
Il percorso della città in Europa dalla tarda romanità fino al XII secolo. Con la sua caratteristica capacità di cogliere la vita pulsante delle comunità storiche, uno dei più grandi storici del Medioevo mostra l'evoluzione del commercio nel Mediterraneo fino alla fine dell'VIII secolo, la sua decadenza nel IX secolo e la rinascita poi dei centri urbani che si accompagnò alla formazione di un nuovo ceto, la borghesia.
Quando è possibile iniziare a parlare di Medioevo? Quando la storia europea comincia a diventare del tutto nuova rispetto all'antichità romana? Secondo Pirenne, solo dal VII secolo, quando l'avanzata improvvisa e violenta dell'Islam spezzò l'unità mediterranea, dal punto di vista commerciale e culturale, in quanto costrinse l'impero bizantino a concentrare le sue energie sul fronte orientale, disinteressandosi del Mediterraneo. L'Occidente si ripiegò su se stesso, e l'asse della vita europea si spostò verso il Nord: conseguenza principale di questa situazione fu la nascita, al principio del IX secolo, dell'Impero carolingio che, da un lato, istituzionalizzò le strutture feudali e dall'altro si alleò col potere spirituale della Chiesa di Roma.
Due sono i protagonisti di questo libro: il cardinale castigliano Gil Albornoz e l’Italia, in cui il cardinale fu inviato dai papi di Avignone dal 1353 al 1367.
In quegli anni Albornoz assunse il ruolo di indiscusso protagonista nella storia politica e militare e seppe riorganizzare profondamente lo Stato della Chiesa, tanto che nella tradizione storiografica ne è considerato il secondo fondatore, dopo Innocenzo III.
L’autore non propone una biografia tradizionale d’impianto cronologico, bensì indaga gli ambiti nei quali si svolse la missione di Albornoz per tentare una sintesi, che consenta di comprendere meglio i cambiamenti nella storia d’Italia. Sia sotto il profilo politico, nella costante ostilità verso i Visconti di Milano, sia per l’aspetto militare, nell’urgenza di una Penisola invasa dalle truppe mercenarie europee, o nella riconfigurazione dei poteri all’interno dello Stato della Chiesa, l’attività di Albornoz fu vigorosa.
Se il suo ruolo di legato dei papi avignonesi si poneva sul solco di una tradizione che percorre tutto il Trecento, è indubbio però che la sua forte personalità e la sua personale visione sulla realtà italiana seppero dar vita ad assetti e soluzioni innovative.
Il libro indaga luci e ombre di questa vicenda, talora complicata dai difficili rapporti fra Albornoz e i papi di Avignone, e valorizza al contempo il ricco lascito ereditario del cardinale: il Collegio di Spagna di Bologna, istituito dal cardinale nel suo testamento, è infatti il più antico collegio universitario italiano che abbia conosciuto una vita ininterrotta fino ad oggi.
Francesco Pirani
è ricercatore in Storia medievale all’Università di Macerata. Si occupa di storia istituzionale, in particolare della civiltà comunale e signorile, e rivolge al contempo i suoi interessi alle strutture politiche dello Stato della Chiesa. Tra le sue pubblicazioni: Tiranni e città nello Stato della Chiesa. «Informatio super statu provincie Marchie Anconitane» (1341), 2012.
«Perché lo facciamo? Per rispettare la necessità della Storia, che non ha bisogno soltanto di accadimenti straordinari ma vive della vita segreta delle persone, del riflesso che i grandi fatti hanno su quanti ne sono stati vittime ed eroi insieme». Forti di questa convinzione, Claudio e Stefano, cugini romani, rievocano ciò che hanno conosciuto solo attraverso il racconto di nonni e genitori: quanto avvenne in Italia dai primi decreti antiebraici del 1938 alla Liberazione. Per ritrovare le proprie origini, scelgono di avviare una fitta corrispondenza in cui rivivono quegli anni tra memoria collettiva e ricordi familiari, note personali e preziosi documenti, in particolare il diario tenuto in quei terribili mesi da Maurizio Bondì, padre di Claudio, le cui parole interrogano, decifrano, citano. Sorprendentemente, ciò che ne ricavano non è affatto il plumbeo resoconto di un precipitare nell'abisso né uno sconfortato chiosare su un tragico destino, ma l'esatto opposto: una vitalità che le pagine stentano a contenere, una quotidianità gioiosa fatta di oggetti, stoffe, arredi, ricettari, di relazioni, scorci e paesaggi che appartengono a un'Italia ormai scomparsa. Tra ricostruzione storica e riflessione sul significato della memoria, gli autori restituiscono intatti la tenacia e l'entusiasmo di quei ragazzi che trasformarono la debolezza in forza e non permisero che fossero l'angoscia o il risentimento a dettare l'agenda emotiva dei loro anni a venire. Un flusso di coscienza che non si interrompe, ma si lega alle riflessioni che Alessandro Piperno, figlio di Stefano, ha voluto consegnare a un lungo testo conclusivo, nella consapevolezza che «non c'è nulla di più ebraico di un commento al commento: lo sfrenato dialogo intergenerazionale in cui la memoria si mescola all'eloquenza, l'eloquenza al sentimento, il sentimento alla storia». Postfazione di Alessandro Piperno.
Un protagonista dell'attività editoriale Einaudi, figura mitica dell'antifascismo, e una studentessa, erede della tradizione di critica teatrale della famiglia d'Amico, tra il 1941 e il 1943 avviano un epistolario. Un affresco degli anni di guerra e dell'Italia di allora, raccontato tra le righe di una delicata storia d'amore.
Nel basso Medioevo una parte importante della popolazione urbana era costituita da manodopera dipendente, impegnata nelle manifatture tessili, nei cantieri edili, nella metallurgia, nelle attività portuali, nelle botteghe artigiane. Conoscere meglio quali furono l'organizzazione del lavoro, la tipologia della manodopera impiegata, le competenze e le abilità richieste, i contratti di ingaggio, i salari corrisposti, i regimi alimentari, gli istituti e le confraternite destinati all'assistenza dei lavoratori, significa far luce su aspetti non secondari della società e dell'economia medievale.
Il brigantaggio fu l'eroica resistenza meridionale al colonialismo sabaudo o la sfida allo Stato di bande criminali? La guerra per il Mezzogiorno concluse la crisi del Regno delle Due Sicilie, determinò il successo dell'unificazione italiana e marcò la complicata partecipazione del Mezzogiorno alla nazione risorgimentale. Iniziò nel settembre del 1860, dopo il successo della rivoluzione unitaria e garibaldina, e si protrasse per un decennio, mobilitando re e generali, politici e vescovi, soldati e briganti, intellettuali e artisti. Non fu uno scontro locale, perché coinvolse attori politici e militari di tutta la penisola e d'Europa, ma non fu neppure una guerra tradizionale: i briganti, le truppe regolari italiane, i volontari meridionali si sfidarono nelle valli e nelle montagne in una guerriglia sanguinosa, del tutto priva dei fasti risorgimentali. Si mescolarono la competizione politico-ideologica tra il movimento nazionale italiano e l'autonomismo borbonico; l'antico conflitto civile tra liberalismo costituzionale e assolutismo; la lotta intestina tra gruppi di potere, fazioni locali, interessi sociali che avevano frammentato le città e le campagne meridionali. Questo libro, per la novità di materiali e documenti usati e per la vastità delle ricerche compiute, offre una prospettiva sulla guerra di brigantaggio che innova interpretazioni fino a oggi date per acquisite.
Sulle rive dell'Ofanto, nel Mezzogiorno italiano, un secolo e mezzo fa si svolse una grande sfida. Da una parte c'era il brigante, Carmine Crocco. Pastore, militare, bandito di professione, divenne il capobanda più famoso nelle campagne meridionali dopo il 1860. Alla guida del brigantaggio filoborbonico, sperimentò forme di guerriglia che avranno fortuna nel XX secolo, anticipandone gli aspetti politici e una organizzazione criminale su larga scala. Dall'altra parte, il generale, Emilio Pallavicini di Priola, aristocratico sabaudo, militare esperto in operazioni speciali e al comando di reparti schierati nella campagna contro il brigantaggio. L'ufficiale era parte dell'antica aristocrazia di spada e interpretò la conclusione di un processo secolare, in cui i ruoli militari passavano definitivamente ai professionisti della guerra. Nel primo decennio dell'Italia unita furono questi due uomini, lontanissimi per origine e formazione, i protagonisti più conosciuti della guerra per il Mezzogiorno. Carmine Pinto racconta le loro 'vite parallele' e, attraverso queste, gli episodi, i luoghi, le battaglie e le leggende, la guerra tra il primo esercito nazionale e l'ultimo dell'antico regime, fino allo scontro finale e al sorprendente epilogo delle loro esistenze.
Antonio Pinelli insegna Storia dell'arte moderna all'Università di Pisa. Ha pubblicato, fra l'altro, "La Bella maniera. Artisti del Cinquecento tra regola e licenza", "Nel segno di Giano. Passato e presente nell'arte europea tra Sette e Ottocento", "Roma instaurata. Arte del Quattrocento alla corte di papi e cardinali". In questo volume analizza il difficile rapporto tra arte e potere, sempre in bilico tra mecenatismo e asservimento, committenza e manipolazione.
L'opera d'arte riflette in sé una somma di fattori: la personalità dell'artista, le richieste del committente, il peso della tradizione, il riflesso della cultura contemporanea. A volte i colori possono incarnare un particolare significato, diverso da epoca a epoca e da luogo a luogo (per esempio in Occidente il colore del lutto è il nero, mentre in Cina è il bianco), e perfino i gesti non hanno una lettura univoca: ciò che da noi esprime dileggio, può risultare incomprensibile ad altri popoli. Ricostruire il contesto cronologico e territoriale di un'opera d'arte, e apprezzarne appieno il significato, può dunque voler dire decifrare codici divenuti per noi incomprensibili. Compito dello storico dell'arte è attivare tutti i canali conoscitivi - documentari, storico-filologici, iconologici, di analisi del contesto e della committenza, di storia del gusto e della fortuna critica per approssimarsi il più possibile all'interpretazione autentica dell'opera. Questo libro, che si avvale di una sezione iconografica, si propone di far acquisire al lettore uno sguardo critico e metodologicamente aggiornato sulla storia dell'arte, collocando le opere sullo sfondo di questioni più ampie, quali il ruolo sociale dell'artista nelle diverse epoche - misurato anche sulla base del valore attribuito all'opera in termini di prezzo - o il significato e i limiti delle cosiddette "etichette storico-critiche", come Gotico, Manierismo, Barocco o Rococò.
Dopo aver analizzato moventi, caratteristiche e protagonisti del cosiddetto Neoclassicismo, questo libro passa ad indagare tutti quei movimenti artistici che radicalizzarono il ritorno all'antico prescritto dall'estetica neoclassica, opponendogli modelli ancor più arcaici o comunque diversi, ma altrettanto remoti dal presente. Si passano così in rassegna i "Primitifs", cresciuti in seno alla Scuola di David ma che ne estremizzarono i precetti, i Nazareni, i Puristi, i Preraffaelliti e tutte quelle tendenze che trovarono un comun denominatore nella teoria e nella pratica dell'"avanzare regredendo", nel mescolare l'arte alla vita, e, da ultimo, nel rifiuto della società industriale, percepita come minaccia alla sopravvivenza stessa dell'arte.