
Nella Firenze liberata, tra l'agosto del '44 e l'aprile del '45, si fa strada in Piero Calamandrei e in un giro di intellettuali amici l'idea di dare espressione ai molti fermenti dell'Italia del tempo attraverso la creazione di una rivista, in grado di accogliere temi ed esigenze culturali avvertiti con urgenza da chi stava uscendo a fatica da un lungo trentennio di compromessi e di scelte e non-scelte dolorose. Nasce così il "Ponte", luogo di incontro inter-generazionale che dà voce al bisogno di guardare fuori dai confini, di fare i conti con la memoria, con il fascismo, con la scelta repubblicana, con la rinascita del confronto - interno e internazionale - dei partiti, delle ideologie e degli Stati. Introdotto da un vasto affresco inrerpretativo di Mario Isnenghi, il libro raccoglie una corposa scelta di articoli di Piero Calamandrei e di numerosi altri personaggi-autori risalenti al primo triennio del "Ponte" (1945-47). Essi sono il frutto di quel periodo di trapasso e rifondazione nel corso del quale Calamandrei affronta la marginalità, l'attendismo, i compromessi di ieri e di oggi - in una parola, la desistenza - che hanno marchiato la sua generazione e hanno consentito abominii della ragione.
Nei sei anni compresi tra il trionfo degasperiano del 18 aprile 1948 e la sconfitta della 'legge truffa' del giugno 1953, Piero Calamandrei intensifica il suo impegno nel mensile "Il Ponte", riferimento culturale laico e terzaforzista alternativo sia alla Democrazia Cristiana sia al blocco social-comunista. La rivista vive la sua più densa stagione di studi su temi quali il federalismo europeo, le identità regionali, la riforma dello Stato, l'ammodernamento della giustizia, la questione femminile, la funzione dell'intellettuale, l'opposizione alla clericalizzazione delle istituzioni, le campagne contro la pena di morte e per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza al servizio militare. Il volume - articolato nelle sezioni Politica, Società e Cultura - fornisce un panorama significativo dell"altra Italia, delle potenzialità progettuali e della tensione morale di una generazione di intellettuali progressisti impegnata nel rafforzamento della democrazia. È un'essenziale antologia che, oltre agli scritti di Piero Calamandrei, include i più significativi contributi di intellettuali del calibro di Aldo Capitini, Riccardo Bauer, Norberto Bobbio, Guido Calogero, Nicola Chiaromonte, Luigi Einaudi, Vittorio Foa, Franco Fortini, Arturo Carlo Jemolo, Augusto Monti, Adriano Olivetti, Ernesto Rossi, Gaetano Salvemini, Ignazio Silone, Leo Valiani, Ruggero Zangrandi. Il saggio introduttivo di Mimmo Franzinelli ricostruisce il metodo di lavoro di Piero Calamandrei.
L'istruttoria, le perizie mediche, il dibattimento davanti alla corte, alla giuria popolare e al pubblico avido: un caso giudiziario segnato, fra i primi, dall'intervento della stampa e degli esperti. Di certi crimini, non basta più accertare chi è stato. La gente vuole sapere perché. Attraverso una ricerca minuziosa su fonti ricche, con sapienza narrativa Patrizia Guarnieri mette a confronto voci diverse: i testimoni del paese, le madri delle vittime e i magistrati, i giornalisti, l'imputato, persino alcuni commentatori politici. Ricostruisce la cronaca dei delitti e il processo a Carlino Grandi, che sconvolse l'opinione pubblica e funzionò da banco di prova per le teorie del positivismo, della psichiatria e della nascente antropologia criminale.
Non si può capire lo sviluppo economico dell'Italia post-unitaria guardando solo all'Italia stessa. L'Italia è già allora parte di un mondo più vasto, all'interno del quale circolano, oltre ai beni, gli uomini, le idee, il denaro. Dal 1861 al 1913 l'Italia si dota di infrastrutture moderne, sviluppa l'industria, il tenore di vita si innalza. La produzione complessiva cresce senza particolari discontinuità, ma con ampi movimenti ciclici le cui alterne fasi dipendono dai mercati finanziari internazionali. L'economia italiana prospera quando i capitali del centro nordeuropeo si riversano nei paesi periferici, ristagna o retrocede quando questi se ne ritirano; la stessa ascesa giolittiana è parte di una ripresa mondiale.
Siamo a Mosca nei primi anni Trenta. All'ombra del Cremlino vive una numerosa comunità di emigrati politici italiani con le loro famiglie. Altri si sono stabiliti in diverse città dell'Urss. Accusati di spionaggio, usati come ostaggi per ricattare il governo della madrepatria, spesso semplicemente vittime di un clima di sospetto e malinteso, su di loro si abbatte la repressione del regime di Stalin: complessivamente sono più di mille gli italiani fucilati, internari nei campi di concentramento, confinati, deportati, privati dei diritti civili e del lavoro, emarginati. Questo volume racconta le loro vite, frammenti di storia silenziosa, volutamente ignorata o poco nota.
Il periodo che va dall'immediato primo dopoguerra all'ascesa al potere di Mussolini è senz'altro uno dei più importanti per la storia militare italiana: fu allora che l'esercito, uscito vittorioso dalla guerra, cercò e si diede una nuova organizzazione, tenendo conto del mutato contesto politico. Lo testimonia l'attenzione insolitamente alta dell'opinione pubblica del tempo ai problemi militari. Le vicende della guerra, le crescenti ambizioni degli alti gradi dell'esercito, il mito della nazione armata, le prime agitazioni operaie e l'ombra del bolscevismo confluivano nel dibattito pubblico, agitando una serie di interrogativi e aspettative sul ruolo dell'esercito nella società. Il presente volume è una nuova edizione con una Premessa dell'autore.
C'è stato un tempo in cui gli dèi si mescolavano agli uomini alla luce del giorno. Atena camminava al fianco di Odisseo, e così Teti con suo figlio Achille, mentre Enea riconobbe Apollo dalla sua voce, nonostante il dio gli si fosse presentato in umili panni. Nei loro sogni i pagani interagivano con le divinità, che aiutavano e proteggevano i propri 'favoriti'. I devoti offrivano libagioni per propiziarsene il favore. Magia e divinazione erano forme consuete di conoscenza. L'impatto del cristianesimo su questa realtà fu graduale: dalle campagne raggiunse gli strati inferiori della popolazione urbana e da lì si diffuse finché, nell'età di Costantino, gli uomini volsero definitivamente le spalle al facile contatto pagano con il divino.
Questo volume, il terzo dei quattro dedicati alla corrispondenza tra Benedetto Croce e Giovanni Laterza, copre il decennio 1921-1930, durante il quale la volontà di adempiere e una 'missione civile', che costituisce il tacito presupposto della loro intesa, trovò ostacoli sempre più marcati. L'affermazione del regime fascista, impedendo la libera espressione del pensiero, ha inevitabili conseguenze sulla produzione editoriale. Nonostante la depressione che colpisce il mercato librario, Croce e Larerza operano in smergia per mantenere saldo il legame con le forze intellettuali vive e operanti in Europa e nel mondo. La loro lotta contro l'imbarbarimento culturale suscita polemiche e reazioni da parte delle autorità e degli intellettuali fascisti; nel 1928 la Storia d'Italia di Croce, non ufficialmente censurata, diventa oggetto di una sistematica campagna denigratoria attraverso i giornali. Larerza è a sua volta bersaglio di una pesante offensiva di carattere finanziario. Sono anche gli anni in cui l'opposizione di Croce al fascismo si fa sempre più esplicita e matura la crisi del suo rapporto con Gentile. Quando giungerà la rottura definitiva, Laterza non esiterà a schierarsi dalla parte dell'amico e consigliere.
"Al passato ci si può volgere sotto una duplice spinta: disseppellire i morti e togliere la rena e l'erba che coprono corti e palagi; ricostruire, per compiacercene o dolercene, il percorso che ci ha condotto a ciò che oggi siamo, illustrandone le difficoltà, gli ostacoli, gli sviamenti, ma anche i successi. Appare ovvio che nella storia contemporanea prevalga la seconda motivazione; ma anche la prima vi ha una sua parte." Claudio Pavone, per molti anni archivista di Stato, ha insegnato come professore associato di Storia contemporanea presso l'Università di Pisa. I suoi interessi di studio si sono concentrati sulla formazione dello Stato unitario dal punto di vista istituzionale e amministrativo, sulla storia delle istituzioni in generale e sul nodo fascismo-guerra-Resistenza. Tra i suoi volumi più recenti, "Una guerra civile" (Torino 1991, più volte ristampato), "Alle origini della Repubblica" (Torino 1995) e "Intorno agli archivi e alle istituzioni. Scritti di Claudio Pavone" (a cura di I. Zanni Rosiello, Roma 2004).
La 'forma' di questo saggio di amplissimo respiro cronologico e geografico è determinata dalla convinzione che il 'Grande Racconto' tradizionale del periodo compreso tra la nascita del cristianesimo nell'impero romano e la conversione del mondo scandinavo, otto secoli più tardi, debba essere ampiamente rivisto. E prima di tutto, per Peter Brown, è necessario mettere l'Europa occidentale sullo sfondo di un mondo più vasto e partire dal fatto che il cristianesimo 'europeo' rappresenta semplicemente la variante più occidentale di un mondo cristiano amplissimo, il cui baricentro era situato originariamente nel Mediterraneo orientale e nelle grandi capitali dell'impero d'Oriente: sono Costantinopoli, Alessandria, Antiochia, e non Roma, a trovarsi allo snodo di un cristianesimo di portata mondiale. Con la nascita poi dell'islam e la sua conquista del Medio Oriente e del Nordafrica -e per mezzo millennio anche della Spagna meridionale - una barriera si interpose fra il mondo cristiano occidentale e un mondo cristiano più antico, che aveva compreso tanta parte dell'Oriente.
Oggi siamo di fronte a una svolta nella rivalità storica che da più di due secoli vede le due 'capitali d'Italia' affrontarsi in una dialettica irrisolta: un contrasto fondato sul mito efficientista di Milano baluardo di una diversa italianità, immagine rovesciata di una Roma centro dell'incompetenza amministrativa e regno degli arcani della politica. Lo scandalo di Tangentopoli ha reso inutilizzabile l'idea della 'capitale morale' e Milano fatica a ritrovare un'immagine ben definita di sé. Roma invece, malgrado le insistite polemiche contro la 'capitale ladrona', è riuscita ad accreditarsi davanti all'opinione pubblica nazionale come mai era accaduto dopo il fascismo.
C'è una 'giustizia' su misura per le grandi potenze occidentali, che godono di un'assoluta impunità per le guerre di aggressione di questi anni, giustificate come guerre umanitarie o come guerre preventive contro il terrorismo. E c'è una 'giustizia dei vincitori' che si applica agli sconfitti e ai popoli oppressi, con la connivenza delle istituzioni internazionali, l'omertà di larga parte dei giuristi accademici e la complicità dei mass media. In realtà solo la guerra persa è un crimine internazionale.