
L'età d'oro dell'impero romano è durata circa due secoli e mezzo, dal regno di Adriano (117 d.C.-138 d.C.) fino alla morte di Giuliano l'Apostata (363 d.C.). Nonostante le contraddizioni e le difficoltà interne, Roma durante questo lungo periodo fu sempre in grado di affrontare i tanti nemici, tra cui i Parti, i Germani, i Persiani, i Goti, e di estendere i confini dell'impero. Kulikowski descrive tutti gli aspetti connessi alla vita dell'impero romano: dalla complessa gestione economica delle diverse province alla capacità d'integrazione culturale dei nuovi territori conquistati, dai mutamenti nell'amministrazione e organizzazione dello Stato, di cui Costantino fu un grande protagonista, alla suddivisione dei ruoli all'interno dell'esercito. Fu in definitiva un periodo contrassegnato da molte fasi di crisi e da problematiche persistenti, in cui l'impero, un organismo più che vitale, riuscì sempre a risollevarsi, divenendo una tra le potenze più celebrate della storia.
L'Ajax era la squadra del ghetto di Amsterdam. Ogni domenica, le bancarelle del mercato ebraico chiudevano in tempo per andare a vedere la partita. Poi è arrivato Hitler. Kuper, giornalista e scrittore olandese, racconta la tragedia della Shoah da un'angolazione inedita: quella delle pagine sportive dei vecchi giornali, delle storie dei tifosi e atleti sopravvissuti, degli archivi delle squadre olandesi. L'utilizzo del calcio da parte di Hitler e Mussolini viene calato da Kuper nella cronaca della partita, nella memoria del singolo atto di discriminazione. Il libro contiene un prezioso apparato fotografico: la nazionale inglese che fa il saluto nazista, la faccia di un'ala destra ebrea dell'Ajax, di cui Kuper ricostruisce gli ultimi giorni ad Auschwitz.
L’attrazione del nazismo per le scienze occulte ha richiamato da
sempre l’interesse degli storici e degli studiosi del Terzo Reich, i
quali hanno scorto nell’«immaginario soprannaturale» una delle chiavi
per spiegare l’ascesa, la popolarità e la peculiarità del regime
hitleriano. Ma perché proprio in Germania, e non negli altri paesi
europei, il pensiero soprannaturale trovò un’adeguata espressione
politica e ideologica? Perché l’esoterismo, il paganesimo,
l’astrologia, il paranormale o le teorie pseudoscientifiche come la
«teoria del ghiaccio cosmico» ebbero così grande successo presso il
popolo tedesco? Per quale motivo nemmeno i vertici del partito – da
Himmler a Goebbels allo stesso Hitler – ne rimasero immuni, ma anzi
operarono al fine di ridefinire e riorganizzare la scienza e la
religione tedesche?
Per Eric Kurlander la risposta a queste domande va trovata nella
volontà della leadership nazista di conquistare il consenso popolare
non solo attraverso la propaganda, il controllo dei media, la
creazione di miti e leggende di una supposta tradizione nordica a
sostegno di una nuova comunità su base etnica o razziale, ma anche
mediante la manipolazione delle coscienze. E questo allo scopo di
attuare i due capisaldi dell’ideologia nazista: la conquista dello
«spazio vitale» e la distruzione del giudeobolscevismo, in altre
parole la guerra all’Est e lo sterminio degli ebrei d’Europa. Ecco
allora un Terzo Reich popolato di veggenti, maghi, sensitivi e
rabdomanti, spesso in lotta fra loro per accattivarsi le simpatie del
potere; di ciarlatani che setacciano il paese alla ricerca delle prove
dell’esistenza di un’ancestrale patria tedesca; di pseudoscienziati
impegnati a diffondere dottrine prive di ogni fondamento scientifico,
a mettere a punto le armi miracolose che avrebbero assicurato la
vittoria finale o a condurre orribili esperimenti sulle «cavie umane»
prigioniere nei campi di sterminio. Un mondo soprannaturale fatto di
magie, folclore, rune, lupi mannari, streghe e vampiri. Un mondo di
demoni, che, come scrisse Carl Gustav Jung, seppero suggestionare e
portare alla catastrofe un popolo smarrito.
Frutto di lunghi anni di ricerche condotte su un’impressionante mole
di documenti rinvenuti negli archivi tedeschi, I mostri di Hitler
affronta un argomento cruciale per la comprensione del Terzo Reich
scavando nel cuore più oscuro della Germania nazista.
I legionari senza segreti: in azione, tra combattimenti, ribellioni e marce trionfali, e nella vita quotidiana, al fronte e per le strade delle città. L'esercito romano è stato la più grande macchina da combattimento del mondo antico. L'impero dipendeva dai suoi soldati non solo per vincere le guerre, difendere le frontiere e controllare i mari, ma anche per far funzionare lo Stato. Legionari e ausiliari romani provenivano da tutto il mondo, anche dall'esterno dei confini. Furono utilizzati come esattori delle tasse, poliziotti, geometri, ingegneri civili e, da veterani, come valenti artigiani e politici. Alcuni riuscirono persino a diventare imperatori. Questo libro porta il lettore nel cuore di ciò che significava far parte dell'esercito romano, attraverso le parole degli storici e quelle degli stessi uomini, conosciute grazie alle loro dediche religiose, alle lapidi, e persino alle lettere private e ai graffi ti. Una preziosa finestra su come gli uomini d'arme, le loro mogli e i loro figli hanno vissuto, godendo di un posto in prima fila nella storia. Protagonisti di vicende che hanno condizionato l'antichità e, per riflesso, il mondo come lo conosciamo oggi. I segreti della più grande macchina da combattimento del mondo antico Tra gli argomenti trattati: Che cosa significava entrare nell'esercito romano? Requisiti e regole per l'arruolamento Quanto guadagnavano i soldati? Paghe, ricompense e bottini di guerra Cosa significava vivere in una guarnigione in tempo di guerra? Accampamenti, fortezze e combattimenti. Cosa significava vivere in una guarnigione in tempo di pace? I legionari come costruttori, esattori e artigiani. Che impatto avevano le armate? Le atrocità commesse in nome dell'imperatore. Cosa accadeva a chi si ribellava? Roma non perdona chi tradisce. Com'era la vita coniugale dei soldati? Mogli e figli a distanza e schiave-mogli. Esisteva una pensione per i legionari? Veterani, eroi di guerra e sussidi imperiali.
Il ritorno della democrazia in Peru, tra sentimenti di riconciliazione e necessita di giustizia.
Il cattolicesimo latinoamericano arriva all'indomani del primo conflitto mondiale fortemente frammentato, isolato, prigioniero dei singoli destini nazionali e privo di qualsiasi coscienza unitaria: una versione indebolita del cattolicesimo coloniale. L'America Latina è ancora alla periferia delle preoccupazioni della Santa Sede, dominata in quegli anni dai problemi emergenti del contesto europeo. La nuova attenzione vaticana verso il Sudamerica conosce un nuovo interesse dopo la seconda guerra mondiale ed è parte di quel più generale disegno pacelliano che guarda al Sud del mondo. Nel giro di trent'anni il cattolicesimo sudamericano passa dall'essere una "marginalità disprezzata" alla "dignità di continente del futuro e di speranza delle Chiese cristiane". La Conferenza dei vescovi latinoamericani di Rio de Janeiro del 1955 e la nascita del CELAM segnano l'inizio del Resurgimiento católico, e sono all'origine di quel rinnovamento e di quel nuovo protagonismo che le Chiese sudamericane eserciteranno sulla Chiesa mondiale, all'indomani del Concilio Vaticano II. Sono anni che segnano l'inizio di una nuova tappa della storia del cattolicesimo nel nuovo mondo, in cui riscopre le sue responsabilità, l'esigenza interiore di differenziarsi dai modelli imitativi ecclesiastici europei, ma soprattutto la centralità della questione sociale e l'urgenza della missione, con particolare attenzione agli indigeni, ai contadini e agli emarginati delle grandi periferie urbane.
Sulle orme de "I conquistatori" di Francesco Perri, "I fatti di Casignana" - opera pubblicata per la prima volta nel 1974 - narra le vicende della lotta contadina all'indomani della Grande guerra in un paese alle pendici dell'Aspromonte per il rispetto della legge Visocchi, secondo cui ai reduci di guerra era concesso di sfruttare i terreni incolti. A Casignana, feudo della principessa di Roccella, i contadini iniziano a bonificare la foresta Callistro ma, un mese prima della marcia su Roma, la concessione delle terre viene revocata; i contadini, guidati dal sindaco socialista Filippo Zanco, occupano pacificamente la foresta; il prefetto intima lo sgombero, le forze dell'ordine attaccano e si consuma la tragedia. A fomentare la dura repressione ci pensano i figli di don Luigi Nicota, il ricco e arrogante proprietario del paese. Un romanzo in cui, con estrema obiettività e realismo scevro da ogni retorica populista, Mario La Cava indaga sulle cause della sconfitta del movimento contadino, mette in luce il contrasto di interessi tra contadini e pastori, denuncia la complicità del potere economico e politico, smaschera l'ambiguità dei traditori, si compenetra nella sofferenza dei sopravvissuti, racconta la solitudine di chi non era riuscito a guidare il suo popolo alla vittoria. Prefazione di Goffredo Fofi.
Maestro assoluto della pittura, Raffaello contribuì con il suo talento a dar corpo alla visione universale della Chiesa Romana dei pontefici Giulio II e Leone X all'inizio del Cinquecento, esercitando un'influenza duratura sul linguaggio artistico di generazioni di pittori e scultori. Nonostante la fama dell'artista, poco si conosce della sua vita privata, pochi i documenti noti, pochissime le biografie disponibili al grande pubblico. Con il suo Raffaello. La rivoluzione dell'antico, Claudia La Malfa colma questo vuoto: grazie allo studio aggiornato di documenti inediti e fonti mai considerate, restituisce una narrazione delle diverse stagioni del grande pittore. Al centro vi è naturalmente l'arte di Raffaello, la sua relazione con una classicità studiata a fondo e reinterpretata in maniera unica. Il genio di Raffaello è la rivoluzione dell'antico, la rilettura dei modelli della classicità e il loro adattamento al linguaggio della sua epoca. L'analisi dettagliata dei dipinti e delle opere di Raffaello si intreccia alle diverse stagioni della sua vita: dal periodo umbro al trasferimento a Siena, dall'incontro a Firenze con Michelangelo e Leonardo all'approdo a Roma, acme della sua carriera, fino alla prematura morte il 6 aprile 1520, all'età di 37 anni. Claudia La Malfa mette in luce studi, amicizie, relazioni e collaborazioni di un maestro che conobbe quasi subito la fama, ma fece di questa notorietà uno strumento per la ricerca di un linguaggio nuovo che avrebbe segnato una delle più importanti rivoluzioni nella storia dell'arte.
Johann Joachim Winckelmann è stato uno dei più importanti intellettuali del XVIII secolo. Bibliotecario, storico dell'arte, archeologo, appassionato di letteratura e arte classica, divenne uno dei teorici del neoclassicismo e la sua influenza sulla cultura europea della seconda metà del Settecento fu enorme. Tuttora il suo sguardo sull'arte continua a influenzare il nostro modo di vederla e considerarla. Figlio di un umile ciabattino, grazie alla sua vivace intelligenza e alla dedizione agli studi, diventa prima bibliotecario di un conte e poi soprintendente alle antichità della corte pontificia. La sua vita fu romanzesca, passata tra la nativa Prussia e la Roma papale, nelle università, nei salotti e nelle corti più importanti d'Europa, tra personaggi d'altissimo rango, eruditi, nobili e cardinali, tra amicizie durature e liti causate dal carattere forte e intransigente. Federica La Manna, professore di Letteratura tedesca, ricostruisce minuziosamente tutta la parabola umana del grande intellettuale, dall'infanzia passata nella miseria fino alla morte - quand'era al massimo della fama - avvenuta a Trieste in circostanze mai del tutto chiarite.