
Nei secoli racchiusi tra l'invenzione della stampa e la nascita del diritto d'autore anche gli uomini e le donne più illuminati credevano nella necessità di sorvegliare la circolazione libraria e reprimere le idee considerate dannose per la società. Cosa distinse il sistema di censura romano dai meccanismi di controllo vigenti in altre parti d'Europa? E, soprattutto, in che modo la censura ecclesiastica influì sugli sviluppi della cultura italiana nel corso dell'età moderna? Tenendo insieme in un unico grande affresco dotti e 'senza lettere', letteratura e arte, scienza e filosofia, politica e teologia, questo libro restituisce la voce ai tanti attori che animarono la scena culturale della penisola italiana. Ricostruisce gli strumenti con cui Roma cercò di impedire la diffusione dei libri ritenuti pericolosi e allo stesso tempo gli stratagemmi con cui autori, stampatori e lettori cercarono di aggirare tali controlli. La censura fu eliminazione, soppressione, cancellazione, ma anche sostituzione, restituzione, riscrittura. Il successo della politica religiosa e culturale della Controriforma passò anche per la capacità di restituire ai fedeli una serie di testi atti a sostituire i libri non più disponibili. Il libro scomparve e poi ricomparve sotto forme diverse, lontane ma non del tutto nuove rispetto al loro aspetto originario.
Non sono più i tempi in cui Togliatti dettava la linea agli storici marxisti, in cui lo scontro tra Craxi e Bobbio produceva un mutamento nella linea politica di un partito, in cui gli intellettuali partecipavano appassionatamente alla vita politica del paese. Ormai non è più neanche il periodo delle fondazioni, dei think tank o degli intellettuali ad personam di una ventina di anni fa. Oggi, semplicemente, politica e cultura hanno ritenuto di poter fare a meno una dell'altra. Perché? E soprattutto, come si è prodotta questa frattura? Un racconto delle tappe attraverso le quali si è arrivati a questa stagione del disamore, del disprezzo per i 'professori' da un lato, dell'inconcludenza e della vanità dall'altra. Un racconto che indaga le ragioni del discredito che ha investito le figure del politico e dell'intellettuale negli ultimi trent'anni; analizza il ruolo che in questo processo hanno avuto i mass media e l'università; riflette sulla dissoluzione di quel nesso tra politica e cultura, cruciale nella storia italiana del pieno Novecento. Un libro che, senza giudizi moralistici, pone al centro una delle questioni più significative del nostro tempo.
L'Atlante è l'esito di circa venti anni di ricerche - condotte da una équipe di specialisti dell'Università di Roma "La Sapienza" in collaborazione con la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma - volte alla comprensione e quindi alla restituzione del vero volto, aggiornato e talvolta inedito, della capitale di un impero. Un ruolo decisivo, "visuale", gioca l'apparato iconografico eseguito appositamente per questa edizione. Oltre ai rilievi, ai grafici e alle numerose fotografie delle opere, interessanti e innovative dal punto di vista scientifico, sono le piante di fase che permettono una visione sinottica delle emergenze architettoniche relative alle diverse aree urbane mentre di sicuro impatto risultano le tante ricostruzioni tridimensionali dei monumenti più significativi, di grande formato. Nel primo volume (Testi e immagini) viene indagata la città nel suo insieme: il paesaggio naturale e quello storico con i suoi confini sacri e le suddivisioni politico-amministrative, quello economico con i luoghi della produzione e del commercio, il paesaggio sociale, le infrastrutture e le aree verdi in un'analisi che si spinge fino al Medioevo. Nel secondo volume (Tavole e i indici) viene accuratamente descritta l'Urbs nelle quattordici regiones augustee. Ogni capitolo consta di un testo chiaro e narrativo che traccia la storia della singola regio.
I misteri delle origini di Roma si annidano nei 31 ettari del Palatino che si affacciano sul Tevere, lì dove un tempo si ergeva il monte Germalus: prima villaggio dei Velienses, poi centro 'proto-urbano' del Septimontium e infine urbs Roma. Tre abitati forse tutti fondati tra il 1050 e il 750 a.C., nel giorno di un capodanno pastorale anteriore alla città fissato al 21 aprile. Metà di questo monte è rimasta un luogo di culti e di memorie, l'unico risparmiato dai palazzi dei principi; l'altra metà è stata occupata dal primo palazzo di Augusto, che ha rifondato la città nella casa-santuario da cui governava l'impero come principe e pontefice massimo. "Dal mostro al principe. Alle origini di Roma" indaga l'essenza mitica e storico-archeologica del monte Germalus, con una ricerca nuova e sistematica: dal ritrovamento dell'altare e del penetrale di Pales ai nuovi studi sui templi di altri culti femminili e sulle capanne prima dei capi locali, poi del primo re; dal riesame del palazzo di Augusto, che ne propone una ricostruzione nuova sotto numerosi aspetti, alla riconsiderazione delle diverse fondazioni dell'abitato sul Tevere. Un racconto mitico, sacrale, rituale e storico che svela il significato più profondo del luogo dove Roma è stata fondata.
I misteri delle origini di Roma si annidano nei 31 ettari del Palatino che si affacciano sul Tevere, lì dove un tempo si ergeva il monte Germalus: prima villaggio dei Velienses, poi centro 'proto-urbano' del Septimontiume infine urbs Roma. Tre abitati forse tutti fondati tra il 1050 e il 750 a.C., nel giorno di un capodanno pastorale anteriore alla città fissato al 21 aprile. Metà di questo monte è rimasta un luogo di culti e di memorie, l'unico risparmiato dai palazzi dei principi; l'altra metà è stata occupata dal primo palazzo di Augusto, che ha rifondato la città nella casa-santuario da cui governava l'impero come principe e pontefice massimo. Dal mostro al principe. Alle origini di Romaindaga l'essenza mitica e storico-archeologica del monte Germalus, con una ricerca nuova e sistematica: dal ritrovamento dell'altare e del penetrale di Palesai nuovi studi sui templi di altri culti femminili e sulle capanne prima dei capi locali, poi del primo re; dal riesame del palazzo di Augusto, che ne propone una ricostruzione nuova sotto numerosi aspetti, alla riconsiderazione delle diverse fondazioni dell'abitato sul Tevere.Un racconto mitico, sacrale, rituale e storico che svela il significato più profondo del luogo dove Roma è stata fondata.
Attorno alle origini di Roma esiste una complessa, affascinante leggenda che l’opera della Fondazione Valla intende ricostruire su basi nuove. Essa si articola in quattro volumi (il primo uscito nel 2006; il secondo nel 2010; il quarto – La morte di Tito Tazio e la fine di Romolo – previsto per il 2012) e offre al lettore un’ampia raccolta di fonti (annalistiche, antiquarie e poetiche; da Esiodo ai Padri della Chiesa) divise per «mitemi» o unità mitiche fondamentali, e analizzate comparativamente alla ricerca dei «motivi canonici» fissati dalla tradizione e di una stratigrafi a del mito confrontata con gli scavi archeologici. Se il secondo volume, ripercorrendo le vicende del ratto delle sabine e della conseguente guerra romano-sabina, si concludeva con la riconciliazione fra i due popoli e la creazione di uno stato comune, il terzo volume è dedicato in maniera specifica e approfondita alla costituzione, che della vita comune è il fondamento: organizzazione civica ed esercito, divisione dei poteri e spartizione del territorio, e poi feste e costumi, riti, leggi e istituzioni che dagli eventi narrati traggono la loro origine.
In questo volume - secondo dell'opera della Fondazione Valla sulle origini di Roma - la vicenda è quella del primo accrescimento della città. Racconta Livio che, poco dopo la fondazione, Roma era già così forte da eguagliare ogni popolazione confinante, ma "per la scarsità di donne la grandezza sarebbe durata solo una generazione". Allora Romolo architettò un inganno straordinario: predispose dei giochi grandiosi in onore di Nettuno Equestre, ordinando che se ne desse notizia fra i vicini. Fra di essi, con figli e mogli, i Sabini. Un tumulto sollevato ad arte durante lo spettacolo offrì il destro ai romani di precipitarsi a rapire le donne degli ospiti. Mariti e parenti umiliati si radunarono sotto Tito Tazio per rispondere a Roma con le armi. È la prima delle guerre romane del successivo millennio. Ma è anche l'occasione per stabilire una pace su basi nuove, con una lungimirante politica di assimilazione. Gli storici narrano che i romani si diedero a blandire in primo luogo le donne, promettendo loro cittadinanza, beni e prole, e giustificando l'atto con la passione d'amore. Poi, mentre infuriava la battaglia fra Romani e Sabini, le donne stesse s'interposero fra i combattenti, la pace fu stabilita, e di due popoli "si fece un popolo solo". Il volume presenta tutta la documentazione storico-mitica di questi primordi e ne offre un'interpretazione originale: dal ratto delle donne alla prima espansione militare fino alla pace finale con la diarchia Romolo-Tito Tazio.
Questo saggio ripercorre, fra mito, fonti letterarie e ritrovamenti archeologici, le tappe dell'insediamento romano dal 1700 al 750-725 a.C. Questa seconda edizione è corredata da aggiornamenti a cura dell'autore, docente di archeologia classica all'Università di Roma La Sapienza.
Gli storici di Roma contemporanei datano la sua fondazione ancora prevalentemente alla fine del VII secolo, ma la tradizione antica la fa risalire alla metà dell'VIII. Secondo Tacito, Romolo eresse intorno al Palatino il muro fondante. La corrispondenza fra questo «avvenimento» della saga romulea e la scoperta fatta da Carandini di un edificio proprio nel luogo indicato dal mito è singolare e rimette in questione l'idea che i miti siano sempre e soltanto favole affermando, piuttosto, che i miti possono a volte servire a fondare la realtà.
Chi ha ucciso il re
Tarquinio Prisco?
E chi è davvero
il suo successore
Servio Tullio,
bastardo nato da
una serva e da un dio?
Una grandiosa ricostruzione
storica svela l'enigma alle origini
della potenza di Roma.
578 A.C., una congiura di aristocratici uccide Tarquinio Prisco, quinto re di Roma. Sua moglie, la regina Tanaquil, convince il popolo che il re non è morto ma giace ferito, e che le sue funzioni saranno rette da Servio Tullio. Ma chi è veramente quest'uomo che avrà presto in mano il destino di Roma? Le sue origini, come quelle di Romolo, sono avvolte in un mistero che ha resistito fi no ai giorni nostri. Nato da una serva, Servio è per Tanaquil una sorta di fi glio adottivo, cresciuto sotto la sua ala protettrice e per Tarquinio è il successore predestinato, a cui ha aperto la strada nominandolo comandante dell'esercito. È il "divino bastardo", un illegittimo dalla natura prodigiosa. Carandini, archeologo di fama mondiale, ripercorre le tappe della sua ascesa, indagando storia e mito nelle fonti antiche e nell'affresco di una tomba di Vulci, che svela l’enigma di questo primo tiranno di Roma, riformatore e anticipatore della Repubblica. È la storia di un re nato servo che, contrastando i privilegi dei patrizi, apre la strada alle grandi riforme grazie alle quali Roma diventa una grande città e una potenza nel Mediterraneo.
ROMA, 510 A.C. Tarquinio il Superbo, salito al trono usurpando il potere di Servio Tullio, tiranneggia il popolo, asserragliato nella dimora regia. Ha intorno la perfi da Tullia, sua moglie, i fi gli e una corte di adulatori e delatori. Ogni assemblea popolare è stata soppressa e nella piazza pubblica del Foro, abbandonata, crescono le erbacce. Un uomo solo ha il coraggio di opporsi al tiranno: è Lucio Giunio Bruto, suo parente. È cresciuto alla corte del re, dopo che questi aveva sterminato la sua famiglia, e lui si era salvato fi ngendosi brutus, idiota. La scintilla che fa scattare la vendetta è lo stupro di Lucrezia da parte di Sesto, fi glio debosciato del tiranno. Bruto estrae dal petto della matrona il pugnale con cui si è uccisa, per la vergogna di essere stata violata, e su di esso giura, con il marito, il suocero e un amico, di liberare i concittadini dal giogo del Superbo. Al racconto dello stupro, il popolo di Roma si rivolta, abolisce la monarchia, affi da il governo a due consoli e ristabilisce le assemblee popolari. La Repubblica viene così fondata sulla base di un principio fondamentale: la legge è uguale per tutti. È la fi ne di ogni privilegio. In queste pagine, Carandini riprende la saga dei Tarquini, tracciando un affresco storico che attraverso lo studio delle fonti ricostruisce eventi, passioni e idee di uno dei momenti cruciali della storia di Roma, divenuto simbolo universale di libertà: monito valido anche nei nostri giorni, contro ogni aspirazione a un potere arbitrario o enorme.
Andrea Carandini è autore di importantissime scoperte archeologiche tra cui le mura del Palatino e il santuario di Vesta risalenti all’VIII secolo a. C., l’epoca di Romolo. Tra i suoi libri, il monumentale La nascita di Roma (Einaudi 1997, 2a 2003), Archeologia del mito (Einaudi 2002), Remo e Romolo (Einaudi 2006) Roma. Il primo giorno (Laterza 2007) e Archeologia classica (Einaudi 2009). Nel febbraio 2009 è stato nominato presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali.