
A partire dal 1942 il confine orientale italiano fu il teatro di una violentissima repressione antipartigiana. Protagonisti ne furono gli uomini dell'Ispettorato generale di pubblica sicurezza, che contribuirono a spargere il terrore in tutta la regione. Non si trattò di una violenza improvvisata ed estemporanea, ma l'estremo risultato di una consumata esperienza maturata sul campo. Negli anni Trenta, infatti, molti di loro avevano già fatto parte di organismi che avevano efficacemente contrastato la mafia siciliana e il banditismo sardo. Si trattava di corpi speciali di polizia, che il regime fascista aveva creato sul modello delle contemporanee strutture di indagine politica come l'Ovra, ma di cui si potevano ritrovare dei precedenti già nella Grande Guerra e nella tarda età liberale. Fu proprio in queste circostanze che cominciò a formarsi quel ristretto gruppo di specialisti che, tra utopie d'ordine e ambizioni personali, nel corso dei rivolgimenti politici di un trentennio seppero imporsi come riconosciuti professionisti del settore. Dopo il crollo del fascismo, infatti, li ritroveremo ancora una volta in Sicilia, per fronteggiare la rinnovata emergenza dell'ordine pubblico.
Il 3 settembre 1982 a Palermo veniva ucciso dalla mafia il generale Carlo Alberto dalla Chiesa. Nella storia dell'Italia repubblicana, dalla Chiesa era l'uomo per gli incarichi difficili, fin da quando aveva scelto di andare volontario nella Sicilia di Salvatore Giuliano. Successivamente le istituzioni democratiche si affidarono a lui in alcuni dei momenti più drammatici, chiamandolo a contrastare l'offensiva del terrorismo brigatista, sia prima che dopo il sequestro e l'assassinio di Aldo Moro. La sua ultima missione, conclusasi con l'attentato che lo colpì assieme alla moglie, fu quella di prefetto di Palermo, dove era stato inviato a fronteggiare un'escalation di violenza della mafia senza precedenti. La sua carriera lo portò a vivere una molteplicità di situazioni, nel corso delle quali è stato dipinto come il più fedele dei servitori dello Stato, ma che, allo stesso tempo, lo hanno messo al centro di accuse e polemiche di varia natura. Finalmente la vita di uno degli uomini simbolo della nostra Repubblica viene ricostruita e raccontata da uno storico, grazie all'accesso a una documentazione vasta e inedita.
L'era imperiale è dominata dalla figura di Pietro il Grande, il quale, affascinato dal progresso tecnologico, decide di modernizzare la Russia. L'imposizione del taglio della barba, segno di appartenenza all'Ortodossia, l'obbligo di portare abiti di foggia occidentale e i comportamenti blasfemi del sovrano inaspriscono la frattura tra i seguaci dello scisma dei veteroritualisti, emarginati e perseguitati, e i fedeli della Chiesa di Stato, completamente asservita all'autocrate. Pietro porta a termine un programma di laicizzazione al quale si ispireranno i regnanti del XVIII secolo, in particolare Caterina II, e decreta l'abolizione del Patriarcato, affermando: "Dio mi ha concesso di governare i laici e il clero e pertanto io sono per loro sovrano e patriarca", optando, quindi, per un cesaropapismo di stampo protestante e allontanandosi irrimediabilmente dal modello bizantino della sinfonia tra sacerdotium e imperium. La Chiesa, denominata Ente della professione ortodossa, viene trasformata in dicastero statale e si riduce a mero instrumentum regni. La storia di questa Chiesa è quella dello Stato stesso e lo sarà anche al tempo dei piissimi zar dell'Ottocento. L'imposizione di valori estranei al mondo russo crea una divisione tra i cultori della ricca tradizione spirituale della Russia (slavofili) e i partigiani del modello petrino (occidentalisti). Queste due antitetiche correnti di pensiero hanno, peraltro, in comune la convinzione di una missione salvifica della Russia.
Il colpo di Stato del 1917 soffoca i fermenti di rinnovamento che dalla fine del secolo XIX si sviluppano nella società civile e nella Chiesa e che trovano espressione nella legge sulla tolleranza religiosa del 1905 e nella convocazione, dopo anni di titubanze, del grande Concilio del 1917-1918 che delibera la ricostituzione dell'istituto del Patriarcato, abolito da Pietro il Grande nel 1721. Lo scontro del nuovo regime con la Chiesa è segnato sin dall'inizio dalla violenza e dalla coercizione cruenta, che viene sospesa solo a seguito dell'invasione nazista, quando Stalin si rende conto che per aggregare la popolazione contro il nemico è necessario ricostituire l'antico legame tra Ortodossia e patriottismo, concedendo alla Chiesa uno spazio di libertà. Prende allora avvio la Nep religiosa staliniana, la quale ha vita assai breve, lasciando il posto a una fase di asservimento del Patriarcato di Mosca ai fini della politica sovietica, durante la quale si procede nell'URSS e nei Paesi limitrofi alla soppressione violenta della Chiesa greco-cattolica e alla sua forzata aggregazione all'Ortodossia, nel dichiarato tentativo di dar vita a un Vaticano moscovita, finalizzato ad assegnare alla Chiesa di Mosca, pienamente controllata dal regime, un ruolo di guida sul piano internazionale al servizio della politica estera comunista. Nel contempo riprende dal 1947 una nuova fase di intolleranza che trova il suo culmine con Chruscèv.
Dopo aver riconosciuto la libertà religiosa nel 1990, dal 1997 la Russia ha ricostituito un sistema confessionista che rispecchia quello zarista, rinnegando il separatismo proclamato nella Costituzione. Alla Chiesa di Stato viene assegnato un ruolo privilegiato e si ricostituisce la triade Ortodossia, Autocrazia e Spirito nazionale. Mosca si ripropone come Terza Roma, il cui territorio canonico esorbita dai confini dello Stato. Sorgono di conseguenza dei conflitti tra le Chiese ortodosse in Ucraina, Estonia e Moldavia. Il rapporto sinfonico che si è consolidato tra Kirill e Putin porta alla sacralizzazione dell'identità nazionale russa e alla conseguente discriminazione delle minoranze religiose. Nel saggio che conclude questo volume, Stefano Caprio mostra come la Russia di Putin sia un'incarnazione della Russia di sempre: un grande Paese dalla vocazione universale e incompiuta, un popolo messianico non per elezione divina, ma per conseguenze della storia, una terra senza confini in cerca di una nuova definizione. Dopo un secolo segnato dall'ateismo più sistematico e totalitario, l'Ortodossia russa è rinata come l'Uccello di Fuoco della mitologia slava. La guida suprema di questa rinascita, Vladimir Putin, ha sottomesso ogni possibile avversario e ha mostrato al mondo la volontà della Russia di tornare a essere la superpotenza di un tempo; la Chiesa del patriarca Kirill cerca di guardare al terzo millennio come alla nuova era del cristianesimo universale.
Dopo aver riconosciuto la libertà religiosa nel 1990, dal 1997 la Russia ha ricostituito un sistema confessionista che rispecchia quello zarista, rinnegando il separatismo proclamato nella Costituzione. Alla Chiesa di Stato viene assegnato un ruolo privilegiato e si ricostituisce la triade Ortodossia, Autocrazia e Spirito nazionale. Mosca si ripropone come Terza Roma, il cui territorio canonico esorbita dai confini dello Stato. Sorgono di conseguenza dei conflitti tra le Chiese ortodosse in Ucraina, Estonia e Moldavia. Il rapporto sinfonico che si è consolidato tra Kirill e Putin porta alla sacralizzazione dell'identità nazionale russa e alla conseguente discriminazione delle minoranze religiose. Nel saggio che conclude questo quarto e ultimo volume, Stefano Caprio mostra come la Russia di Putin sia un'incarnazione della Russia di sempre: un grande Paese dalla vocazione universale e incompiuta, un popolo messianico non per elezione divina, ma per conseguenze della storia, una terra senza confini in cerca di una nuova definizione. Dopo un secolo segnato dall'ateismo più sistematico e totalitario, l'Ortodossia russa è rinata come l'Uccello di Fuoco della mitologia slava. La guida suprema di questa rinascita, Vladimir Putin, ha sottomesso ogni possibile avversario e ha mostrato al mondo la volontà della Russia di tornare a essere la superpotenza di un tempo; la Chiesa del patriarca Kirill cerca di non rimanere succube del cesaropapismo, ma di guardare al terzo millennio come alla nuova era del cristianesimo universale, unica salvezza per un mondo sull'orlo della rovina. Il volume si completa con un saggio di Stefano Caprio.
Il colpo di stato del 1917 soffoca i fermenti di rinnovamento che dalla fine del XIX secolo si sviluppano nella società civile e nella chiesa e che trovano espressione nella legge sulla tolleranza religiosa del 1905 e nella convocazione, dopo anni di titubanze, del grande concilio del 1917-1918 che delibera la ricostituzione dell'istituto del patriarcato, abolito da Pietro il Grande nel 1721. Lo scontro del nuovo regime con la chiesa è segnato sin dall'inizio dalla violenza e dalla coercizione cruenta, che viene sospesa solo a seguito dell'invasione nazista, quando Stalin si rende conto che per aggregare la popolazione contro il nemico è necessario ricostituire l'antico legame tra ortodossia e patriottismo, concedendo alla chiesa uno spazio di libertà. Prende allora avvio la nep religiosa staliniana, la quale ha vita assai breve, lasciando il posto a una fase di asservimento del patriarcato di Mosca ai fini della politica sovietica, durante la quale si procede nell'Urss e nei paesi limitrofi alla soppressione violenta della chiesa greco-cattolica e alla sua forzata aggregazione all'ortodossia, nel dichiarato tentativo di dar vita a un Vaticano moscovita, finalizzato ad assegnare alla chiesa di Mosca, pienamente controllata dal regime, un ruolo di guida sul piano internazionale al servizio della politica estera comunista. Nel contempo riprende dal 1947 una nuova fase di intolleranza che trova il suo culmine con Chruscëv, il quale, avviando il processo di destalinizzazione, finisce inconsapevolmente col favorire la nascita del dissenso civile e religioso, che contribuirà in modo significativo al progressivo sfaldamento del sistema negli anni di Gorbacëv
Si tratta del catalogo della mostra di Roma (Scuderie del Quirinale, 27 settembre - 6 gennaio 2004). La mostra espone, accanto ai capolavori di De Chirico, le opere di grandi artisti come Mirò, Picasso, Magritte, Dalì, Brancusi e Giacometti, profondamente suggestionati dal nuovo linguaggio di De Chirico e Carrà.
All'appello che nel 1095 Urbano II rivolse da Piacenza agli italiani e da Clermont ai francesi, risposero entusiasti principi, vassalli, scudieri e ribaldi. Salvare la cristianità dalla più barbara e fanatica ondata musulmana, riportare i cristiani d'Oriente alla fratellanza con i cristiani d'Occidente, ricreare un unico ovile sotto un unico pastore: questo era il programma bandito da Gregorio VII e in seguito dal suo successore Urbano II. La società europea si stava organizzando attorno a Roma papale, erede e continuatrice di Roma imperiale. Un nome, Gerusalemme, rappresentava per tutti il simbolo del grande programma. La liberazione del Santo Sepolcro significava la sintesi di tutta una fede, di una vita di dedizione e abnegazione. Nel corso dei decenni, con le loro passioni, gli egoismi e le cupidigie, papi e principi corruppero questi ideali di rinnovamento creando al contempo la storia dell'Europa medievale e moderna. Ma le Crociate non furono soltanto un episodio di fanatismo sterile e di avidità grossolana: esse rappresentarono anche la realizzazione di alti pensieri e nobili sentimenti vissuti, oltre che dalle aristocrazie feudali o sacerdotali, da popoli interi. Letteratura, arte ed economia in Europa portarono e portano tuttora l'impronta dei sacrifici fatti in nome di Gerusalemme, del Sepolcro di Cristo.
Bisanzio. Crocevia del mondo per più di mille anni: tutti i popoli erano attratti dallo splendore dei suoi monumenti, dalle ricchezze dei commerci e delle industrie; su tutti i paesi si irradiava la luce della sua cultura e della sua ricchezza. Spiritualismo orientale e idealismo ellenico si erano uniti per creare attorno a una città una nuova civiltà romana e cristiana! La Nuova Roma di Costantino fu custode imbattibile, per ben undici secoli, dei princìpi del neonato cristianesimo, opponendosi alla violenza barbarica. Quando venne sconfitta dall'invasione turca, lasciò in eredità all'Occidente lo spirito della filosofia platonica, nel Rinascimento italiano ed europeo, e in Oriente la fede per il mondo slavo e russo. Francesco Cognasso, con puntualità storica e spirito narrativo, ci fa rivivere la storia di regnanti e battaglie di Bisanzio, ma anche gli usi e i costumi della città, la sua magnifica arte che possiamo ammirare ancora oggi a Istanbul, il vivere sociale di una metropoli da sempre "di confine", in grado di evocare la grandezza romana e al contempo di incontrare civiltà arabe e slave con una capacità di integrazione culturale che non ha pari nel corso della storia.