
Il Grand Tour, consuetudine delle classi colte europee nei secoli passati, trovava il suo culmine nel Bel Paese, in omaggio al quale diventava il Viaggio in Italia. Come si svolgeva ce lo racconta la messe di diari, memorie, guide, epistolari a cui il libro attinge, restituendoci le vicende di uomini e donne d’ingegno, di nobili, di artisti, di poeti, di studenti e di quanti si dettero con entusiasmo alla scoperta della penisola. Ripercorriamo così gli itinerari più battuti, sperimentiamo l’equipaggiamento e i mezzi di trasporto, riviviamo gli incidenti e le avventure, ma anche i sogni e a volte lo scoramento di quei primi turisti. Ma c’è dell’altro, perché grazie a quelle testimonianze potremo fare l’unica, autentica esperienza di viaggio ancora possibile oggi: tornando sui passi degli antichi visitatori, in loro compagnia, fare nostre le loro mete favolose.
Attilio Brilli è fra i massimi esperti di letteratura di viaggio. Tra i suoi numerosi libri per il Mulino segnaliamo «Il grande racconto del viaggio d’esplorazione, di conquista e d’avventura» (2015), «Il grande racconto delle città italiane» (2016) e «Gli ultimi viaggiatori nell’Italia del Novecento» (2017).
Nel 1899, ricordando i suoi soggiorni in Italia, Lev Tolstoj scriveva alla moglie: «Firenze, è vero, anche a me piace per la modestia e la gradevolezza. Al mio tempo - tuttavia - d'improvviso si cominciò a sciupare: era diventata capitale». Molti dei viaggiatori stranieri che in quegli anni intraprendevano il grand tour lungo le strade italiane rimanevano interdetti davanti ai cantieri che affollavano il centro storico. Osservando gli sventramenti degli stretti vicoli fiorentini, Ruskin rimpiangeva la Firenze immobile di alcuni anni prima, quando era ancora possibile attraversare le stesse strade percorse da Dante. La trasformazione aveva preso il via con l'unità d'Italia, quando i politici sabaudi avevano deciso di spostare temporaneamente la capitale da Torino a Firenze, nella speranza di stabilirla un giorno a Roma, ancora da conquistare. Il ruolo di capitale, seppure provvisoria, aveva reso necessari cambiamenti strutturali che minacciavano l'antica pianta della città: le mura medievali furono abbattute e al loro posto nacquero ariosi boulevard e interi quartieri sorsero a ridosso della città vecchia. Le trasformazioni di Firenze tuttavia non sono paragonabili a quelle che coinvolsero Roma. Dal 1871 le vie dell'Urbe sono invase di calcinacci e ponteggi, mucchi di pozzolana rossa e muraglie di detriti, lastre di travertino e polvere. I borghi del centro demoliti o ridisegnati, gli enormi spazi verdi delle ville patrizie all'interno delle mura - caratteristica peculiare della geografia urbana di Roma - venduti e edificati. Quella che era la provinciale e immobile città dei papi cominciò a crescere a dismisura, senza controllo. Utilizzando le testimonianze e i diari dei viaggiatori del tempo, Attilio Brilli insegue la capitale nel suo viaggio da Torino a Roma, attraverso Firenze, e ci restituisce la cronaca avvincente di un momento decisivo della storia italiana: la nascita di una società moderna, espressione di una nuova classe sociale, che avrebbe cambiato nel profondo la fisionomia delle grandi città italiane.
Dalle origini del piccolo villaggio ai primi conflitti in politica estera, alla crisi della repubblica, alla nascita dello stato imperiale, ai suoi problemi organizzativi, economici, sociali e religiosi, per giungere sino ai tentativi di riforma della tarda antichità, il libro traccia in maniera sintetica le linee fondamentali della storia di Roma. Sono poi affrontati i temi relativi alla cristianizzazione, alle migrazioni dei popoli, al crollo dell'impero in Occidente e ai tentativi di restaurazione in Oriente. Infine viene gettato uno sguardo sulla perdurante eredità di Roma.
Una tangente non è mai solo una questione di costi e benefici; ogni comportamento, più o meno lecito, è influenzato dal luogo e dall'epoca, dalle leggi in vigore e dalle norme morali: in una parola dalla nostra stessa cultura. Anche per questo leggere una commedia di Aristofane, un dramma di Shakespeare o un romanzo di Balzac può aiutarci a indagare sulla corruzione nella storia almeno quanto cronache, studi e documenti. A ben guardare, governanti e uomini d'affari accusati di malversazione nel corso del tempo sono altrettanti personaggi romanzeschi: dal latino Verre ai «barattieri» descritti da Dante, dal sovrintendente del Re Sole, Fouquet, al lobbista Jack Abramoff, dai venditori di cariche pubbliche nell'Italia spagnola ai gerarchi fascisti prezzolati, da Bonifacio VIII a Francis Bacon, dai boss della criminalità organizzata ai protagonisti dell'Iraqgate. Questo libro ne ripercorre le storie e le mette a confronto spaziando dalle civiltà mesopotamiche, dove ungere le ruote era considerato lecito, alla Roma di Giulio Cesare, in cui il favore interessato era un costume condannato ma ampiamente diffuso, dall'Europa di Lutero, che denunciò la decadenza della Chiesa, all'irrisolta questione morale dei giorni nostri. Una cavalcata tra i secoli che intreccia politica e letteratura, storia dei fatti e delle idee, e che illumina l'origine e l'evoluzione della «cultura della mazzetta» attraverso saggi e satire, testimonianze, favole e film, dal Principe di Machiavelli al Pinocchio di Collodi: per ricostruire la trama del grande romanzo della corruzione e comprenderne le mutazioni e i devastanti effetti ma anche per ribadire la necessità di continuare a opporvi la più cocciuta resistenza.
Com'è morto Hitler? Che cosa sapeva Stalin delle circostanze del suo suicidio? Perché, se ne aveva le prove, continuò a sostenere con i suoi alleati occidentali che Hitler fosse fuggito? Per la prima volta, dopo oltre settant'anni, il governo russo ha consentito a due giornalisti e documentaristi, nonché a uno dei più illustri medici legali francesi, Philippe Charlier, di consultare gli archivi segreti sull'incredibile caccia al cadavere di Hitler da parte delle spie sovietiche: gli interrogatori dei testimoni degli ultimi giorni del Fuhrer, la pianta del bunker dove Hitler ed Eva Braun si sposarono e poi si suicidarono, a quanto si ritiene, il 30 aprile 1945, un piano di fuga, una grande mole di verbali, ma soprattutto resti umani: un pezzo di cranio che presenta il foro della pallottola che lo uccise, un frammento di mandibola, alcuni denti attribuiti a Eva Braun. All'indomani dell'armistizio, riuscirono o no i russi a identificare il cadavere di Hitler, nonostante fosse stato probabilmente bruciato? Nell'assenza del cadavere, i dubbi che Stalin istillò si propagarono come una cancrena e continuano ancora oggi ad alimentare ogni genere di fantasma. Esaminando archivi inediti e utilizzando le metodologie più moderne, gli autori ci consegnano un'inchiesta che riscrive gli ultimi giorni della seconda Guerra Mondiale, l'inizio della Guerra Fredda: e getta una luce definitiva sul giallo storico più discusso del Novecento: il giallo della scomparsa del cadavere di Hitler.
Alla Società dei Giacobini di Parigi, sul finire del 1791, Brissot propose una guerra all’Europa intera in nome della libertà dei popoli, ma venne prontamente contrastato da Robespierre, che temeva da quella scelta un drammatico contraccolpo sui precari equilibri della Francia rivoluzionaria.
Brissot avrebbe vinto il duello oratorio, la Francia sarebbe andata in guerra e avrebbe scoperto la Repubblica: ma il tribunale dei posteri sarebbe stato sempre con Robespierre, riconoscendogli il merito di avere resistito alla violenta deriva del patriottismo.
Su questa lettura fan tuttavia premio gli avvenimenti successivi, quando il rovescio delle operazioni militari portò al precipizio Brissot e la Gironda e aprì la via al governo rivoluzionario dominato dal suo avversario. Nella congiuntura politica di fine 1791 il senso delle posizioni dei due era infatti diverso: entrambi favorevoli a una guerra di libertà, si differenziavano giusto per le priorità che intendevano assegnare all’azione politica rivoluzionaria.
Il volume restituisce quel duello oratorio alla propria originale dinamica, proponendo, in uno stretto ordine cronologico, il serrato contraddittorio tra i due, costruito su tre discorsi per parte, dove le argomentazioni dell’uno son puntualmente riprese e criticate dall’altro. In tal modo, le parole di Brissot, mai tradotte in italiano, molto attutiscono l’avventurismo politico sempre addebitatogli e consentono al tempo stesso di rileggere quelle di Robespierre su altro registro rispetto al pacifismo rivoluzionario troppo spesso riconosciutogli.
"A salvare il Tempio non valsero né gli sforzi dei Giudei, subito accorsi a combattere le fiamme, né l'intervento di Tito in persona, che si precipitò alla testa del suo stato maggiore ordinando ai soldati di spegnere l'incendio. Ormai la violenza dello scontro era cresciuta a dismisura e gli ordini non venivano più ascoltati da uomini che, sentendo di avere finalmente in pugno la vittoria, erano in preda ad un furore incontenibile e ad una smodata brama di saccheggio. Anziché estinguere le fiamme, le alimentarono. Il Tempio era perduto." Il conflitto tra Romani ed Ebrei fu una guerra ai limiti del genocidio, segnata dalla totale incomunicabilità tra le due parti: lo zelo ebraico verso la Legge divina da un lato, la devozione romana per le umane leggi dell'impero dall'altro. Un disastro per Roma, che nello scontro dissipò buona parte della sua forza militare e disperse un patrimonio non rimpiazzabile di energie vitali, quasi quanto per gli sventurati Ebrei. Una vicenda i cui cupi rintocchi continuarono a lungo a risuonare, non solo in Oriente.
Nel nostro Paese si gioca a calcio dai tempi in cui Federico Nietzsche baciò un cavallo a Torino. E, in quegli anni, una certa dose di follia e uno spirito anticonformista erano necessari anche per rincorrere in calzoncini una palla, sforzandosi di applicare le regole d'uno sport britannico chiamato association football. Quel gioco, per noi, è diventato nel tempo una faccenda maledettamente seria. Così, se si volesse eleggere un 'padre del calcio italiano' non ci si accorderà mai: il vogatore Bosio o il visionario Duca degli Abruzzi? Herbert Kilpin, il viscerale figlio del macellaio, o il compassato medico Spensley che, al peggio, imprecava in sanscrito? Per certo, furono tutti pionieri, e il gioioso contagio, originato a Torino e Genova, raggiunse ben presto ogni città del Paese, dando vita a squadre, competizioni e rivalità che ancor oggi infiammano i cuori. Ripercorrere l'infanzia del calcio comporta un viaggio emozionante ai confini del mito: qui si raccontano gli anni d'oro di Genoa, Pro Vercelli e Bologna, e i primi trionfi di Milan, Juventus e Inter. Si narra del caleidoscopio delle squadre attive a Roma, Firenze e Napoli all'alba del XX secolo, e degli esordi della Nazionale; di esotiche tournée, scissioni e disordini di piazza; di atti d'eroismo e burle indimenticabili e, ancora, di come il 'meraviglioso giuoco' sopravvisse all'inaudito massacro della Grande Guerra, per divenire fenomeno di massa nella prima, turbolenta, metà degli anni Venti...
A partire dal 1926, la storia del calcio italiano e quella del regime s'intrecciano in maniera indissolubile: il ras romagnolo Leandro Arpinati diventa il dominus di uno sport che esce dal suo periodo pionieristico e assurge a passione nazionale. Sono stagioni trionfali per il Torino del 'Trio delle meraviglie' e per la Juventus del 'Quinquennio d'oro', per l'Ambrosiana di Meazza e per il Bologna 'che tremare il mondo fa'; sono gli anni della Roma 'testaccina' e della Lazio di Silvio Piola, protagoniste di derby infuocati e determinate a portare il primo scudetto nella capitale. A marcare l'epica del calcio italiano arrivano, sollecitati con forza dalla dittatura, i grandi trionfi degli Azzurri: i titoli mondiali del 1934 e del 1938, e quello olimpico ottenuto nel 1936. Pozzo e Schiavio, Baloncieri e Ferraris IV, Cesarini e Borei diventano in queste pagine personaggi a tutto tondo, e intrecciano i loro destini con quelli di gerarchi, dame, attrici e intellettuali dell'epoca - da D'Annunzio a Malaparte, da Emilio Lussu a Carlo Rosselli. Un affresco che fa rivivere, tra fasti e contraddizioni, il fatale inclinarsi di una società conformista verso il disastro della seconda guerra mondiale.
Parigi, 1938, Vittorio Pozzo, commissario tecnico della Nazionale, festeggia la Coppa del mondo vinta dall'Italia per la seconda volta consecutiva. «Nulla al mondo di più bello», afferma commosso. È l'apogeo del calcio italiano con i suoi campioni e le loro storie fantastiche: Meazza, il fuoriclasse nato poverissimo e diventato grazie al calcio l'uomo più popolare della sua Milano; il cannoniere Silvio Piola, sottratto in nome della ragion di Stato alla Pro Vercelli e consegnato alla Lazio; il 'Fornaretto' Amedeo Amadei e gli altri alfieri giallorossi che riusciranno infine a portare lo scudetto sulle sponde del Tevere; e ancora, il bolognese Biavati, imprendibile inventore del 'doppio passo', e lo scatenato triestino Colaussi. Mentre l'Italia tutta festeggia, ha inizio l'odiosa discriminazione razziale e i venti di guerra travolgono il pallone. La fortissima Austria viene 'annessa' alla Germania, in Francia i nazionalisti storcono il naso di fronte alla presenza dei primi giocatori arabi e neri fra i ranghi della Nazionale, in Russia le purghe decimano intere squadre, gli esuli baschi e catalani in fuga dalla Spagna di Franco si rifugiano a giocare in Messico. Quando la parola spetterà agli eserciti, i calciatori italiani saranno chiamati a mandare avanti sino all'ultimo momento possibile il torneo di Serie A, la 'distrazione di massa' che più di ogni altra dovrebbe garantire una parvenza di normalità al Paese prossimo a trasformarsi in campo di battaglia. Con la pace, ecco Valentino Mazzola chiamare il Toro alla carica rimboccandosi le maniche della casacca; l'epopea granata restituirà orgoglio e fiducia a un'Italia battuta, umiliata e smaniosa di riscatto sotto le nuove insegne repubblicane. I campioni del pallone sono gli spiriti benevoli che presiedono al 'meraviglioso giuoco', gli uomini che hanno regalato emozioni ai padri dei nostri padri e, così facendo, hanno accompagnato e reso unica la storia del nostro Paese.
La figura del legionario romano, il fante cittadino che domina i campi di battaglia dell'antichità è strettamente legata ad una serie di valori che nascono da un profondo senso del dovere nei confronti dello Stato. A partire dagli archetipi omerici del guerriero e dall'analisi delle battaglie e degli armamenti oplitici, il libro segue l'evoluzione della figura del soldato, nel contesto degli ordinamenti militari greci, per poi concentrarsi sullo studio dell'esercito romano, cogliendo le trasformazioni di età monarchica, repubblicana e imperiale. Vengono descritte tattiche, armi ed equipaggiamenti dei legionari, nonché il loro universo culturale, politico e sociale, attraverso l'evoluzione storica degli eserciti nel mondo classico.
La figura del legionario romano, il fante cittadino che domina i campi di battaglia dell'antichità, traduce valori che sono espressione di un profondo senso del dovere nei confronti dello Stato. A partire dagli archetipi omerici del guerriero e dall'analisi delle battaglie e degli armamenti politici, il libro segue l'evoluzione di questa figura, nel contesto degli ordinamenti militari prima greci, poi romani, cogliendo le trasformazioni di età monarchica, repubblicana e imperiale. Sono così descritti tattiche, armi ed equipaggiamenti dei legionari, nonché il loro universo culturale, politico e sociale, in un ampio quadro dell'evoluzione storica degli eserciti nel mondo classico.