
Rustichello si è già fatto parecchi anni di galera. Marco c'è capitato da poco, in prigione, ostaggio dei genovesi. Che debba proprio finire così, in gattabuia, dopo tutti quegli anni spesi tra giade, ori, principesse e cavalieri? Se uscire non si può, non rimane che cavarsene fuori, dalla miseria della detenzione, a forza di storie e di ricordi. Marco racconta, Rustichello, che è scrittore di professione, scrive parola per parola. Qua e là taglia, aggiusta, cuce frasi, ci mette un po' di suo. La specialità di Rustichello, pisano, sono i romanzi cavallereschi. Marco ha un'altra specialità. Sa vedere. Il Milione, nato quasi per caso nelle carceri genovesi, nel 1298, non è solo il più famoso libro di viaggi della storia occidentale. Quello che lo rende unico è lo sguardo di Marco. Uno sguardo acuminato, preciso come un registro mercantile, capace di tener conto anche dei dettagli più minuti: di come venga montata una tenda nella steppa, di quanto costino le perle, del galateo dei banchetti mongoli. Ma anche uno sguardo morbido. Marco sa essere pietoso, simpatico, aperto. Ha lasciato Venezia da ragazzo, assieme al padre e allo zio. Allora non poteva saperlo, ma avrebbe rivisto i marmi di San Marco solo 24 anni più tardi. Si è avviato verso terre lontanissime per raccogliere onore, conoscenza e, perché no, profitto. L'entusiasmo per le infinite novità e le continue scoperte cancella ogni nostalgia di casa. Scoprire, capire, raccontare, questa è la sua missione. Strada facendo, Marco ha incontrato una folla di uomini e donne di cui non si sapeva nulla, né a Venezia né in tutta Europa, molto diversi per consuetudini alimentari, economiche, sociali, famigliari e sessuali, spesso in stridente contrasto con quelle dell'Occidente cristiano. Li ha visti com'erano, senza volerli per forza trasformare in qualcosa d'altro, più facile da capire e da accettare. Giulio Busi accompagna Marco Polo lungo le carovaniere d'Oriente, alla corte del Gran Qan, in città remote dai tetti lucenti. Lo segue con l'abituale scrupolo per le fonti, annotando meticolosamente e con consumata maestria narrativa ogni tappa, ogni evento. Tanto viaggiare ha uno scopo ben preciso: catturare lo sguardo di Marco. Per rivedere quello che lui ha visto, con i suoi occhi. E per imparare a osservare il nuovo, il diverso, l'altro senza timori e con la stessa limpida meraviglia.
Solitario, scontroso, testardo. Un eroe romantico, capace di superare ogni avversità. Un uomo volitivo, dotato di grande fascino personale. Un genio intrattabile, un formidabile parlatore e un cavaliere senza paura e, spesso, senza pietà. Cristoforo Colombo fu probabilmente tutto questo. Ma se fosse stato solo questo, la sua impresa sarebbe rimasta, al massimo, un romanzo di gesta, sullo sfondo di mari esotici. Non il viaggio transoceanico che ha cambiato per sempre la geografia e la storia del mondo. Chi era, allora, il grande Scopritore, il capitano «nato lanaiolo e morto ammiraglio del mare oceano»? Nella fantasia di dilettanti, complottisti e novellatori d'ogni genere, il «vero» Colombo è sempre qualcun altro. Dalla Galizia alla Catalogna, dal Portogallo alla Polonia, gli sono state attribuite infinite patrie, una più improbabile dell'altra. La distorsione biografica ha fatto scorrere fiumi d'inchiostro. Proprio perché lui, l'uomo in carne e ossa, di cui ci parlano i documenti, ha avuto una vita strana, contraddittoria, segretamente fuori luogo. Cristoforo Colombo naviga da par suo. Quasi sempre evita le secche. Talvolta, fatalmente, s'arresta, si scontra, perde la rotta. E, con lui, sbagliano e s'arrestano quanti lo seguono e condividono la sua sorte. Perché, dietro l'eroe solitario, in realtà si stende una fitta rete di amicizie, protettori e investitori che puntano su di lui. Per svelare il «vero» Colombo, Busi dà vita a un racconto corale, vivace e multiforme, in cui spiccano i tanti personaggi, che manovrano la storia come i marinai portano una nave. Alla passione e al coraggio, s'uniscono la violenza, la sopraffazione, il tradimento. Negli ultimi decenni l'immagine del navigatore è stata rivisitata, criticata, attaccata per aver tradito, ridotto in schiavitù e sterminato gli indios che lo avevano accolto festosamente e pacificamente. Via i monumenti, via il suo nome da strade e piazze. Ma, «prima di condannarlo senz'appello, facciamolo almeno cominciare. Godiamo con lui l'ebbrezza della partenza, lasciamo che prenda il mare, aspettiamo che sogni il suo sogno».
Per la Giornata della Memoria la Domenica de Il Sole 24 ORE propone ai suoi lettori la raccolta di articoli della rubrica Giudaica scritti da Giulio Busi, un itinerario critico costruito attraverso episodi del presente e del passato che raccontano in retrospettiva un momento della storia da non dimenticare, oggi più attuale che mai, attraverso la narrazione intensa e puntuale del massimo ebraista italiano.
Estate 1980. Un aereo decolla con un leggero ritardo dall'aeroporto di Bologna. A bordo ottantuno persone tra passeggeri e membri dell'equipaggio. Quel volo non completerà mai la sua tratta, finendo per inabissarsi nel Mediterraneo e dando vita a uno dei più intricati misteri della già tortuosa storia della Repubblica Italiana. Trentacinque giorni più tardi, nella stazione ferroviaria della stessa città, una mano assassina colloca un ordigno che uccide ottantacinque innocenti e ferisce gravemente oltre duecento persone. Le autorità indagano sui due eventi ma, anche a distanza di decenni, sembra impossibile approdare alla verità. Estate 2022. Più di quarant'anni dopo quei tragici giorni, Sara Terracini e Oswald Breil si imbattono in Michela Di Romeo, vedova di un servitore dello Stato deceduto nel 1995 mentre investigava su un traffico di rifiuti tossici scomparsi dopo essere stati caricati su carrette del mare. L'uomo aveva scoperto l'esistenza di una vera e propria flotta di navi che tra il 1985 e il 1992 fu deliberatamente affondata nel cuore del Mediterraneo con il suo carico di morte, generando interessi illeciti da capogiro. Quando si tratta di fare giustizia e risolvere un mistero, si sa, i Breil non possono tirarsi indietro. Sara e Oswald decidono così di aiutare la donna a fare luce sulla morte del marito... Ma quello che scopriranno supererà ogni loro previsione e riscriverà il passato. Tra inquietanti sparizioni e pericolosi legami che coinvolgono la malavita organizzata, apparati deviati dello Stato, terrorismo internazionale e finanzieri dai pochi scrupoli, Marco Buticchi offre una versione alternativa e incredibilmente verosimile di quarant'anni di storia italiana in un'avventura ad alto rischio per l'intero equipaggio del Williamsburg.
Quale invisibile legame collega l'esuberante civiltà minoica e l'austera comunità essena di Qumran? Quali oscure trame ispirarono l'assassinio del re merovingio Dagoberto, sospettato di eresia dal Papato e considerato invece dal misterioso Priorato di Sion l'ultimo discendente diretto del Messia? Quali erano i reali intenti del mistico Bernardo di Chiaravalle, che non volle diventare papa ma tenne in pugno la Chiesa per quasi trent'anni, esercitando un "potere all'ombra di tutti i troni"? Eventi storici apparentemente slegati l'uno dall'altro confluiscono in un unico Grande Disegno: la creazione dell'Ordine dei Templari e la sua diffusione in tutta Europa con tecniche di gestione economica e sociale che ne fanno il primo esempio di impresa multinazionale (ma all'epoca delle Crociate). Un'ascesa rapida, sensazionale, e un'altrettanto fulminea e rovinosa caduta, quando il re di Francia e una papa francese attuarono una vera e propria "soluzione finale": i Cavalieri templari furono torturati e sterminati con un accanimento che precorre in modo sinistro la ventata d'odio dell'Olocausto.
Giorgio del Giglio (ca. 1520-1579), originario della piccola isola dell'arcipelago toscano, fu di volta in volta soldato, ambasciatore, negoziatore, spia, interprete, mercante di schiavi e persino schiavo lui stesso. Catturato sette volte dai pirati barbareschi, rinnegò la fede cristiana due volte. Trascorse più di dieci anni nell'Impero ottomano, dove affermò di aver svolto molte missioni per il sultano Solimano il Magnifico e più tardi per il duca di Firenze, Cosimo de' Medici. Percorse in lungo e in largo il Vicino e il Medio Oriente, e si dice che si sia spinto fino alla Cina. I suoi favolosi diari di viaggio sono in parte autobiografia, in parte enciclopedia, in parte cartografia, in parte controversia religiosa. Proprio come Carlo Ginzburg aveva tratto dall'oblio il suo mugnaio del XVI secolo ne "Il formaggio e i vermi", Florence Buttay ridona vita a questa figura di impostore, che vendeva i suoi servizi di spia al migliore offerente e sognava la concordia religiosa in piena Controriforma. Ci racconta le tribolazioni di un frontaliere del Rinascimento, sempre in cerca di una identità tra le due sponde del Mediterraneo, tra Oriente e Occidente, che non manca di evocare Leone l'Africano di Natalie Zemon Davis.
Nel mondo in cui è nato Newton Knight, l'onore di un uomo si misura sul numero di schiavi di sua proprietà. Suo nonno Jackie è uno degli uomini più onorevoli del Mississippi, a metà dell'Ottocento. Nel mondo di Newton Knight, i neri devono stare al loro posto e non alzare mai la testa. Non sono permessi matrimoni misti, ma nulla vieta al padrone bianco di approfittare delle sue schiave.
Ci vuole uno spirito molto ribelle per non adeguarsi a quello che è considerato l'ordine naturale delle cose. E prima di diventare un fuorilegge a capo di una banda di disertori, Newton Knight è stato un ribelle. Non ha simpatia per la schiavitù, né per le ingiustizie. E ha capito che le barriere tra bianchi e neri non sono così rigide. E si possono spezzare. Amando Rachel, per esempio, una delle schiave del nonno.
Allo scoppio della guerra di Secessione, Newton decide di ribellarsi alle violenze dell'esercito confederato, a cui appartiene, e di disertare. Altri uomini si uniscono a lui e, con il sostegno di schiavi e di bianchi antischiavisti, Newton dichiara la contea di Jones indipendente e dà inizio alla prima comunità mista del Mississippi.
Nel momento di maggiore divisione dell'America, mentre intorno infuria una sanguinosa guerra civile, nella contea di Jones uomini e donne, bianchi e neri, combatteranno insieme per la libertà e la giustizia.
Sebbene sia interessato a un passato lontano, spesso lo studioso del mondo antico cede alla tentazione di assimilare l'antichità al proprio sistema culturale, con il rischio di deformarla. Luogo di origine della scrittura e del diritto, della democrazia, delle scienze e della bellezza classica, l'antichità è effettivamente, per noi, un costante punto di riferimento e una continua fonte di legittimazione. Come si può rendere dunque percepibile la specificità delle società del passato? È a partire da questo interrogativo (in cui è riassunto il paradosso che caratterizza lo studio della storia antica) che Pierre Cabanes tenta di descrivere la diversità e le peculiarità di un mondo di fronte al quale lo storico si trova spesso in difficoltà a causa della mancanza di fonti documentarie certe, ma soprattutto dell'inadeguatezza dei concetti storiografici tradizionali e della stessa metodologia storica. La sua ricognizione si fonda in primo luogo sull'identificazione delle fonti documentarie, ne descrive le tipologie, le problematiche che ciascuna di esse pone, e il lavoro interpretativo necessario per rendere intelligibili le realtà del passato. Una serie di quadri sintetici, scandita in successione cronologica, ricostruisce poi i grandi temi e le principali vicende della storia antica a partire dai regni del Vicino Oriente per arrivare alla fine dell'Impero romano.