
Fra Tre e Cinquecento il Mezzogiorno d'Italia diviene il teatro dello scontro tra le dinastie che si disputano il possesso del Regno, e con esso del Mediterraneo centrale: prima le case regnanti angioina ed aragonese, poi le nascenti monarchie nazionali di Francia e Spagna, ma anche i poteri locali, ostili ad ogni forma di centralizzazione, diedero vita ad una lunga serie di battaglie: più di trenta studiosi provenienti da varie nazioni e di diversi ambiti scientifici (storici, filologi classici e umanistici, italianisti, storici della lingua italiana, dell'arte, dell'architettura e della miniatura) hanno indagato la vasta documentazione letteraria ed artistica prodotta intorno a questi eventi bellici. Descritte in miniature, in affreschi, negli arazzi, nel bronzo o nel marmo, nel latino forbito degli umanisti o nel volgare schietto degli ambasciatori, nei capolavori di Machiavelli o di Guicciardini, le battaglie forniscono un'interessante chiave di lettura per una più approfondita conoscenza del Rinascimento meridionale. Al centro dell'indagine non sono tanto le battaglie in sé, pur qui ricostruite, quanto le loro differenti narrazioni, dove lo svolgimento reale dell'evento bellico finisce spesso per essere dissimulato attraverso un progressivo spostamento dal factus al fictus.
Protagonista di questa storia è la famiglia Pintor, che occupa un posto importante nelle vicende militari, culturali e politiche dell'Italia del Novecento. A narrarla dalle diverse città abitate (Firenze, Roma, Cagliari) è principalmente la voce di Adelaide Dore Pintor, moglie di Giuseppe e madre dei più noti Giaime e Luigi, oltre che di Silvia e Antonietta. Donna colta e ottimista, scrive centinaia di lettere che l'aiutano a mantenere larghi gli orizzonti di una vita sempre più appartata e che ci introducono nel vivo di una storia fatta di spostamenti, di studi, di musica e di romanzi, venata di passioni e di delusioni, di progetti e di lutti; una storia che passa attraverso la belle époque, le guerre mondiali e il fascismo, approdando con quel che resta della famiglia, sgomenta e unita, sulle rive scomposte dell'Italia repubblicana.
Quanto leggevano, e che cosa leggevano, le donne nella prima età moderna? Chi erano, a quali classi sociali appartenevano, quali le loro abitudini e pratiche di lettura? Incrociando storia culturale e indagine sulla vita quotidiana, analisi istituzionale e approccio microstorico, Xenia von Tippelskirch si mette sulle tracce di queste donne lettrici, le scova, le scruta, le analizza, restituendoci un quadro variegato e per niente scontato del nuovo pubblico femminile che si viene delineando in alcune grandi realtà urbane italiane tra Cinque e Seicento. Ricostruisce altresì il ruolo delle autorità ecclesiastiche, gli interventi di disciplinamento e le strategie di controllo dei contenuti e delle coscienze che, nel tentativo di "proteggere" le donne dai pericoli della lettura, miravano alla salvaguardia dell'ordine sociale. All'interno di questo schema, restavano tuttavia dei margini per l'appropriazione individuale: non di una opposizione netta o di sfida aperta pare trattarsi, ma di attitudini più discrete e silenziose nei confronti delle autorità da parte di un pubblico femminile soggetto ad una rigida tutela.
Contessa Lara (Evelina Cattermole) appartiene a quella nutrita schiera di poetesse, scrittrici e giornaliste che nella seconda metà dell'Ottocento si imposero nel panorama editoriale italiano allora in espansione. Di eterea bellezza e di multiforme talento, fu nota non solo per i suoi versi di ispirazione romantica e per i suoi romanzi, ma anche per l'infaticabile collaborazione con le maggiori testate di periodici. Donna libera e anticonformista, la sua vita fu segnata da eventi tragicamente spettacolari: la morte dell'amante ucciso in duello dal marito, le molte relazioni sentimentali e, infine, il suo assassinio per mano dell'ultimo compagno, Giuseppe Pierantoni. Le lettere che qui si pubblicano, scritte nello scorcio dell'estate 1896 durante una vacanza sulla Riviera ligure, erano rivolte proprio a colui che, al suo ritorno, l'avrebbe uccisa con un colpo di pistola. Con un saggio introduttivo di Biancamaria Frabotta.
Nelle società contemporanee, la parola "popolo" sembra più che mai rappresentare il fondamentale termine di riferimento del discorso politico-istituzionale. Nessun attore politico appare, infatti, disposto a rinunciare alla pretesa di parlare "del" popolo e "per il" popolo, giacché è proprio la volontà di quest'ultimo ad attribuire legittimità a decisioni cruciali su confini, costituzioni, regimi e politiche pubbliche. Ma chi è il popolo che rappresenta la fonte ultima dell'autorità politica e quali sono le forme attraverso le quali fa sentire la sua voce? Il percorso di approfondimento storiografico qui proposto vuole dare una risposta a queste domande, addentrandosi in un campo ideologico e discorsivo complesso, nel quale continuano a riproporsi gli elementi costitutivi delle democrazie contemporanee.
Questo libro è una vera avventura biografica: traccia la storia della vita e dell'opera di Nikodim Kondakov, pioniere degli studi tardo antichi e bizantini nell'Europa orientale prima e dopo la Rivoluzione russa; ne segue le vicende complesse e drammatiche, dalle origini modeste agli studi, alla fondazione geniale di un intero e innovatore campo di studi: la pionieristica e precocissima storia dell'arte in Russia; alla carriera, luminosa e fortunatissima, e poi ai traumi della rivoluzione, alla vita raminga, alla precarietà e alla dipendenza dai committenti. Attraverso e nonostante queste fasi drammatiche, che sono fasi della storia, e fasi della vita dello studioso, gli studi di Kondakov disegnano una vasta geografia della cultura tardoantica e medievale tra il Mediterraneo e gli Urali; toccano orizzonti lontani, da cui si intravedono le migrazioni dei popoli asiatici e la nascita composita dell'Europa medievale con i suoi valori cristiani; percorrono i tragitti della storia servendosi delle tracce visive lasciate dal passato, dagli oggetti, e dai monumenti. Ricostruire le vicende biografiche ed esistenziali di Nikodim Kondakov è un complemento indispensabile alla comprensione di una fase critica fondatrice della storia dell'arte e anche, più in generale, della storia della Russia e dei paesi che lo studioso attraversò nella sua lunga e tormentata vita.
Compiere "Un percorso attraverso le fonti" per la storia dei Longobardi significa esplorare i modi con i quali la storia dei Longobardi è stata costruita. Il volume procede in ordine cronologico, dal più antico autore di storie sopra i Longobardi (Procopio di Cesarea) fino al più recente (Paolo Diacono), tentando di offrire uno strumento che consenta di osservare quanto si muove dietro il palcoscenico. Testi di Paolo Cesaretti, Francesco Lo Monaco, Francesco Mores, Walter Pohl
Rachele. Storia lombarda del 1848, scritto in francese da Cristina di Belgiojoso e qui presentato per la prima volta in traduzione italiana, è il romanzo di un “amore rivoluzionario” che ruota intorno alle vicende di una famiglia di contadini nel periodo dei moti di Milano.
La principessa compose il breve romanzo all’indomani dei suoi cinquanta anni, dopo il ritorno a Milano dall’esilio orientale, successivo alle burrascose vicende della Repubblica romana (1849) che l’avevano vista protagonista in qualità di direttrice degli Ospedali militari.
La storia si svolge in una fattoria della Lombardia in pieno Risorgimento e porta all’attenzione dei lettori una serie di tematiche care all’autrice e proprie di quegli anni attraversati da fortissime tensioni politiche e sociali: la mentalità della famiglia patriarcale, la condizione femminile, il pensiero cattolico, l’impegno dei patrioti e la condizione dei rifugiati.
In anni recenti si è assistito a un moltiplicarsi di studi e contributi importanti sulla complessa personalità di Cristina di Belgiojoso, ormai liberata dall’etichetta di donna fatale e bizzarra: in questo processo di risarcimento e di restituzione storico-critica si colloca l’edizione italiana di Rachele.
Alcuni tra i maggiori storici contemporaneisti italiani riflettono su temi e problematiche che hanno accompagnato la costruzione dello Stato-nazione in Italia, cercando di mettere in luce gli aspetti politici, culturali, economici, sociali, istituzionali che hanno caratterizzato questo processo storico all'interno del più ampio contesto dell'Europa dell'Ottocento. Si tratta di partire da una rilettura della vicenda risorgimentale che tenga conto della complessità e della pluralità di istanze e dinamiche, a volte anche ambigue e contraddittorie, che hanno contribuito a connotare il paese all'indomani dell'Unità. Vengono dunque analizzati il passaggio dagli Stati dinastico-territoriali allo Stato-nazione, i legami tra Risorgimento e nuova realtà nazionale, il confine tra i concetti di razza e nazione, i rapporti con la Chiesa e la religione, quelli tra Nord e Sud, e tra centro e periferia, le tensioni e i conflitti, ma anche la cultura e i saperi messi in campo al servizio del nuovo Stato.
Intellettuale socialista, membro dell'Assemblea Costituente, studioso del marxismo e del pensiero politico, parlamentare della Repubblica, Lelio Basso è stato anche uomo d'azione e leader di partito. Sulla base di una vasta documentazione d'archivio in buona parte inedita, questo volume racconta la storia del suo rapporto con il PSI dalla Resistenza alla vigilia del 18 aprile 1948, sullo sfondo del conflitto mondiale, dei drammatici scontri sociali del dopoguerra e della divisione del mondo in blocchi. Basso credeva fermamente nelle potenzialità del PSI, e si adoperò per farne un moderno partito di massa, in grado di guidare uno schieramento progressista alternativo a quello democristiano. Basso era altresì convinto che la democrazia non potesse ridursi all'esercizio del voto, ma che dovesse continuamente nutrirsi della partecipazione attiva dei lavoratori e dei ceti sociali emarginati, anche se fino ad allora completamente estranei alla politica. Si impegnò pertanto a tradurre in termini pratici tale aspirazione, provando a fare del PSI uno strumento di alfabetizzazione democratica e un luogo per praticare democrazia. Il progetto bassiano venne tuttavia vanificato dallo scontro ideologico della guerra fredda: la politica come educazione alla partecipazione democratica venne sconfitta dalla politica di potenza. Non fu però vanificato il contributo dato da questa esperienza alla nascita e allo sviluppo di un moderno sentimento di cittadinanza nel nostro paese.
La ricerca storica è un sistema che non può prescindere dal funzionamento di archivi e biblioteche, dalla preparazione del loro personale, dalle risorse di cui dispongono, dalla loro concreta gestione. In Italia la condizione in cui si trovano tali sedi è a un punto critico: risorse drasticamente ridotte, nessun ricambio del personale, formazione di professionalità dei giovani bruciata dalla mancata stabilizzazione; in questa situazione il mondo degli studi, che vive una parallela riduzione dei fondi di ricerca, rischia di dover svolgere la propria attività in modo sempre meno accurato. Ma questo volume non vuole essere solo un inventario di guai o solo una denuncia del sostanziale abbandono in cui versa il settore: intende rappresentare anche il punto di inizio di un dibattito e di un confronto su progetti e metodologie. Il pane della ricerca deve continuare a uscire dai forni, anche a dispetto di chi dichiara che con la cultura non si mangia.
Federico II di Svevia (1194-1250) è un personaggio dotato di un fascino imperituro, che lo ha portato a godere di una doppia vita: una nel mondo, contingente, l'altra nel mito, immortale. Essere ricordati è il desiderio di tutti i grandi, ma per Federico II - l'eccelso imperatore, l'unico degno di quel nome vissuto nel XIII secolo - è quasi una damnatio, una condanna, ancora maggiore dell'oblio, perché la sua esistenza reale ha finito con l'essere sepolta sotto le concrezioni della memoria trasfigurata. Nel libro si segue il percorso che ha portato Federico II dalla storia al mito, e che, viceversa, ha ricondotto nella storia il protagonista dell'anonimo Itinerarium, il poeta-imperatore capace di improvvisare i motti in versi che ancora oggi identificano molte città pugliesi. Se la figura storica è ricostruibile con l'attenta lettura delle fonti, accanto ad essa si è venuta costantemente a collocare quella mitizzata, che lo stesso Svevo ha ampiamente contribuito a creare, ma che l'ha spesso reso indistinguibile nei tratti autentici. Affrontare l'immagine di Federico II attraverso le attestazioni del suo mito serve a definirne i contorni, ma impone, al tempo stesso, un termine perentorio alle invenzioni fantastiche che l'hanno immersa in una strumentale dimensione atemporale, trasformando tutto ciò che le è correlato - e innanzitutto Castel del Monte - in oscuri e irrazionali simboli esoterici.