
Se è vero che nessuna battaglia si è mai svolta come era stata programmata né come viene raccontata dai vincitori, nel caso di Caporetto, che la storiografia non è ancora riuscita a spiegare compiutamente, agli errori si sommano volontà mistificatrici che l'hanno resa un simbolo ambiguo. Partendo dal volume che le dedicò in occasione del cinquantesimo anniversario, Mario Isnenghi torna sull'episodio della nostra storia che più di tutti ha rappresentato uno «scatenamento dell'immaginario, il virtuale che si sovrappone al materiale»: qualcosa che va molto oltre la dimensione militare ed entra nella psicologia e nella politica del nostro paese. Restituendo la parola ai «sommersi» e ai «salvati», emerge infatti il quadro di una situazione in cui, in assenza di informazioni oggettive, ciascuno reagì secondo le proprie ideologie e pregiudizi, producendo alternativamente moti d'orgoglio e letture devianti, la cui influenza arriva fino a oggi. Uno snodo cruciale tutto da chiarire, per trovare un filo conduttore che va ben oltre la rievocazione e il ricordo.
Questa solida sintesi della Grande guerra è frutto del lavoro di due storici diversi ma affini: l'uno, Rochat, esperto della dimensione prettamente militare; l'altro, Isnenghi, versato nella storia della cultura e degli intellettuali. Il volume intreccia così felicemente due filoni di studio per raccontare vicende politiche e culturali ma anche operazioni militari, ideologie e sogni ma anche cifre e fatti: il racconto stringente di come la guerra fu voluta e non voluta, condotta e contestata, maledetta e ricordata, di quale ruolo vi giocarono le forze politiche e gli intellettuali, di quale fu l'agire e il pensare di generali, soldati e società civile, donne, prigionieri.
Le politiche razziali del fascismo furono dettate esclusivamente da scelte di politica estera, e in particolare dall'alleanza stretta con Hitler, oppure ebbero radici e motivazioni autoctone? Razzismo e antisemitismo furono elementi costitutivi dell'ideologia fascista? Quale fu il coinvolgimento della società italiana? E quale il contributo di scienziati e intellettuali? Sono alcuni degli interrogativi cruciali con cui negli ultimi anni si è confrontata la storiografia, nell'intento di fare luce su origini e messa in opera delle leggi razziali antiebraiche volute dal regime nel 1938. Giorgio Israel torna sull'argomento e in questo libro documenta con rigore come il razzismo di Stato trovasse sostegno in talune elaborazioni teoriche della scienza italiana, dall'antropologia all'eugenetica, alla demografia. Quanto al mondo universitario, se per un verso scontò l'espulsione degli scienziati ebrei, per un altro contribuì alla politica razziale del regime, salvo poi, nel dopoguerra, "dimenticarsi" delle compromissioni, in un processo di rimozione che in molti casi dura ancora oggi.
Giorgio Israel insegna Storia della matematica nella Sapienza - Università di Roma. Con il Mulino ha pubblicato "Scienza e razza nell'Italia fascista" (con P. Nastasi, 1998), "La questione ebraica oggi" (2002), "La Kabbalah" (2005). Tra i suoi libri recenti: "Chi sono i nemici della scienza?" (2008, Premio Capalbio), "Il mondo come gioco matematico" (2008, con A. Millán Gasca, Premio Peano).
Per molto tempo gli storici hanno dato per scontato ciò che era evidente ai testimoni dell'epoca: che la rivoluzione francese fu causata dalle idee radicali dell'Illuminismo. Negli ultimi decenni gli studiosi hanno invece cominciato a sostenere che la rivoluzione venne portata avanti dalle forze sociali, dalla politica, dall'economia o dalla cultura; da quasi tutto insomma, escludendo però i concetti astratti di libertà e uguaglianza. In questo libro, uno dei maggiori storici dell'età dell'Illuminismo restituisce alla storia intellettuale della Rivoluzione la sua legittima centralità. Attingendo copiosamente a fonti di prima mano, Jonathan Israel ricostruisce il gigantesco dibattito intellettuale che produsse e accompagnò le varie fasi della Rivoluzione francese, dimostrando come tali idee divisero i capi rivoluzionari in blocchi ideologici violentemente opposti, e come questi conflitti sfociarono infine nel terrore. Nella rivoluzione culminarono gli ideali di emancipazione e di democrazia dell'Illuminismo, se si concluse diversamente è solo perché tali idee vennero tradite.
Democrazia, libertà di pensiero e di espressione, tolleranza religiosa, libertà individuale, autodeterminazione dei popoli, eguaglianza sessuale e razziale: questi valori sono saldamente entrati nel pensiero dominante da quando sono stati racchiusi nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo nel 1948. Se questi ideali oggi non sembrano piú radicali, la loro origine lo fu realmente, molto piú di quanto tanti storici abbiano voluto riconoscere. In questo libro Jonathan Israel, uno dei maggiori storici dell'argomento, rintraccia le radici filosofiche di queste idee nella corrente che egli chiama Illuminismo radicale.
Nato come movimento di idee clandestino, l'Illuminismo radicale è maturato in opposizione alla corrente principale moderata dell'Illuminismo, dominante in Europa e in America nel XVIII secolo.
Quando, durante le rivoluzioni degli anni Settanta, Ottanta e Novanta, l'Illuminismo radicale uscí allo scoperto, provocò una lunga e accanita serie di reazioni da parte della monarchia, dell'aristocrazia, dell'impero e delle gerarchie sociali ed ecclesiastiche e a difesa della censura, dell'autorità della Chiesa, della disuguaglianza sociale, della discriminazione razziale e religiosa.
Il racconto di questa storia affascinante rivela la sorprendente origine dei nostri valori piú fondamentali, e le motivazioni profonde della disapprovazione di cui sono oggetto anche oggi.
Il fenomeno del duello a un esame ravvicinato offre molte indicazioni sulla storia della società europea. Di tempo in tempo fu prova della disponibilità a difendere la propria causa a rischio della vita, poi dimostrazione della volontà divina che si doveva manifestare sul campo e, da ultimo, tutela dell'onore che si pensava di poter conservare soltanto mediante la sfida armata. In cinque studi di carattere monografico i problemi vengono affrontati nelle diverse epoche e con differenti prospettive per illustrare la pratica del duello nei suoi complessi sviluppi.
Le tre parti che compongono questo libro ripercorrono la storia degli Stati Uniti dall'epoca della colonizzazione, attraverso la fondazione della nazione, sino alla guerra anglo-americana del 1812-1815. Nella prima parte, di Giuliana Iurlano, sono studiati i concetti basilari che, durante la lunga fase della colonizzazione e sulla scorta del pensiero di Spinoza, costituirono la base filosofica della Dichiarazione d'Indipendenza, con un accento particolare posto sul problema della continuità o rottura tra essa e la Costituzione americana. Nella seconda parte, sempre Giuliana Iurlano analizza il pensiero politico di George Washington e gli esordi della politica estera americana tra neutralità e impegno nello scenario internazionale, sino alla guerra contro i corsari islamici del Nord-Africa ai tempi di Thomas Jefferson. Nella terza parte, di Antonio Donno, si ricostruiscono infine le origini, gli sviluppi e le conclusioni della guerra tra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti del 1812, che gli americani, alquanto enfaticamente, definirono la "seconda guerra d'indipendenza".

