
Quando i ghiacci si sciolsero tra 15.000 e 8.000 anni fa e il livello del mare si alzò, l'acqua coprì più di 25.000 chilometri quadrati di terra abitabile alterando radicalmente la forma del mondo. Con l'aiuto della più sofisticata tecnologia computeristica per disegnare il modificarsi delle coste, l'autore scopre impressionanti conferme degli antichi miti. E così indossa la muta e si immerge alla ricerca di resti che, incredibilmente, sono esattamente dove gli antichi testi li indicano.
Due grandi misteri percorrono la storia della tradizione occidentale: il Sacro Graal, il "calice del sangue" usato da Gesù nell'Ultima Cena, e l'Arca dell'Alleanza, costruita dall'antico popolo israelita per contenere le tavole dei Dieci Comandamenti. La Bibbia è ricca di riferimenti all'Arca e al suo potere immenso di distruggere armate e spianare montagne, ma le sue tracce si perdono nel mistero. All'improvviso, dopo la caduta del Tempio di Salomone, ogni riferimento alla reliquia scompare dai documenti. Stessa sorte accaduta al Graal. Svanito nel nulla.
In un viaggio avventuroso tra Europa, Medio Oriente ed Etiopia, sfidando mille pericoli, Graham Hancock va alla ricerca dell'Arca, risalendo all'origine di miti e leggende, rovistando in archivi polverosi, tra reperti, documenti storici e società segrete. E riesce dove molti altri studiosi hanno fallito. Scopre che le storie del Graal e dell'Arca si intrecciano e si confondono e chiamano in causa crociati, Templari, massoni, epiche battaglie e sovrani di tutta Europa.
Avvincente come un thriller, ma riccamente documentata, una grande indagine che svela dove si trovano, come ci sono arrivati, e perché vengono tenuti nascosti due dei più simbolici manufatti della storia.
"Ho bisogno solo di qualche migliaio di morti da gettare sul tavolo delle trattative": così nell'estate del 1940 Mussolini giustifica all'allora capo di stato maggiore, Pietro Badoglio, l'ingresso dell'Italia nella Seconda guerra mondiale. E quando un anno dopo Hitler invade la Russia il Duce, abbagliato dalla possibilità di una vittoria veloce a fianco dei nazisti e della spartizione del bottino, invia in poche settimane un corpo di spedizione a sostegno delle truppe tedesche. Il prezzo di questa decisione, frutto di un calcolo cinico quanto catastroficamente sbagliato, è altissimo: dei 220.000 soldati italiani che nella primavera 1942 sono dislocati sul Don solo 100.000 tornano a casa. Impreparati sul piano militare, mal equipaggiati, guidati da comandi incompetenti e costretti a subire continue umiliazioni anche dai propri alleati, soccombono alla forza d'urto dell'esercito sovietico e al martirio della ritirata, alla fame, al gelo, alle condizioni disumane dei campi di lavoro e di rieducazione. Alla fine della guerra, le esigenze dei veterani si perderanno nel turbinio della retorica patriottica e la verità sul trattamento ricevuto da parte dei russi e le grandi sofferenze patite verrà sacrificata alle esigenze della propaganda politica: "Dite che siete stati bene" ordinerà qualcuno. A settant'anni dalla campagna di Russia, Hope Hamilton ripercorre la storia del corpo degli alpini attraverso le testimonianze di chi partecipò alla spedizione.
In breve
“Doveva esserci una qualche trama, un qualche disegno, una qualche cospirazione all’origine della Grande depressione. E così sempre più gente cominciò a credere che dietro la trama, il disegno o la cospirazione si celassero l’astuzia e l’avidità ebraiche.” Documentata e argomentata, la risposta a uno degli interrogativi storici più inquietanti: perché gli Stati Uniti e l’Europa democratica rimasero così a lungo a guardare di fronte allo sterminio nazista degli ebrei?
Il libro
È ormai noto che la notizia dello sterminio sistematico degli ebrei ad opera dei nazisti circolava in Europa e negli Stati Uniti fin dal 1942. Eppure ci vollero tre lunghi anni prima che si ponesse fine alla barbarie del genocidio. Nel frattempo, nessuna azione militare specificamente finalizzata a sabotare la macchina nazista dell’orrore. Nessuna iniziativa diplomatica esplicitamente rivolta a fermare la mano degli aguzzini. Anzi, l’accoglienza di rifugiati ebrei in fuga dalla Germania fu resa ancor più difficile e le porte delle frontiere si chiusero per loro quasi ermeticamente. Perché?
Theodore Hamerow fornisce a questo inquietante interrogativo storico, ancora vivo a tanti anni dalla fine della guerra, una risposta sgradevole ma molto precisa: l’Olocausto non fu fermato prima perché anche le democrazie occidentali furono percorse al loro interno da una fortissima ondata di antisemitismo, che impedì ai governi di prendere misure concrete in soccorso degli ebrei. Perfino negli Stati Uniti, si tentò di far passare le notizie sullo sterminio per semplice propaganda e la questione ebraica come un problema locale. E poi come avrebbero reagito le altre minoranze se si fosse intervenuti solo in favore degli ebrei? La guerra andava combattuta, ma in nome della sicurezza nazionale e non certo per sottrarre gli ebrei al loro destino.
Frutto di un vastissimo lavoro d’archivio, il libro di Hamerow documenta per la prima volta in modo sistematico perché l’Occidente lasciò mano libera alla follia omicida nazista. Con una conclusione amara: pur sconfitto, Hitler in un certo senso ha vinto perché è riuscito a spazzare via gli ebrei dall’Europa.
È ormai noto che la notizia dello sterminio sistematico degli ebrei a opera dei nazisti circolava in Europa e negli Stati Uniti fin dal 1942. Eppure ci vollero tre lunghi anni prima che si ponesse fine alla barbarie del genocidio. Nel frattempo, nessuna azione militare specificamente finalizzata a sabotare la macchina nazista dell'orrore. Nessuna iniziativa diplomatica esplicitamente rivolta a fermare la mano degli aguzzini. Anzi, l'accoglienza di rifugiati ebrei in fuga dalla Germania fu resa ancor più difficile e le porte delle frontiere si chiusero per loro quasi ermeticamente. Perché? Theodore Hamerow fornisce a questo inquietante interrogativo storico una risposta sgradevole ma molto precisa: l'Olocausto non fu fermato prima perché anche le democrazie occidentali furono percorse al loro interno da una fortissima ondata di antisemitismo, che impedì ai governi di prendere misure concrete in soccorso degli ebrei. Perfino negli Stati Uniti, si tentò di far passare le notizie sullo sterminio per semplice propaganda e la questione ebraica come un problema locale. Frutto di un vastissimo lavoro d'archivio, il libro di Hamerow documenta in modo sistematico perché l'Occidente lasciò mano libera alla follia omicida nazista. Con una conclusione amara: pur sconfitto, Hitler in un certo senso ha vinto perché è riuscito a spazzare via gli ebrei dall'Europa.
Personaggio fascinoso, che la letteratura ha contribuito a mitizzare, Costanza d'Altavilla, regina di Sicilia e imperatrice del Sacro romano impero, deve molta della sua fama al figlio, quel Federico II protagonista, nel duecento, delle lunghe e sanguinose lotte fra impero e papato. La sua storia è carica di tanti interrogativi e di altrettanti misteri ai quali, anche per pregiudizi ideologici, si sono date delle risposte spesso approssimate. A tali interrogativi e ai relativi misteri l'autore, seguendo un rigoroso percorso di ricerca, in questa biografia offre delle risposte e delle chiavi interpretative che ci restituiscono un'immagine nuova e non convenzionale di una donna, tradizionalmente raccontata come capace di dominare gli eventi ma, in realtà, estremamente fragile che, suo malgrado, è stata costretta a essere attore non secondario della storia del Meridione d'Italia.
Fra il 1914 e il 1918 nel relativamente piccolo spazio mediterraneo si affrontarono le Marine inglese, francese, italiana, russa, da una parte, alle quali poi si aggiunsero quella giapponese e americana, e tedesca, austro-ungarica e turca, dall'altra. A quel mosaico di settori, campagne e operazioni, apparentemente slegati l'uno dall'altro, è corrisposta nella storiografi a navale una grandissima quantità di studi, narrazioni e memorie, spesso assai valide, ma altrettanto scollegate, non sorrette da quella visione d'insieme che Halpern riesce, invece, per la prima volta a dare del teatro mediterraneo, partendo da un'imponente opera di ricerca incrociata in tutti gli archivi, mai prima svolta. Ciò consente al lettore, da un lato, di farsi un'idea più precisa sull'importanza del Mediterraneo nel quadro della guerra marittima e, in generale, del Primo conflitto mondiale, dall'altro, di apprezzare meglio il ruolo e il peso effettivamente assunti dai singoli settori e dalle singole Marine. Connessa è l'indagine che l'autore ha condotto su ambiti, poco o punto esplorati, come gli orientamenti politico-militari degli alti comandi navali, i piani di guerra e la stessa genesi delle operazioni navali nonché i rapporti fra le Marine all'interno dei rispettivi campi di lotta, i reciproci giudizi e le relazioni fra queste, la politica e le altre forze armate.
La grande guerra nel Mediterraneo, la cui edizione originale in lingua inglese è apparsa nel 1987, è il primo lavoro di Paul Halpern ad essere presentato al lettore italiano. Fra il 1914 e il 1918 nel relativamente piccolo spazio mediterraneo si affrontarono le Marine inglese, francese, italiana, russa, da una parte, alle quali poi si aggiunsero quella giapponese e americana, e tedesca, austro-ungarica e turca, dall'altra. A quel mosaico di settori, campagne e operazioni, apparentemente slegati l'uno dall'altro, è corrisposta nella storiografi a navale una grandissima quantità di studi, narrazioni e memorie, spesso assai valide, ma altrettanto scollegate, non sorrette da quella visione d'insieme che Halpern riesce, invece, per la prima volta a dare del teatro mediterraneo, partendo da un'imponente opera di ricerca incrociata in tutti gli archivi, mai prima svolta. Ciò consente al lettore, da un lato, di farsi un'idea più precisa sull'importanza del Mediterraneo nel quadro della guerra marittima e, in generale, del Primo conflitto mondiale, dall'altro, di apprezzare meglio il ruolo e il peso effettivamente assunti dai singoli settori e dalle singole Marine. Connessa è l'indagine che l'autore ha condotto su ambiti, poco o punto esplorati, come gli orientamenti politico-militari degli alti comandi navali, i piani di guerra e la stessa genesi delle operazioni navali nonché i rapporti fra le Marine all'interno dei rispettivi campi di lotta.
Lo scontro fra la superpotenza americana e il piccolo nord-Vietnam comunista fu un drammatico banco di prova per gli equilibri del mondo bipolare e per l'opinione pubblica statunitense e occidentale. Il volume ripercorre la storia della guerra in Vietnam dalle sue lontane origini negli anni Quaranta sino al disimpegno americano nel 1973 e alla conquista di Saigon nel 1975, concentrandosi non solo sugli avvenimenti militari ma sul contesto internazionale dell'intervento e sulle ripercussioni interne agli Stati Uniti dove l'opposizione alla guerra fu uno degli elementi forti che coagularono la rivolta giovanile.
Il volume ripercorre la storia della guerra in Vietnam dalle sue lontane premesse storiche negli anni Quaranta sino al disimpegno statunitense nel 1973 e all'arrivo dei nord-vietnamiti a Saigon nel 1975. Il resoconto si concentra non solo sugli avvenimenti militari ma anche sul contesto internazionale dell'intervento americano e sulle ripercussioni interne agli Stati Uniti, dove l'opposizione alla guerra fu uno degli elementi forti attorno a cui, alla fine degli anni Sessanta, si coagularono la rivolta giovanile e un vasto movimento di opinione.
Mitchell K. Hall insegna Storia nella Central Michigan University. Ha pubblicato anche "Crossroads: American Popular Culture and the Vietnam Generation" (2005) e "Historical Dictionary of the Nixon-Ford Administrations" (2008).