
Con penetrante ed efficace stile narrativo, Jorge M. Reverte affronta in questo libro un aspetto di grande originalità, la strategia militare dei due schieramenti – quello franchista e quello repubblicano – che si sono affrontati durante la guerra civile spagnola. La dettagliata analisi di Reverte, che non trascura lo scenario europeo in cui si andava preparando la Seconda guerra mondiale, mette in discussione il mito che Franco fosse un grande stratega, ma aiuta a comprendere la sua abilità nel rispondere alle situazioni politiche nelle quali si muoveva. D’altro canto, non esita a individuare i limiti della Repubblica spagnola che, difesa in maniera molto diseguale dalle diverse formazioni politiche che parteciparono ai suoi governi, scontò la sua sfavorevole posizione internazionale e le rilevanti defezioni interne, ma anche i gravi errori commessi in campo militare.
Quando nel giugno 1812 Napoleone Bonaparte invade la Russia è convinto di dover affrontare truppe male armate e poco addestrate, guidate da un sovrano irresoluto, lo zar Alessandro I. Incontra invece una resistenza accanita, che lo costringe a una disastrosa ritirata, trasformando quella che doveva essere una marcia trionfale nella disfatta della Grande Armée. Dalla storia nota inizia il magistrale lavoro di Dominic Lieven sulla Russia contro Napoleone, che rende giustizia alle doti militari e alla lungimiranza strategica del sovrano russo e dei suoi generali, nonché all’eroismo e al valore dei suoi soldati e cavalleggeri. E illumina, specie sul versante russo, ogni elemento – economico, militare, logistico, diplomatico, spionistico – in un racconto rigoroso e al tempo stesso avvincente, che accompagna lo zar di tutte le Russie e i suoi eserciti anche nella controffensiva attraverso l’Europa, fino all’entrata in Parigi. In un libro memorabile, gli aspetti e i retroscena meno noti – ma decisivi – di una storia famosa.
L’impero hitleriano ha rappresentato il più brutale e ambizioso tentativo di riorganizzazione del continente europeo mai compiuto nella storia. Mark Mazower propone un’interpretazione del dominio tedesco in Europa nei termini di una nuova forma di colonialismo e traccia una mappa dell’immaginario imperiale nazista: dagli economisti che sognavano di trasformare l’Europa in un enorme mercato per gli affari tedeschi, ai piani di Hitler di nuove autostrade transcontinentali che avrebbero attraversato la steppa russa, alle interminabili discussioni interne alle SS su teoria politica e supremazia della legge. Ma dopo i primi, travolgenti successi militari, i progetti vagheggiati dal Führer naufragarono a causa del collasso delle forze armate, lasciandosi alle spalle un continente corrotto dal collaborazionismo, depauperato da saccheggi e sconvolto dalla violenza della guerra e dalle atrocità commesse in nome di una fantasia di purezza razziale. Una tragedia che ha segnato per decenni il destino dell’Europa e ha cambiato per sempre la sua posizione sulla scena mondiale.
«Qui si fa l’Italia o si muore!» disse Garibaldi a Bixio, secondo i manuali di storia. In realtà, quella frase non fu mai pronunciata, così come molte altre, magari attribuite a personaggi o circostanze sbagliate... In queste pagine Antonello Capurso ripercorre le vicende d'Italia degli ultimi centocinquant'anni attraverso le frasi e i motti celebri che hanno scandito i momenti chiave della storia nazionale, sgombrando il campo da falsi miti ed errori, e offrendo invece una curiosa panoramica sul nostro passato e presente.
Flavia Giulia Elena, madre di Costantino, è uno dei personaggi femminili più interessanti e singolari della storia antica. Di umili origini, fu concubina e poi compagna di un ufficiale, Costanzo Cloro, con cui mise al mondo il futuro imperatore Costantino; quando Costanzo fu nominato Cesare fu ripudiata e cadde in disgrazia. In seguito il suo onore venne riabilitato, ricevette il titolo di Augusta e divenne influente consigliere del figlio Costantino, quando questi si avvicinò al cristianesimo e diede legittimità ufficiale alla nuova fede. Alla sua morte fu sepolta in un mausoleo a lei dedicato e venerata nei secoli dalla Chiesa come "Sant'Elena imperatrice" - secondo la leggenda, infatti, fu lei a ritrovare, durante un viaggio in Palestina, la vera croce su cui Cristo morì. Edgarda Ferri, attraverso un uso accurato delle fonti e con la consueta capacità divulgativa, offre al lettore la biografia di questa donna straordinaria, la cui vita si intreccia con i più importanti personaggi del Tardo Impero Romano e che ancora oggi è oggetto di culto per la cristianità.
Come era fatto il nascondiglio di Anne Frank? Chi erano i benefattori che portavano cibo e notizie? Cosa è successo a tutti loro? Con citazioni dal diario, foto, testimonianze e documenti raccolti dal Museo di Anne Frank di Amsterdam, questo splendido libro racconta la storia di Anne e della sua famiglia: la vita felice in Germania prima dell'ascesa del nazismo, l'emigrazione in Olanda per sfuggire alle leggi razziali, la clandestinità dopo l'occupazione nazista dell'Olanda, l'organizzazione della vita nel nascondiglio, le tensioni e i litigi fino al giorno dell'arresto e la deportazione. Il padre della giovane Anne, Otto scoprirà di non aver mai conosciuto la figlia, mai capito cosa veramente pensava, mai sospettato del suo straordinario talento. Età di lettura: da 12 anni.
Dall'ultimo pasto di san Francesco - santo ma segretamente goloso! - alla sontuosa tavola di Honoré de Balzac, dai cibi raffinatissimi del banchetto del Gran Khan alle uova con cipolle e scalogno care a Napoleone, passando per tre deliziosi intermezzi sul caffè, le castagne e i tartufi, Franco Cardini mette in campo la sua duplice esperienza di storico e di gourmet. Spaziando dal Medioevo ai totalitarismi novecenteschi e non solo, Cardini torna alla narrativa con una serie di racconti gustosi, che sono anche un'illuminante testimonianza di come la cultura materiale sia specchio dello spirito di ogni popolo, e possa essere per lo storico una lente speciale per comprenderne i segreti. Ogni racconto è, così, corredato tanto da un'indicazione delle fonti quanto dalle ricette che Franco Cardini ha sperimentato, una per una, nella sua cucina fiorentina: dall'acquacotta al piccione glassato, dal cuscus magrebino alla crema Chantilly, ciascuno di noi potrà portare sulla propria tavola i sapori del passato, e ritrovare intatte le emozioni che essi racchiudono.
In questo libro, ricco di un'avvincente documentazione, Giordano Bruno Guerri rilegge la vicenda del Risorgimento e del brigantaggio come una "antistoria d'Italia": per liberare i fatti dai troppi luoghi comuni della storiografia postrisorgimentale (come la pretesa arretratezza e miseria del Regno delle Due Sicilie al momento della caduta) e per evidenziare invece le conseguenze, purtroppo ancora attualissime, della scelta di affrontare la "questione meridionale" quasi esclusivamente in termini di annessione, tassazione, leva obbligatoria e repressione militare. Il Sud è stato trattato come una colonia da educare e sfruttare, senza mai cercare davvero di capire chi fosse l'"altro" italiano e senza dargli ciò che gli occorreva: lavoro, terre, infrastrutture, una borghesia imprenditoriale, un'economia moderna. Così, le incomprensioni fra le due Italie si sono perpetuate fino ai nostri giorni. Alcuni briganti spiccano per doti - umane e di comando - non comuni, come Carmine Crocco, che per tre anni tenne in scacco l'esercito italiano; e così le brigantesse, donne disposte a tutto per amore e ribellione; altri rientrano più facilmente nel cliché del bandito o dell'avventuriero, ma tutti contribuiscono a dare volti e nomi a una triste e sanguinaria pagina della nostra storia, che si voleva cancellare. "Non si tratta di denigrare il Risorgimento, bensì di metterlo in una luce obiettiva, per recuperarlo - vero e intero - nella coscienza degli italiani di oggi e di domani".
"È notorio" scriveva Massimo d'Azeglio pochi giorni dopo la proclamazione dell'unità d'Italia "che, briganti o non briganti, i napoletani non ne vogliono sapere di noi e che ci vogliono sessanta battaglioni, e pare che non bastino, per tenerci quel regno. Forse c'è stato qualche errore..." Era il 1861. L'Italia non era ancora fatta, anche se era già stata proclamata regno. Sfumato il progetto federalista di Cavour, il sogno unitario di Garibaldi e di Mazzini tardava a realizzarsi. Per tutto il decennio successivo il neonato Regno d'Italia, privato della lucida guida del "tessitore", morto anzitempo, fu affidato a uomini che non erano all'altezza del grande statista. Invece di attuare l'ampio decentramento regionale da lui auspicato, si preferì rinviarlo "provvisoriamente" e "piemontesizzare" il paese, trasferendo pari pari lo Statuto albertino del vecchio Regno di Sardegna nelle regioni annesse. Le insorgenze che seguirono nell'Italia meridionale furono scambiate per mero brigantaggio da liquidare con la forza, ignorando le motivazioni sociali che le alimentavano. Ne derivò una sorta di guerra civile che insanguinò per anni il paese. Inoltre la rozza campagna anticlericale, pur giustificata dalla stolta politica temporale di Pio IX, divise gli italiani anche nel campo della religione, l'unico collante che avrebbe potuto tenerli insieme.
L'8 settembre 1943, quando dopo 1201 giorni di guerra il maresciallo Pietro Badoglio annunciò la firma dell'armistizio con gli Alleati, circa seicentomila soldati italiani si trovavano rinchiusi nei campi di prigionia che inglesi e americani avevano allestito in varie nazioni del mondo, dall'Egitto all'Algeria, dalla Palestina al Kenya, dal Sudafrica all'India, e persino alle Hawaii. "Ma tu con chi stai, con il duce o con il re?" fu il dilemma di fronte al quale si trovarono i nostri soldati, colti di sorpresa dall'annuncio della resa senza condizioni accettata dall'Italia e dalla conseguente fuga di Vittorio Emanuele III a Brindisi: dopo avere combattuto per anni contro un nemico preciso e riconosciuto, bisognava scegliere, all'improvviso, se passare o no dall'altra parte della trincea. Di questa massa enorme di giovani una cospicua minoranza scelse di non "tradire", ma gli storici, sia per la scarsità delle fonti ufficiali sia per la "delicatezza" politica dell'argomento, non se ne sono occupati che in maniera superficiale: ancora oggi, gran parte delle notizie utili a una ricostruzione di quegli anni ci giungono da pagine autobiografiche o dai resoconti memorialistici dei protagonisti. Molti dei quali, avendo risposto di no all'appello di Badoglio a rientrare in patria, anche per non subire odiose discriminazioni, preferirono il silenzio. Il libro restituisce voce e memoria ad alcuni di loro.
Nella storia del brigantaggio e della durissima repressione scatenata dall'esercito sabaudo per il controllo del Sud, finora è stato dedicato poco spazio alle brigantesse, vittime senza diritto di replica della propaganda risorgimentale. Ridotte, nella memoria collettiva, alla stregua di sbandate immorali e sanguinarie, in realtà moltissime imbracciarono il fucile per passione, rifugiandosi nei boschi e condividendo la vita delle bande. Erano spinte, ci racconta Giordano Bruno Guerri, più che da una volontà politica, dalla forza di un istinto profondo, dettato da leggi ataviche e naturali: "Una donna meridionale dell'Ottocento diventa una combattente pronta a tutto se le si impedisce di vivere, amare, accudire; se le si nega la possibilità di essere donna come erano state la madre e la nonna prima di lei, come le avevano insegnato; se le si toccano i figli, il proprio uomo". La storia di Maria Capitanio, figlia di un ricco proprietario terriero, che appena quindicenne si innamorò del brigante Antonio Luongo e si unì alla sua banda. Processata e assolta, preferì suicidarsi piuttosto che continuare a vivere senza il suo uomo. E quella di Filomena Pennacchio, la più celebre delle brigantesse. In seguito all'uccisione del brigante Schiavone, padre del figlio che portava nel grembo, decise di collaborare con il nemico. La sua straordinaria vicenda, dopo essere rimasta a lungo confinata nel mito, è finalmente ricostruita con rigore storico in queste pagine...
Quando, il 7 ottobre del 2006, Anna Politkovskaja fu assassinata rimasi scioccato. La brutalità di una democrazia travestita, per la quale i sovietologi hanno coniato il termine democratura, aveva parlato. Ho trascorso quasi due anni tra Ucraina, Russia e Siberia, per cercare di capire, registrare, viaggiando in compagnia dei miei quaderni da disegno. Cosa era stata l'Unione Sovietica? Così è nato questo libro di storie di persone piccole, che attraverso il racconto mi hanno aiutato a cercare di dipanarlo, questo mistero russo. La scintilla arrivò al mio arrivo a Mosca, il 19 gennaio 2009, quando con un colpo alla nuca furono assassinati l'avvocato, e amico di Anna Politkovkaja, Stanislav Markelov e Anastasia Baburova, stagista della Novaja Gazeta, il giornale che pubblicava i reportage di Anna. Poi certo, Parajanov, il grande regista giorgiano di origine armena, allievo spirituale di Pierpaolo Pasolini. Arrestato e deportato per quasi cinque anni in Siberia. Il suo crimine? Non avere aderito ai canoni del realismo socialista. In compagnia dei suoi film, nei lenti giorni di viaggio ho attraversato in treno il cuore della Siberia e forse compreso un poco della meravigliosa disperazione russa. Un reportage disegnato sottoforma di graphic novel.