
Questo libro è una pietra miliare nel campo degli studi sul fascismo e fa chiarezza nel dibattito sorto intorno a una tematica ingiustamente trascurata dagli storici. Gli autori, scelti tra i maggiori esperti italiani e stranieri, definiscono le caratteristiche della politica coloniale fascista nel contesto storico e sociale più ampio dell'Italia liberale; si soffermano su aspetti poco noti, come i violenti metodi (dall'uso massiccio di gas alla fucilazione di massa) adottati per stroncare la resistenza delle popolazioni aggredite e le dinamiche delle campagne militari; affrontano le implicazioni giuridiche e culturali del colonialismo fascista e delle sue conseguenze relativamente a temi di politica internazionale.
Il Novecento è stato un secolo denso di avvenimenti, per buona parte crudeli, come pochi altri. Un secolo che ha visto due guerre mondiali, con un centinaio di milioni di morti e l'impiego di armi nuove e devastanti. Ha visto l'Olocausto e la proliferazione del Gulag. Ha visto il massacro degli armeni, dei libici, degli etiopici, dei malgasci, dei vietnamiti, degli algerini. Ha visto la decimazione degli abitanti di Nanchino e lo sterminio di due milioni di cambogiani, di cui restano piramidi di teschi. Ha visto una serie quasi ininterrotta di guerre locali, di conflitti razziali, di "pulizie etniche". Ha visto i paesi dell'Occidente diventare sempre più ricchi e quelli del Terzo e Quarto mondo diventare sempre più poveri. Anche per l'Italia non è stato un secolo clemente. Un milione di morti nelle due guerre mondiali; venti anni di isolamento e di libertà calpestata dalla dittatura fascista; un paese da ricostruire interamente dopo il 1945. E poi il triste bilancio di fine secolo. L'Italia è al primo posto, in Europa, per il calo demografico e l'invecchiamento della popolazione, al decimo, nel mondo, fra i paesi che più inquinano. E ha un debito pubblico (70 miliardi di euro di interessi passivi ogni anno) che condiziona pesantemente l'attività di ogni governo. Il Novecento, tuttavia, è stato anche un secolo di eroismi e di grandi ideali che hanno dato luogo a gloriose pagine di storia, come la Resistenza.
"Italiani, brava gente"? Non la pensa così lo storico Angelo Del Boca che ripercorre la storia nazionale dall'unità a oggi e compone una sorta di "libro nero" degli italiani, denunciando gli episodi più gravi, in gran parte poco noti o volutamente e testardamente taciuti e rimossi. Si va dalle ingiustificate stragi compiute durante la cosiddetta "guerra al brigantaggio" alla costruzione in Eritrea di un odioso universo carcerario. Dai massacri compiuti in Cina nella campagna contro i boxer alle deportazioni e agli eccidi in Libia a partire dal 1911. Dai centomila prigionieri italiani lasciati morire di fame in Austria, durante la Grande Guerra, al genocidio del popolo cirenaico fino alle bonifiche etniche sperimentate nei Balcani.
Sottoporre a revisione la storia è il compito stesso degli studiosi, essendo la storiografia nient'altro che una costante riscrittura della storia. Perché, dunque, degli storici come gli autori di questo libro dovrebbero schierarsi contro il "revisionismo"? Perché sotto questo termine si è delineato, nel corso degli ultimi decenni in Italia e nel mondo, un "uso politico della storia" che ha poco a che fare con la ricerca storiografica. Un "uso politico" dalle molteplici diramazioni, ma che, soprattutto nella distorta ricostruzione della nostra storia nazionale, presenta alcune opinioni ossessivamente ripetute: l'idea che il Risorgimento sia stato una guerra di annessione e non un movimento di rinascita per l'unità nazionale; la concezione del fascismo come tentativo autoritario bonario, distinto dal totalitarismo nazista e volto all'edificazione di una patria che non sarebbe esistita prima; l'ipotesi della morte definitiva della patria sancita dall'8 Settembre e la conseguente rivalutazione dei combattenti di Salò come autentici patrioti. Tesi politiche che non hanno la benché minima serietà né il rigore dell'autentica indagine storica, ma che, raffigurando gli avversari come i difensori di una "vulgata resistenziale", di "verità di regime", mirano a distruggere i fondamenti stessi della nostra storia repubblicana e della nostra Costituzione. Contro questo "revisionismo" si schierano alcuni tra i migliori storici italiani.
"Italiani, brava gente"? Non la pensa così lo storico Angelo Del Boca che ripercorre la storia nazionale dall'unità a oggi e compone una sorta di "libro nero" degli italiani, denunciando gli episodi più gravi, in gran parte poco noti o volutamente e testardamente taciuti e rimossi. Si va dalle ingiustificate stragi compiute durante la cosiddetta "guerra al brigantaggio" alla costruzione in Eritrea di un odioso universo carcerario. Dai massacri compiuti in Cina nella campagna contro i boxer alle deportazioni e agli eccidi in Libia a partire dal 1911. Dai centomila prigionieri italiani lasciati morire di fame in Austria, durante la Grande Guerra, al genocidio del popolo cirenaico fino alle bonifiche etniche sperimentate nei Balcani.
Eritrea, Somalia, Libia, Etiopia sono le terre su cui si sofferma lo storico Angelo Del Boca, terre che in settanta anni hanno visto operare, viaggiare, costruire, distruggere, amare e odiare due milioni di italiani sul loro suolo. Italiani che non erano soltanto spietati avventurieri e soldati di pochi scrupoli e di grandi appetiti, ma anche esploratori, viaggiatori, missionari, architetti, artisti, archeologi che hanno dato il meglio di loro stessi a contatto col Continente nero.
"Io non combatto per la mia patria, combatto per mia madre, per rivedere il suo viso." A settant'anni dalla Liberazione, queste parole del diario partigiano inedito di Angelo Del Boca gettano nuova luce sulla storia, il dramma e le ragioni dei molti giovani nati tra le due guerre che, ricattati e mandati allo sbaraglio dalla Repubblica sociale, scelsero la montagna come estremo gesto di fedeltà ai più profondi valori umani e affettivi, contro la retorica fascista del credere-obbedire-combattere, gli orrori della guerra civile e la barbarie dell'occupazione tedesca. Aspirante scrittore che affonda lo sguardo in sé stesso e in ciò che lo circonda, il diciannovenne Del Boca annota scrupolosamente ogni fase delle peripezie del giovane alpino rimpatriato nell'estate del 1944 dall'addestramento militare in Germania nelle file della divisione Monterosa, schierata nell'appennino ligure-emiliano come forza antiguerriglia: la scelta della libertà e la fuga, l'impatto traumatico con la diffidenza e il disprezzo del capo di una formazione garibaldina, l'arrivo a Bobbio (Piacenza) e l'inserimento nella 7a brigata alpini Aosta del comandante Italo. Il diario parla di marce, pioggia, neve, fame, freddo, sonno, paura, vergogna, e di nostalgia di casa, di ricordi d'infanzia, di foto, occhi e sorrisi di ragazze che accendono la fantasia e il desiderio, di qualche bacio rubato, di una irresistibile e pervasiva sete di amore e normalità.
Angelo Del Boca è nato a Novara il 23 maggio del 1925. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, Del Boca fu costretto ad arruolarsi e spedito in Germania per un corso di addestramento. Ritornato in Italia nell’estate del 1944, decide di disertare e di unirsi alla resistenza. Durante il periodo in cui militò nei partigiani, conobbe Maria Teresa Maestri, una crocerossina dei partigiani che nel 1947 sarebbe divenuta sua moglie. In seguito alla Liberazione Del Boca si è dedicato alla scrittura, pubblicando la raccolta di racconti “Dentro mi è nato l’uomo”. Contemporaneamente lavora come giornalista, divenendo in breve Redattore Capo, a Novara, del settimanale socialista Il Lavoratore. Dopo questa prima esperienza giornalistica passa alla redazione de La Gazzetta del Popolo, dove lavora come inviato speciale, e poi a Il Giorno. Nel 1981, quando sulla scena politica italiana irruppe la figura di Bettino Craxi, Del Boca decise di lasciare la redazione de Il Giorno e anche il partito socialista. Del Boca è autore di numerosi volumi, molti dei quali raccontano e denunciano le atrocità perpetuate dal fascismo durante il processo di colonizzazione in Africa. Fu il primo a raccontare le azioni del fascismo in Libia e in Etiopia, dove le truppe italiane ricorsero a bombardamenti aerei su centri abitati, all'impiego di armi chimiche e alla creazione di campi di concentramento. A causa delle sue affermazioni è stato molto contestato dalla parte conservatrice della stampa e dalle associazioni dei reduci di guerra. Angelo Del Boca attualmente vive a Torino, dove dirige la rivista di storia contemporanea I sentieri della ricerca.
Alla vigilia dello scoppio della Prima guerra mondiale, i più immorali pensavano soltanto di ricavare dei guadagni per potersi adeguatamente arricchire. Gli idealisti, invece, credevano di offrire all'Italia l'opportunità di conquistare peso e prestigio internazionale, in modo da restituirle quel ruolo che vagheggiavano ma che, dopo i fasti della Roma dei Cesari, era rimasto incartato nei libri della storia classica. Negli ultimi dieci anni, prima di quel 1914, i soldati erano cresciuti alle direttive del generale Paolo Spingardi, ottimo oratore parlamentare e del generale Alberto Pollio, ottimo scrittore. L'uno e l'altro - con tutto lo stato maggiore coltivavano il mito di Napoleone del quale leggevano con avidità biografie, recensioni, commenti strategici e valutazioni tattiche. Al momento dell'entrata in guerra, l'esercito italiano venne affidato a Luigi Cadorna che, se avesse ottenuto risultati proporzionali alla sua presunzione, avrebbe conquistato il globo terracqueo. I guai maggiori di chi combatteva per l'Italia vennero dagli stessi italiani che dimostrarono di non aver maturato alcuna idea e che, tuttavia, a quel nulla, si aggrapparono con convinzioni incrollabili. Si armarono di ordini assurdi. Pretesero di mandare le truppe all'assalto anche quando ogni logica l'avrebbe sconsigliato. Instaurarono un regime di oppressione che sarebbe risultato odioso per una qualunque dittatura. E provocarono la morte di un numero imprecisato di loro uomini.
Alla vigilia dello scoppio della prima guerra mondiale, i più immorali pensavano soltanto di ricavare dei guadagni per potersi adeguatamente arricchire. Gli idealisti, invece, credevano di offrire all'Italia l'opportunità di conquistare peso e prestigio internazionale, in modo da restituirle quel ruolo che vagheggiavano ma che, dopo i fasti della Roma dei Cesari, era rimasto incartato nei libri della storia classica. Negli ultimi dieci anni, prima di quel 1914, i soldati erano cresciuti alle direttive del generale Paolo Spingardi, ottimo oratore parlamentare e del generale Alberto Pollio, ottimo scrittore. L'uno e l'altro - con tutto lo stato maggiore coltivavano il mito di Napoleone del quale leggevano con avidità biografie, recensioni, commenti strategici e valutazioni tattiche. Al momento dell'entrata in guerra, l'esercito italiano venne affidato a Luigi Cadorna che, se avesse ottenuto risultati proporzionali alla sua presunzione, avrebbe conquistato il globo terracqueo. I guai maggiori di chi combatteva per l'Italia vennero dagli stessi italiani che dimostrarono di non aver maturato alcuna idea e che, tuttavia, a quel nulla, si aggrapparono con convinzioni incrollabili. Si armarono di ordini assurdi. Pretesero di mandare le truppe all'assalto anche quando ogni logica l'avrebbe sconsigliato. Instaurarono un regime di oppressione che sarebbe risultato odioso per una qualunque dittatura. E provocarono la morte di un numero imprecisato di loro uomini.
La "questione veneta" costituisce una delle controverse eredità del Risorgimento. Un lascito che ancora oggi è vivo e che si riflette nella battaglia sostenuta da un numero sempre crescente di veneti per ottenere, attraverso un referendum, l'indipendenza. Ma quali sono le ragioni che animano questi "italiani riluttanti"? Quali sono le cause del loro impulso secessionista? Lorenzo Del Boca, lo studioso che da anni va scrivendo la "controstoria" del nostro Paese, ripercorre le tappe del grande tradimento subito da Venezia a partire dall 'Ottocento, quando, nel giro di poco più di cinquant'anni, i liberi cittadini della ricca e fiorente Serenissima si ritrovarono sudditi, maltrattati e depredati, dapprima degli Austriaci e quindi dei Piemontesi. Se il primo tradimento fu compiuto nel 1797 da Napoleone con lo sciagurato trattato di Campoformio, l'apice fu raggiunto col plebiscito-truffa del 1866, in cui la percentuale di chi votò "pel sì" all'annessione fu del 99,99% una cifra inverosimile e senza eguali nella storia, mai raggiunta nemmeno nei kolchoz di Stalin. Tra questi avvenimenti si trovano l'insuccesso delle rivolte del 1848 di Daniele Manin e Nicolò Tommaseo, mosse, per la verità, più dal desiderio di affrancarsi dal dominio asburgico che dalla volontà di aderire alla causa nazionale, e le azioni, non prive di ombre, di Garibaldi, La Marmora, Cialdini e Vittorio Emanuele II durante la Terza guerra d'indipendenza.
L'Unità d'Italia è stata un'annessione forzata. L'incontro di Teano tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II è un falso storico. Molti dei Padri della Patria sono stati politici corrotti, ufficiali mestatori, traffichini di regime, burocrati inefficienti e magistrati faziosi. Secondo l'autore, il vero Risorgimento assomiglia ben poco a quello che ci hanno raccontato.