
Candeloro Giorgio ha dato vita a un'opera di carattere generale, non rigidamente specialistica, ma costantemente a un alto livello scientifico, che ha acquisito negli anni una funzione di permamente riferimento per la conoscenza del modo con il quale si è formato il nostro paese. Il volume tratta della seconda guerra mondiale; del crollo del fascismo e della Resistenza 1939-1945.
Gli ultimi due decenni del Novecento hanno profondamente trasformato l'America Latina. Oggi la regione latinoamericana presenta un volto nuovo: la democrazia si è consolidata e per la prima volta sembra essersi conclusa l'oscillazione regimi democratici/regimi autoritari tipica del secolo passato, si è creata una classe dirigente nuova, si sono diffusi esperimenti di politiche riformiste e partecipative mentre la società civile è coinvolta in un processo di complessità crescente. L'altro volto di questa incipiente modernizzazione sono alcuni persistenti retaggi del passato e le ardue sfide che la regione deve ancora affrontare: la violenza del crimine organizzato, la fragilità dello stato di diritto e la fortissima diseguaglianza in quella che rimane ancor oggi la regione più diseguale al mondo. Il libro offre una rilettura critica dei principali processi politici, sociali ed economici del Ventesimo secolo necessaria alla comprensione di un complesso e contradditorio presente, restituendo all'America Latina la sua dimensione culturale e pluralistica.
"La Marina italiana nella seconda guerra mondiale" è il corposo risultato di un'approfondita indagine storiografica e di una ricerca che ha portato l'autore a confrontarsi con una straordinaria mole di materiale documentario, pressoché tutto quanto è stato scritto sull'argomento negli ultimi sessant'anni, riguardante le operazioni navali e aeronavali condotte dalla Regia Marina nei trentanove mesi che, dal 1940 al 1943, la videro impegnata in una logorante attività bellica nei teatri di guerra del Mar Mediterraneo durante il secondo conflitto mondiale. In un'opera controcorrente rispetto alla lettura "ufficiale" degli eventi che è stata ispirata dalla predominante storiografia di scuola angloamericana, James J. Sadkovich compie un'analisi che si propone di emendare dagli stereotipi l'operato della forza navale italiana e di offrire una valutazione, sulla base del dato effettuale, del suo apporto bellico, per lo più sminuito dalla propaganda britannica. La Regia Marina non vinse la guerra, ma, è la conclusione di Sadkovich, affiancata dall'Aeronautica e con il saltuario concorso del poco affidabile alleato germanico, essa bloccò le forze navali e aeronautiche britanniche e fece dell'Italia l'attore principale dell'Asse negli oltre tre anni della sua belligeranza nel Mediterraneo. Le gesta della Marina italiana durante la seconda guerra mondiale, finalmente al di là di ogni stereotipo.
Milano dal 1950 ai nostri giorni attraverso l'urbanistica, il design, la moda, il cinema, la famiglia, l'immigrazione vecchia e nuova, la televisione, il calcio. Negli ultimi cinquant'anni, Milano ha cambiato pelle più volte. Negli anni del boom economico è stata la "capitale del miracolo": centinaia di migliaia d'immigrati vi sono approdati dal resto d'Italia trasformandola nella capitale industriale e finanziaria del paese, insediandosi in un'immensa periferia che non solo è stata per anni, col suo grigiore, l'immagine stessa della città ma è diventata "la città". Poi il Sessantotto e gli anni di piombo. Improvvisamente com'era scoppiato, il boom ha avuto termine e Milano ha attraversato anni di feroce deindustrializzazione: una dopo l'altra, hanno chiuso la Breda, la Falck, l'Alfa Romeo, l'Innocenti, la Pirelli. Al governo della città fin dal dopoguerra, i socialisti la pilotano verso quella "Milano da bere" che è sfociata in Tangentopoli e Mani pulite. Milano capitale della Resistenza, epicentro del rinnovamento culturale, sede della prima televisione e dell'impero di Berlusconi. Milano dove si coagula in partito la Lega e dove nasce Forza Italia. Questo libro è un tentativo di capire la storia di questi processi. Ma non è un libro di storia tradizionale. Prende in esame alcuni quartieri, luoghi, spazi, eventi, film, programmi televisivi, strade, immigrati, oggetti del design. Questi micromomenti e microentità servono a spiegare i macrocambiamenti. Con una nuova prefazione dell'autore.
Il Giro d'Italia ha un sapore mitico: sembra esistere da sempre, eppure ha una sua storia, che accompagna e in cui si riflette la storia culturale e sociale dell'Italia. Questo libro la ripercorre, dagli esordi e nei suoi sviluppi, per circa un secolo. A fianco della narrazione scorrono, diventandone parte integrante, oltre duecento immagini d'epoca, in gran parte provenienti dall'archivio Torriani. Mimmo Franzinelli, da appassionato delle due ruote, ricostruisce le vicende del ciclismo agonistico italiano e della sua gara principale partendo dalla creazione stessa della bicicletta e dalle grandi innovazioni di fine Ottocento. Rievoca le gare pioneristiche, dal Giro di Lombardia del 1905 alla Milano-Sanremo del 1907, per concentrarsi poi sul Giro d'Italia, modellato sul Tour de France, la prima classica corsa a tappe. Ne sono protagonisti campioni quali Girardengo e Binda, Bartali e Coppi, ma anche straordinarie donne come Alfonsina Strada e oscuri gregari come Carrea e Malabrocca. Nel microcosmo delle due ruote si intravedono in filigrana i mutamenti epocali del Novecento italiano. Ci sono infine, ma non da ultimo, gli organizzatori, con cui il Giro d'Italia degli anni d'oro si è identificato: Armando Cougnet, promotore nel 1909 della prima edizione, e Vincenzo Torriani, il Patron dal 1949 al 1992. La narrazione culmina nell'ultima grande stagione del ciclismo, animata da Adorni, Gimondi, Moser, Merckx... Postfazione di Marco Torriani.
Le "Lezioni di Harvard" furono redatte intorno al 1943 negli Stati Uniti, dove Salvemini aveva trovato stabile asilo sin dal 1933 e dove ricoprì presso la Harvard University la cattedra di Storia della civiltà italiana. Destinate a un pubblico di studenti americani, esse risentono naturalmente nella loro impostazione di uno sforzo per chiarificare il più possibile e rendere più facilmente comprensibili, a chi non abbia esperienza diretta di cose italiane, situazioni e fenomeni della nostra storia, senza tuttavia cadere mai in una schematica semplificazione dei fatti tale da privarli della loro profondità prospettica. Il risultato è una esposizione di straordinaria nitidezza, che fa di quest'opera uno strumento prezioso specialmente per tutti coloro che il fascismo non conobbero; i quali desiderino invece rendersi conto delle sue origini nel quadro complessivo della storia italiana, e conoscere attraverso quali vie esso riuscì ad affermarsi. Le seminali lezioni di Salvemini sulla nascita del fascismo sono oggi il miglior viatico anche per noi per conoscere effettivamente cosa accadde.
Dopo la ricognizione sull'eros greco, Eva Cantarella, parla dell'amore al tempo dei romani. Per un romano la virilità era la massima virtù; e i romani venivano educati ad assoggettare e a essere dominatori, nella politica come nell'amore e nel sesso. E infatti da una violenza, quella di Marte ai danni di Rea Silvia, nasce Romolo, il fondatore della città. L'altra faccia della sessualità romana è l'etica del vanto, il gloriarsi della propria virilità anche negli aspetti più concreti e materiali. Ecco allora i "Carmina Priapea", gioiosa celebrazione di Priapo, il dio del fallo, coi suoi spropositati attributi; ecco graffiti e iscrizioni di palestre, taverne, muri la cui gioiosa crudezza sconfina spesso nell'oscenità, ecco leggende popolate da membri maschili che spuntano dal focolare per fecondare innocenti fanciulle. Ed ecco dotti ma spassosi intermezzi, dove l'autrice guida il lettore attraverso le pratiche osculatorie (i tre modi di nominare il bacio, osculum, savium e basium), le tariffe, le specializzazioni e l'abbigliamento delle prostitute, i riti matrimoniali e di fecondità. E le donne? Ci sono quelle che si adeguano (Porzia, che si suicida inghiottendo carboni ardenti), le donne modello di virtù (Lucrezia) e le ribelli (Sulpicia), contro cui si accaniscono le leggi moralizzatrici. E poi i "veri" uomini, Augusto e Cesare, i poeti Orazio e Marziale, e ovviamente, Catullo, che chiede con pari trasporto i baci della bella Lesbia e del tenero Giuvenzio.
Questo libro esplora il mutevole rapporto tra verità storica, finzione e menzogna attraverso una serie di casi. Contro la tendenza dello scetticismo postmoderno a sfumare il confine tra narrazioni di finzione e narrazioni storiche in nome dell'elemento costruttivo che le accomuna, il rapporto tra le une e le altre viene visto in questo libro come una contesa per la rappresentazione della realtà. Scavando dentro i testi, contro le intenzioni di chi li ha prodotti, si possono far emergere voci incontrollate: per esempio quelle delle donne o degli uomini che, nei processi di stregoneria, si sottraevano agli stereotipi suggeriti dai giudici. Nei romanzi medioevali si possono rintracciare testimonianze storiche involontarie su usi o costumi, isolando all'interno della finzione frammenti di verità: una scoperta che oggi ci sembra quasi banale, ma che aveva un suono paradossale quando verso la metà del Seicento, a Parigi, venne formulata per la prima volta esplicitamente. Realtà, immaginazione, falsificazione si contrappongono, s'intrecciano, si alimentano a vicenda. Gli storici, scriveva Aristotele, parlano di quello che è stato (del vero), i poeti di quello che avrebbe potuto essere (del possibile). Ma il vero è il punto d'arrivo, non un punto di partenza. Gli storici (e, in modo diverso, i poeti) fanno per mestiere qualcosa che è parte della vita di tutti. Districare l'intreccio di vero, finto e falso che è la trama del nostro stare al mondo.
La memoria pubblica è un "patto" in cui ci si accorda su cosa trattenere e cosa lasciar cadere degli eventi del nostro passato. Su questi eventi si costruisce l'albero genealogico di una nazione. Sono i pilastri su cui fondare i programmi di studio per le scuole, i luoghi di memoria, i criteri espositivi dei musei, i calendari delle festività civili, le priorità da proporre nella grande arena dell'uso pubblico della storia, le scelte sulla base delle quali si orientano tutti i sentimenti del passato che attraversano la nostra esistenza collettiva. I fondamenti di quel "patto" cambiano a seconda delle varie "fasi" che scandiscono il processo storico di una nazione. Vent'anni fa, la classe politica uscita dal crollo della Prima Repubblica venne chiamata a una complessiva opera di "rifondazione". Si trattava di rinnovare un intero apparato simbolico. Vent'anni dopo prendiamo atto di un vero fallimento. A tenere insieme il patto fondativo della nostra memoria sono oggi infatti il dolore e il lutto che scaturiscono dal ricordo delle "vittime". Della mafia, del terrorismo, della Shoah, delle foibe, delle catastrofi naturali, del dovere, vittime, sempre e solo vittime. Il loro dolore, per potersi vedere riconosciuto, deve sopravanzare quello delle altre. Per emozionare, commuovere, suscitare consenso, le sofferenze vanno gridate. Quasi che le emozioni siano merci e che sia il mercato a imporre le sue regole, nel controllarne la domanda e l'offerta.
La Resistenza è stata la dimostrazione del meglio di cui gli italiani fossero capaci: un'assunzione di responsabilità, una volontà di riscatto che non riguarda solo la storia del fascismo e della partecipazione italiana alla Seconda guerra mondiale. Si affrontano qui alcuni problemi controversi della storia della Resistenza senza cedere alla sacralità o alla strumentalizzazione politica: si ricostruisce infatti una narrazione anti-eroica, senza aggettivi, ma ricca di colori. L'obiettivo è cercare una via d'uscita alternativa alla ricostruzione spesso rancorosa degli eventi. Non una storia di fatti sanguinosi, di efferatezze, di morti e di corpi violati, ma un tentativo di individuare le motivazioni profonde di un periodo di grandi speranze e di crescita collettiva. E di cogliere le ragioni di una storia, ma anche le ragioni della vita. Un libro per le giovani generazioni che cerca di dare risposte esaurienti a quesiti difficili e spesso trascurati.
"Il grande sviluppo industriale non eliminò lo squilibrio tra Nord e Sud, ne mutò alcuni caratteri". Dalla Liberazione alla Repubblica - La rottura dell'alleanza antifascista. La costituzione repubblicana - Il consolidamento del potere democristiano e la ripresa del capitalismo industriale. Considerazioni finali: l'Italia del passato - l'Italia moderna. La Storia dell'Italia moderna di Giorgio Candeloro ha ormai un grande e incontestato rilievo nella storiografia italiana e non solo italiana del dopoguerra. L'ininterrotta, meritoria fatica dell'autore ha dato vita a un'opera di carattere generale, non rigidamente specialistica, ma costantemente a un alto livello scientifico, "che ha acquisito in questi anni una funzione di permanente riferimento per la conoscenza del modo col quale si è venuto formando il nostro paese" (Ernesto Ragionieri).
La sera del 5 dicembre 1943, il giovane pianista Arturo Benedetti Michelangeli suona al Teatro La Fenice di Venezia. In quelle stesse ore, polizia, carabinieri e volontari del ricostituito Partito fascista - i carnefici italiani - compiono in città una delle maggiori retate di ebrei nella penisola dopo quella condotta dai tedeschi a Roma il 16 ottobre. Sulla base del censimento della popolazione di "razza ebraica" condotto a partire dal 1938, oltre centocinquanta tra uomini, donne, vecchi e bambini vengono stanati dalle loro case e tradotti alle locali carceri. Nei giorni successivi i loro beni vengono sequestrati, gli appartamenti sigillati o destinati ad altri italiani. I prigionieri saranno poi trasferiti a Fossoli di Carpi, il principale campo di transito degli ebrei nella Repubblica sociale, gestito da forze italiane. Qui saranno detenuti in condizioni precarie e, quindi, caricati su vagoni piombati - dopo la consegna in mani tedesche - su cui verranno condotti alla morte nel campo di sterminio di Auschwitz. Questi eventi si ripeterono in modo analogo, tra l'autunno del 1943 e la primavera del 1945, nelle principali città e in una miriade di piccoli paesi del centro-nord della penisola italiana. Perché si tende ancora a rimuovere il ricordo di queste vicende, mentre prevale quello dei "salvatori" e dei "giusti"? Perché raramente si ricorda che almeno metà degli arresti di ebrei fu condotta da italiani, senza ordini o diretta partecipazione dei tedeschi?

