
Chicago, 1893. La Città Bianca, sede dell'Esposizione mondiale colombiana, nell'anniversario dei quattrocento anni della scoperta dell'America. Gli Stati Uniti proclamano al mondo la loro volontà di potenza e il cammino che hanno fatto in poco più di un secolo di storia. Il giovane Frederick Jackson Turner sale al podio per esporre la sua relazione su "Il significato della frontiera nella storia americana". Nello stesso momento Buffalo Bill, il cui nome è già diventato sinonimo di cowboy, si sta esibendo nel suo spettacolo grandioso e popolarissimo, il Wild West. Quello che hanno in comune l'uomo di spettacolo e il giovane ricercatore che fonda su una nuova base l'interpretazione della storia nazionale è la celebrazione della raggiunta grandezza degli Stati Uniti. Bruno Cartosio parte da qui per ripercorrere i fatti della "conquista del West" e raccontarne miti e rappresentazioni. Indaga la vitalità del mito e la sua capacità di assorbire contraddizioni, passi falsi, bugie e, in ultima analisi, di dare forma a un pezzo di storia americana e mondiale. È un viaggio caleidoscopico, compiuto cercando di separare realtà e leggenda, ma al tempo stesso rivelandone gli intrecci e le interdipendenze. Con sguardo critico, Cartosio mostra come la costruzione ottocentesca del mito, poi esportato in tutto il mondo dai western di Hollywood, abbia forgiato l'identità americana, accompagnando e spesso coprendo con la maschera dell'avventura le realtà della violenza anti-indiana, della vita dura di singoli e famiglie, della conquista e dello sfruttamento rapinoso delle risorse di una terra ricca e generosa.
Gli anni compresi tra lo scoppio della prima guerra mondiale e l’avvento del fascismo rappresentarono per Roma una fase di straordinario cambiamento. La nascita dello Stato-nazione, infatti, riportando Roma al suo ruolo di centro del dibattito politico-culturale e della dimensione simbolica nazionale, innescava tutta una serie di progetti di trasformazione e modernizzazione destinati a cambiare profondamente l’aspetto della capitale e della sua grande provincia.
Il volume affronta con un approccio multidisciplinare diversi aspetti di questo processo, soffermandosi sui principali nodi della trasformazione ambientale e territoriale, sulla modernizzazione (o mancata modernizzazione) delle forze politiche, su alcuni risvolti, infine, di una realtà economico-sociale in profondo fermento a causa della crisi di mobilitazione delle masse generata dall’entrata dell’Italia nel conflitto mondiale.
Dall'Unità ad oggi, la storia dei partiti italiani viene qui ripercorsa, nei suoi passaggi fondamentali, attraverso lo svolgimento cronologico delle diverse fasi politiche: dai problemi e le questioni emerse all'indomani dell'unificazione, passando attraverso la crisi del liberalismo e l'avvento dei partiti di massa, superando la soppressione della vita democratica messa in atto dal regime fascista, e arrivando, infine, alla creazione, al consolidamento e alla crisi del sistema dei partiti dell'Italia repubblicana. Un percorso difficile e tortuoso, caratterizzato, dall'irrisolto nodo della creazione di un reale spirito di appartenenza comune. Ripercorrendo questo "iter" e affrontando una disamina delle interpretazioni e delle metodologie di ricerca storiografica, il volume intende fornire un contributo per un rinnovato dibattito (aperto agli specialisti del settore, nonché al vasto campo di studiosi di scienze sociali) relativo al "caso italiano" e a quei caratteri peculiari che continuano a determinarne l'assoluta specificità nel panorama dei sistemi politici europei.
Nel luglio 1942 l'Armata italiana in Russia contava circa 230.000 uomini, più veicoli, carri, materiali vari e animali. Per il trasporto furono necessari duecento convogli ferroviari. In seguito all'offensiva sovietica del dicembre di quell'anno, cominciò una disastrosa ritirata che continuò per centinaia di chilometri nella sterminata pianura russa: ogni giorno duri combattimenti falciarono migliaia di soldati. Il resto, e fu il più, lo fece il gelo. Male armati, peggio equipaggiati, in condizioni disumane, 70.000 vennero fatti prigionieri: la maggior parte morì di stenti nei campi di prigionia.
Il più grande intrigo politico-spionistico della Seconda guerra mondiale comincia nel luglio del 1932 all'hotel Drake di Chicago, dove si tiene la convention democratica che dovrà scegliere, fra Franklin Delano Roosvelt e Albert Smith, il candidato alle elezioni presidenziali. Quella notte giungono da New York due giovani azzimati con pretese di eleganza: Frank Costello e Lucky Luciano. Undici anni dopo in Sicilia tutti sapevano che gli Alleati sarebbero sbarcati il 10 luglio, tanto la popolazione quanto i più elevati livelli politici e militari. Una ricostruzione dello sbarco degli Alleati in Sicilia che analizza il ruolo di quanti - massoneria, mafia, monarchia e Stato Pontificio - prepararono la nascita dell'Italia repubblicana.
Dalla sera dell'8 settembre 1943 al 2 maggio del 1945, 86.000 militari italiani muoiono combattendo con la propria divisa contro i nazifascisti in Italia, in Grecia, in Jugoslavia e da prigionieri nei lager tedeschi. Alla grande storia di Badoglio e di Eisenhower, di Vittorio Emanuele III e di Alexander, di Roosevelt e di Hitler, di Churchill e di Rommel, si affiancano le cronache di quindici giovani, che l'8 settembre sorprende in Francia, in Grecia, in Sardegna, a Milano, in Montenegro, in Friuli, in Dalmazia, in Puglia. Sono fascisti convinti, ma intuiscono che dentro il buco nero nel quale sono stati cacciati da Mussolini e dallo Stato maggiore l'unico salvagente al quale aggrapparsi è il senso di attaccamento alla Patria.
Erano contadini, artigiani, operai, commercianti. Settantasette italiani, tra i 20 e i 35 anni, precipitati nel peggior mattatoio della seconda guerra mondiale: Stalingrado. Erano del 127° e 248° autoreparto: avevano portato uomini e rifornimenti alla VI armata di Paulus e dovevano rientrare dopo aver riempito gli autocarri con la legna per affrontare l'inverno. Furono invece bloccati dall'avanzata dell'Armata Rossa alla fine di novembre del 1942. L'evento che cambiò le sorti del conflitto viene vissuto dal basso, il massacro dei combattimenti s'intreccia ai tormenti di poveri soldati: freddo, malattie, fame crescente. La loro lenta agonia è raccontata dalle lettere spedite a casa. Le ultime, in gennaio, testimoniano la fine di ogni speranza. Dopo la resa, la prigionia falcidia i sopravvissuti. Solo due rivedranno l'Italia. Oggi la loro memoria vive nel ricordo dei familiari. Alfio Caruso, in una sorta di doloroso pellegrinaggio, li ha rintracciati quasi tutti.
La storia si nutre di misteri: ma quello che per gli altri paesi è l'eccezione, in Italia sembra essere la regola. Anche l'unico chiarito nella sostanza, la strage di piazza Fontana a Milano nel dicembre 1969, lo rimane nella forma. È l'alto prezzo pagato all'essere stati per decenni una democrazia imperfetta: sede del Vaticano e con il più importante partito comunista d'Occidente. C'era la pretesa di conciliare le prerogative di uno stato libero e indipendente con l'ingombrante presenza sul territorio nazionale degli Stati Uniti. Fino alla dissoluzione del comunismo, la penisola è stata teatro della più calda delle guerre fredde. Ripercorrendo i più famosi misteri di questi sessant'anni imperfetti, dall'attentato a Mattei all'omicidio di Dalla Chiesa (eseguita dalla mafia, ma voluta da chi?); dalla morte di papa Luciani all'assassinio di Aldo Moro; dalla prima strage politica (l'esecuzione di otto carabinieri vicino a Gela nel '46) al complotto per eliminare Giovanni Paolo II; dalla necessità di chiudere la bocca a Pasolini al risiko bancario; dai titoli falsi del Tesoro americano approdati in Vaticano all'eterna deviazione dei servizi segreti, Alfio Caruso miscela vero e verosimile per raccontare questo lungo intrigo denso di compromessi, d'impunità, di complotti sin dall'inizio: sotto la tenda di Cassibile nel '43 fu firmato un armistizio deciso quattro mesi prima ad Algeri.
La storia criminale di Cosa Nostra compresa tra il primo assassinio compiuto da Salvatore Giuliano e la cattura di Bernardo Provenzano costituisce l'eredità più pesante trasmessa dal Novecento al nostro Paese. Ripercorrendo più di mezzo secolo di storia italiana, con l'ausilio di una sterminata letteratura - libri, verbali d'interrogatorio, atti processuali, relazioni delle Commissioni Antimafia, informative e rapporti di questure, prefetture, carabinieri - e la collaborazione di cento siciliani che hanno raccontato l'episodio di cui sono stati testimoni, Alfio Caruso ci restituisce, per la prima volta, la narrazione pura e semplice di un'impresa criminale, con i suoi "padri fondatori", le sue fazioni, le sue alleanze. Dall'ingresso dei villalbesi di "don Calò" Vizzini nella Dc del 1945 al primo eccidio di carabinieri a opera della "banda dei niscemesi"; dal ruolo avuto da Pisciotta e Leggio nella morte di Giuliano all'anno orribile (il 1979) con i delitti irrisolti ma tra loro collegati di Ambrosoli, Boris Giuliano, Terranova, Caruso ci svela la storia di un'associazione segreta che non ha mai avuto né "codici" né "uomini d'onore", ma ha sempre e soltanto inseguito l'arricchimento smodato dei suoi affiliati. Una storia, dunque, percorsa da personaggi efferati che non esitano, per calcolo od opportunità, a mascherarsi persino da "collaboratori di giustizia", ma anche tragicamente segnata dal sacrificio di quanti hanno combattuto ogni sopruso.
Da settant'anni El Alamein è un grido che risuona nei cuori e nelle menti d'Italia. Per i ragazzi dell'Ariete, della Trento, della Folgore, della Trieste, della Littorio, della Bologna, della Brescia, della Pavia, del 4° e del 50° stormo d'assalto rappresentò l'appuntamento con un destino ingrato, da ciascuno onorato al meglio. A mandarli al massacro furono la sanguinaria follia del duce e il tradimento degli ammiragli: Mussolini, nel '41 e nel '42, preferì inviare undici divisioni e il meglio dell'artiglieria nel mattatoio sovietico anziché in Africa, dove avrebbero potuto cambiare il corso della guerra; i capi della Marina rivelarono agli inglesi le rotte dei trasporti verso Tripoli e Bengasi privando in tal modo l'armata italo-tedesca dei rifornimenti indispensabili per raggiungere il canale di Suez. Pur ignorati dalle ricostruzioni ufficiali, bersaglieri, para, fantaccini, genieri, aviatori scrissero pagine di memorabile abnegazione persino a dispetto del regime, che li aveva abbandonati nel deserto. E gli italiani non scapparono, non alzarono le mani, spesso morirono in silenzio nella loro buca. Gli stessi successi di Rommel furono frutto, finché il nemico non se ne accorse, di una straordinaria operazione di spionaggio condotta dal maggiore dei carabinieri Manfredi Talamo, in seguito fucilato alle Fosse Ardeatine. A El Alamein cominciò la presa di coscienza dei ragazzi della generazione sfortunata, che avrebbe indotto i sopravvissuti della Folgore ad arruolarsi con gli americani.
Non erano mercenari, né ladroni, coloro che nel decennio dal 1860 al 1870 impugnarono le armi per difendere Pio IX. Erano principi, conti, marchesi, duchi, baroni. Provenivano dalla Francia e dall'Austria, dalla Germania e dalla Spagna. Li univa un forte sentimento cattolico e una discreta avversione nei confronti della nuova Italia, secondo loro in mano alla massoneria. Poi c'erano soldati di ventura olandesi e tedeschi attratti dal discreto soldo, irlandesi venuti a Roma in odio all'Inghilterra protestante, canadesi obbligati dai vescovi. Dal 1860 al 1870 costituirono il nucleo principale dell'esercito del Papa. E nell'anno di porta Pia ne arrivarono un migliaio sicuri di ripetere le prodezze di Mentana. A loro si unirono tanti emiliani, toscani, marchigiani, laziali cementati da un odio profondo per l'unità d'Italia e convinti che l'unica forma di Paese accettabile potesse coagularsi sotto l'egida del pontefice.
Per quanto non dichiarata, la guerra che si combatté in Sicilia tra lo sbarco angloamericano nel 1943 e l'uccisione di Salvatore Giuliano nel 1950 fu ad altissima intensità. Cambiarono i pupi e gli scenari, ma il puparo rimase sempre il Partito unico siciliano (massoni, imprenditori, boss di Cosa Nostra, politici d'ogni colore, giudici). E suoi alla fine furono i guadagni. Sette anni di anarchia e terrore, con lo Stato ospite indesiderato. Cominciarono i grandi proprietari terrieri e i nobili per difendere anche i centimetri dei latifondi. Proseguirono gli agitatori fascisti per sabotare la leva obbligatoria. Poi avvennero le rivolte contro la politica dell'ammasso, la guerriglia per il pane, la ribellione di cento comuni, dove l'esercito per ristabilire l'ordine usò mitragliatrici, cannoni, blindati. In un misterioso agguato venne ucciso il personaggio più singolare, Antonio Canepa, professore universitario: nella sua breve vita preparò un attentato a Mussolini, guidò lo spionaggio britannico nell'isola, infiammò con un libello i cuori indipendentisti, si iscrisse clandestinamente al Pci. A intorbidare le acque provvidero la congiura per instaurare i Savoia a Palermo e l'arruolamento nell'Esercito dei volontari per l'indipendenza siciliana. Ne sarebbero discese le stragi di Portella della Ginestra e degli otto carabinieri di Feudo Nobile, sulle quali tuttora proseguono misteri e depistaggi...