli affiliati a sette religiose radicali gli eroi di una guerra di classe che si protrasse tra la fine del Cinquecento e la prima metà del Settecento e la cui "storia dal basso" Rediker e Linebaugh ricostruiscono in questo libro. La scoperta di nuove rotte marittime verso le Americhe e le Indie Orientali segnò una nuova fase storica. Furono aperte vie commerciali, fondate colonie, avviata una nuova economia transatlantica, organizzate forze lavoro per produrre ed esportare lingotti d'oro, pellicce, tabacco, zucchero e manufatti. Tutto ciò rendeva vitale il controllo capillare delle popolazioni e dei territori espropriati e il pugno di ferro sulle moltitudini di diseredati impiegati nelle piantagioni, nei porti, sulle navi, nei suburbi manifatturieri. Debellare, estirpare, trucidare, sterminare, liquidare, annichilire, estinguere qualsiasi segno di rivolta: fu questa la parola d'ordine. Eppure la ribellione, come per esempio all'inizio del Settecento nella città di New York, esplose violenta a più riprese nei porti dell'Atlantico, dando vita a una nuova consapevole classe organizzata, a una moltitudine multietnica, libertaria e ribelle. Il libro racconta la storia perduta di questa classe proletaria e cosmopolita e del suo ruolo nella nascita della moderna economia globale.
"Non era forse un po' troppo azzardato pretendere di delineare in pochi capitoli le origini del pensiero greco, ossia di abbozzare il quadro delle mutazioni intellettuali che si producono tra il Dodicesimo secolo prima della nostra era, quando crollano i reami micenei, e il Quinto secolo, il momento in cui si colloca il fiorire di una città come Atene? Settecento anni da sorvolare, la massima parte dei quali, dal Dodicesimo all'Ottavo secolo, rappresentata dal periodo battezzato dagli storici dell'antichità come "secoli oscuri" giacchè, scomparsa in quell'epoca la pratica della scrittura, non disponiamo per conoscerla di nessuna fonte grafica, di nessun testo. Su un'estensione temporale di questo genere non era dunque possibile procedere come uno storico o un archeologo che mobilitano per la loro indagine tutte le risorse della loro disciplina. Nella forma di un semplice saggio, la cui ambizione non era chiudere il dibattito con una ricerca esaustiva ma rilanciarlo orientando la riflessione su una nuova strada, ho così tentato di ridisegnare le grandi linee di un'evoluzione che, dalla monarchia micenea alla città democratica, ha segnato il declino del mito e l'avvento dei saperi razionali. Di questa rivoluzione intellettuale ho proposto un'interpretazione globale che mi sembrava, nella sua coerenza, conforme ai principali dati di fatto di cui disponiamo. Qual è, mi sono dunque chiesto, l'origine del pensiero razionale in Occidente?" (Jean-Pierre Vernant)
Dalla Repubblica dell'antica Roma agli oligarchi russi di oggi, è sempre stato così: un ristretto numero di individui spaventosamente ricchi domina l'economia e la politica del suo tempo. Come abbiano accumulato capitali così spropositati diventa irrilevante una volta che siano entrati nella ristretta cerchia di chi conta davvero. Dal banchiere dei papi Cosimo de' Medici ai padroni delle ferriere della Rivoluzione industriale, l'origine di quelle favolose fortune viene presto dimenticata, mentre i super-ricchi forniscono fondi per la costruzione di chiese e istituzioni culturali, si inventano patroni delle arti e delle lettere e, ansiosi di essere accettati dall'establishment, si sforzano di ripulire la loro immagine con grandiosi gesti di filantropia, esibizioni di stile e opulenza, imprese che i comuni mortali possono solo sognare. Gli oggetti del desiderio e gli status symbol possono cambiare, ma le regole sono sempre le stesse: gli schiavi, le concubine, i forzieri pieni d'oro e i castelli inespugnabili hanno lasciato il posto ai jet privati, i super-yacht, le isole private e le squadre di calcio, ma il gioco rimane uguale - e la storia sembra dimostrare che questo 0,01% vince ogni volta sul restante 99,99%. Ma è destinato a essere sempre così? dimostrare che questo 0,01 per cento vince sempre sul restante 99,99 per cento. Ma è destinato a essere sempre così?
Questo libro di Eva Cantarella, completamente rivisto per questa nuova edizione, si è guadagnato lo status di assoluto riferimento in un settore, quello sulle pene capitali, da sempre prodigo di riflessioni. L'autrice incrocia ogni tipo di fonte, dalla letteratura ai testi giuridici, dalle pratiche religiose al semplice uso comune, riuscendo a delineare un quadro completo di quali fossero le motivazioni, le modalità e i limiti della pena di morte nella Grecia antica e a Roma. L'epoca classica, spesso idealizzata come "luogo arcadico" della storia dell'uomo, o al contrario utilizzata dall'industria dell'intrattenimento come teatro grand guignol, rivela qui finalmente tutta la sua complessità e le sue sfaccettature, in un intreccio continuo di razionalità e ferocia. E il tema della pena di morte viene spogliato dei luoghi comuni e delle banalità, anche grazie al penetrante saggio introduttivo che guida il lettore in un excursus storico degli intellettuali e delle scuole di pensiero che della "morte di Stato" si sono occupati da vicino.
A fronte della crisi del concetto stesso di famiglia e di atroci episodi di cronaca, Eva Cantarella è venuta interrogandosi - forte dei suoi strumenti di studiosa del diritto e della cultura antica - sulla storia di quel rapporto che, insieme alla dinamica degli affetti, porta inevitabilmente con sé tensioni, conflitti e, molto spesso, violenza. Questa conflittualità affonda le sue radici lontano: nei miti teogonici, nella famiglia patriarcale, nelle storie, spesso sanguinose, che la letteratura testimonia con straordinaria evidenza; nella mitologia, nei poemi omerici e nella tragedia classica, dove il tema della famiglia diventa il teatro pieno d'ombre della ferocia, della vendetta, della ribellione. Un teatro che, se a tutta prima parrebbe non implicare uno scontro generazionale, in realtà lo contiene, lo nutre, lo agita. Una volta di più Eva Cantarella si rivela evocatrice di personaggi e di storie, da Crono, signore dei Titani, divoratore dei suoi stessi figli, a Teseo, il parricida che uccide il proprio figlio; da Telemaco l'obbediente a Ettore il saggio, sia come padre sia come figlio; dai ribelli Antigone e Oreste a Medea, madre assassina.
Sulla volta del Teatro Goldoni domina Marx. Sopra il suo ritratto, lo striscione: "Proletari di tutti i Paesi unitevi!". Il diciassettesimo Congresso del Partito socialista italiano si apre a Livorno il 15 gennaio 1921 e, dopo una settimana drammatica, si chiuderà con la scissione e la nascita del Partito comunista d'Italia. Siamo al punto di non ritorno: è vietato qualsiasi compromesso tra rivoluzionari e riformisti. Sembra passato molto tempo dalla presa del Palazzo d'Inverno, mentre sono trascorsi solo tre anni e poco più. Ma questa è un'epoca nuova: il secolo breve è cominciato e avanza molto velocemente. Mancano meno di settecento giorni alla Marcia su Roma. In una cronaca politica animata dalle voci di protagonisti epici - da Terracini a Turati, da Serrati a Bordiga, a Gramsci defilato e silenzioso - Ezio Mauro ricostruisce un capitolo fondamentale della nostra storia, che raccoglie in sé ideali altissimi di liberazione e riscatto, ma in cui sembrano tutti condannati dentro il perimetro delle loro divisioni, mentre il Paese sta per essere inghiottito dalla reazione che si fa dittatura. Da quella scissione usciranno due partiti che cambieranno per sempre la storia d'Italia, ma quanto accadde a Livorno dev'essere compreso: come un peccato originale, una tentazione ricorrente. Perché "altre dannazioni seguiranno, come sappiamo, nei cent'anni. Ma le occasioni perdute pesano, anche quando svaniscono gli errori e scompaiono i loro protagonisti".
Quali forme assume il discorso politico? Come parla un leader ai cittadini? È possibile dire tutta la verità, parlare con franchezza, quando si tratta di questioni controverse e divise, quando il clima politico è teso fino alla lacerazione, o occorre invece nascondere la verità e giocare sulla presa delle emozioni? Queste e altre domande sulla comunicazione politica lampeggiano, con inquietante lucidità e spietata analisi, nei discorsi che Tucidide fa pronunciare ai protagonisti del suo racconto storico nei contesti del dibattito assembleare dell'Atene del Quinto secolo. Dall'elogio della democrazia, pronunciato da Pericle, ai discorsi che riguardano la guerra e la prosperità della polis, dai sacrifici richiesti ai cittadini alle scelte inerenti la conservazione dell'impero e i rapporti con gli alleati: i discorsi, uno dopo l'altro, dipingono un quadro che sollecita, nel confronto, l'orizzonte contemporaneo in una sconcertante attualità. Il volume contiene i tre discorsi di Pericle alla città (l'epitaffio ai caduti in guerra, che è al contempo un elogio della città democratica; i due discorsi che riguardano la decisione di entrare in guerra e la necessità di conservare l'impero), il dibattito tra Cleone e Diodoto sul trattamento da riservare alla ribelle Mitilene (sterminare gli alleati infedeli o ricorrere a misure più moderate) e l'orazione di Alci- biade che incita Atene alla spedizione in Sicilia (il sogno di un'interminabile espansione dell'impero)...
Dalla tomba in cui sono sepolti, i cittadini di una piccola cittadina americana svelano i segreti della loro vita. In versi sciolti, ma quasi regolari, con una ironia pungente, evocano la vita del villaggio che, al di sotto della spesse coltre puritana, in realtà nasconde concupiscenza e vizio. Il motivo principale del libro sta nella trasformazione dell'amore nel suo opposto, la lussuria. Tutto si deforma e i sogni appassiscono. La raccolta comprende diciannove storie che coinvolgono un totale di 248 personaggi che coprono praticamente tutti i mestieri umani. L'opera di questo cantore dell'Illinois è riuscita, nel nostro paese più che in altri, a scavare nei cuori di generazioni di lettori. È forse l'attrazione costante per la morte a donare vita alla poesia di Edgar Lee Masters. Ed è attorno alla morte che si gioca l'intreccio di storie di questo canovaccio vitale e funereo al tempo stesso. In Italia il successo di questo libro, profondamente liberatorio e libertario, fu dovuto alla traduzione di Fernanda Pivano (con il supporto di Cesare Pavese) e alla vicenda che la portò in carcere proprio per aver tradotto il libro, inviso al regime fascista. Infine, ulteriore fama al libro di Lee Masters fu data dall'interpretazione di Fabrizio De André, che assieme a Nicola Piovani, diede alla luce nel 1971 un album straordinario come Non al denaro non all'amore né al cielo.

