
Si levano voci che chiedono di emarginare gli antichi, per esempio a scuola. Sarebbe una amputazione sciocca. Lo studio degli antichi costituisce invece una potente risorsa per comprendere quel che ci accade intorno: il rapporto libertà-dipendenza, la lotta per la cittadinanza, la competenza come requisito della politica. Problemi oggi cruciali che già percorrevano le società antiche. Esse seppero affrontarli, talvolta scegliendo risposte non consolatorie.
In che misura i testi antichi greci e latini che noi leggiamo in copie confezionate almeno un millennio dopo che quelle opere erano state scritte, le rispecchiano fedelmente e quali modifiche hanno subìto? È una questione storica, che ne comporta una più operativa: quando si tenta l'edizione di una di quelle opere, quali procedure ci consentono di muoverci in direzione degli originali? È di questo che si occupa la filologia classica, una disciplina coltivata già nell'antichità, fin dal tempo della Grande Biblioteca di Alessandria nel III e II secolo a.C., e poi affinatasi principalmente come studio della tradizione. In questo volume Luciano Canfora si propone di familiarizzare i lettori con i concetti fondamentali di questa disciplina (variante, archetipo, stemma e soprattutto errore), grazie anche al ricorso ad esempi concreti. Se nei manoscritti a noi giunti non ci fossero errori, i filologi sarebbero disoccupati. Per fortuna ci sono, e perciò gli studiosi da secoli si affannano al fine di ricostruire gli «originali»: e prendono spunto proprio dalle difettose copie che abbiamo tra mano. Questo libro tenta di raccontare successi e sconfitte, delusioni e delizie, di tale incessante lavoro.
"In forma strisciante o in forma aperta, per molte generazioni, la guerra civile era, nelle città greche, "lo stato abituale, regolare, normale: si è nati, si vive, si morrà in essa. Non vi è atto, ambizione o pensiero che non si rapporti ad essa". Riconoscere che un conflitto è stato una guerra civile, cioè una guerra "tra cittadini", dipende dal vincitore. È il vincitore che concede, o non concede, al vinto tale riconoscimento. Che non significa annullare la distinzione tra torti e ragioni. Gli Ateniesi non compirono mai questo sforzo. Nel loro calendario ufficiale l'anno della guerra civile (404/3) era indicato con una formula quasi surreale: "non governo". Come se quell'anno non fosse mai esistito." Ripercorrendo l'opera storiografica di Senofonte, che di quei fatti fu protagonista, Luciano Canfora fa riaffiorare gli snodi drammatici che segnarono il sanguinoso epilogo fratricida della trentennale guerra contro Sparta: dall'elezione dei trenta "tiranni" alla riscossa dei "partigiani democratici" di Trasibulo fino alla violazione del patto di amnistia con l'eccidio di Eleusi. Un "diario" fazioso e apologetico, quello senofonteo, che va dunque raffrontato con le testimonianze di segno opposto, ma non per questo meno prezioso nel restituirci in presa diretta la crisi di un sistema in cui la manipolazione demagogica del consenso e il conflitto tra interessi di ceto, ideali e Realpolitik (temi di sorprendente attualità) aprirono crepe insanabili.
"In forma strisciante o in forma aperta, per molte generazioni, la guerra civile era, nelle città greche, "lo stato abituale, regolare, normale: si è nati, si vive, si morrà in essa. Non vi è atto, ambizione o pensiero che non si rapporti ad essa". Riconoscere che un conflitto è stato una guerra civile, cioè una guerra "tra cittadini", dipende dal vincitore. È il vincitore che concede, o non concede, al vinto tale riconoscimento. Che non significa annullare la distinzione tra torti e ragioni. Gli Ateniesi non compirono mai questo sforzo. Nel loro calendario ufficiale l'anno della guerra civile (404/3) era indicato con una formula quasi surreale: "non governo". Come se quell'anno non fosse mai esistito." Ripercorrendo l'opera storiografica di Senofonte, che di quei fatti fu protagonista, Luciano Canfora fa riaffiorare gli snodi drammatici che segnarono il sanguinoso epilogo fratricida della trentennale guerra contro Sparta: dall'elezione dei trenta "tiranni" alla riscossa dei "partigiani democratici" di Trasibulo fino alla violazione del patto di amnistia con l'eccidio di Eleusi. Un "diario" fazioso e apologetico, quello senofonteo, che va dunque raffrontato con le testimonianze di segno opposto, ma non per questo meno prezioso nel restituirci in presa diretta la crisi di un sistema in cui la manipolazione demagogica del consenso e il conflitto tra interessi di ceto, ideali e Realpolitik (temi di sorprendente attualità) aprirono crepe insanabili.
Chi sono gli oligarchi, sono loro il motore della storia? O la massa dei molti? È questo forse il dilemma principale per chi si cimenti nella ricerca storica. Per Luciano Canfora scrivere storia vuol dire lottare contro gli effetti del progressivo allontanamento dai fatti: in tale lotta "il pathos narrativo, la partecipazione emotiva, non il volgare patetismo, non sono un cascame del lavoro storiografico ma al contrario l'indizio della perdurante vita del passato dentro di noi". Compito dello storico è dunque quello di districarsi tra i documenti e le invenzioni letterarie, in bilico sul limitare di congetture che tentano di scrutare ciò che le fonti non dicono. In queste pagine l'autore interroga l'antichità a proposito di grandi questioni sempre vitali, se non addirittura pungenti, come la giustizia, la cittadinanza, la libertà, il falso: ricordandoci che l'aver avuto ragione "è esso stesso un elemento storico, cioè soggetto al mutamento".
Chi sono gli oligarchi, sono loro il motore della storia? O la massa dei molti? È questo forse il dilemma principale per chi si cimenti nella ricerca storica. Per Luciano Canfora scrivere storia vuol dire lottare contro gli effetti del progressivo allontanamento dai fatti: in tale lotta "il pathos narrativo, la partecipazione emotiva, non il volgare patetismo, non sono un cascame del lavoro storiografico ma al contrario l'indizio della perdurante vita del passato dentro di noi". Compito dello storico è dunque quello di districarsi tra i documenti e le invenzioni letterarie, in bilico sul limitare di congetture che tentano di scrutare ciò che le fonti non dicono. In queste pagine l'autore interroga l'antichità a proposito di grandi questioni sempre vitali, se non addirittura pungenti, come la giustizia, la cittadinanza, la libertà, il falso: ricordandoci che l'aver avuto ragione "è esso stesso un elemento storico, cioè soggetto al mutamento".
La trama intricata delle "cause" che hanno portato alla Grande Guerra è un vero laboratorio per lo studioso di storia. Partendo dalla scintilla dell'attentato di Sarajevo, lo storico Luciano Canfora svolge un'analisi che offre al lettore una prospettiva nuova. Accanto alla discussione dei fatti, delle circostanze e delle interpretazioni, è qui condotto un esame (acuto com'è proprio della scienza del filologo Canfora) delle parole che allora furono dette, e furono mortifere. Questa vivace sintesi si svolge attraverso i principali nodi storiografici: le diverse interpretazioni di parte; i comportamenti delle forze in campo; il rapporto tra i sistemi politico elettorali e i meccanismi delle decisioni; gli "scivolamenti progressivi" che condussero al conflitto; la "colpa tedesca" o la "responsabilità collettiva"; la "guerra degli spiriti" dei grandi intellettuali e degli accademici; la "reazione a catena" delle alleanze; i "falsi di guerra".
Nonostante "il mare abbia inghiottito buona parte della civiltà antica", Canfora riesce a mettere insieme mirabilmente i frammenti del mondo greco, rendendoli familiari e comprensibili. Luciano Canfora insegna Filologia classica all'Università di Bari.
Un profilo di un uomo straordinario. Una interpretazione originale di una delle figure più controverse della storia. Il libro è già stato tradotto e ha suscitato interesse di pubblico e di critica in Germania, Francia, Spagna, America, Brasile. Luciano Canfora insegna Filologia classica all'Università di Bari.
Democrazia: un'idea straordinariamente duttile che ha plasmato il corso della storia europea, dalla Rivoluzione inglese a quella francese, dalla Prima guerra mondiale fino alla guerra fredda e al crollo del Muro. Ripercorrendo le ideologie che l'hanno nutrita e sostenuta, Canfora formula la sua tesi: il meccanismo elettorale è ben lungi dal rappresentare la democrazia. Oggi, nel mondo ricco, ha vinto la libertà, con tutte le sue immani conseguenze. La democrazia è rinviata ad altre epoche.
"All'età di diciannove anni, di mia iniziativa e a mie spese, misi insieme un esercito, grazie al quale liberai la Repubblica dal dominio dei faziosi." Così iniziano le "Res Gestae Divi Augusti", fatte incidere come suo testamento da Augusto ormai vecchio. Un testo minaccioso con il quale Augusto rivendicava la legalità della sua inquietante carriera politica. Ben diverso è il resoconto che ne dà Tacito, grande smascheratore del linguaggio politico: la devozione per il padre Cesare e la situazione politica di emergenza erano stati solo pretesti per la sete di dominio di Ottaviano Augusto che non esitò a schierarsi dalla parte dei cesaricidi, osò arruolare un esercito privato e lo mosse contro Antonio, ebbe quasi sicuramente una oscura parte nella morte dei due consoli in carica e alla fine puntò sulla capitale scortato dall'esercito vincitore. A diciannove anni, si fece attribuire la massima magistratura imponendo come collega un parente che era una semplice comparsa, liquidata fisicamente dopo poche settimane; atterrì, armi in pugno, il Senato imponendogli di avallare una procedura sfacciatamente incostituzionale; avviò, creando una inedita magistratura straordinaria - il "triumvirato" -, le più feroci proscrizioni. Questa la "marcia su Roma" di Gaio Giulio Cesare Ottaviano, figlio adottivo di Cesare, e futuro Augusto, il 19 agosto dell'anno 43 a.C.