
Le fiabe, se considerate con serietà, svelano il loro carico di significati inconsci ed esercitano una risonanza emotiva molto forte. Con la loro semplicità e immediatezza, toccano le corde più nascoste del nostro essere raggiungendo le emozioni più profonde. Sono la rivelazione delle dinamiche archetipiche della psiche inconscia. In questo volume M.-L. von Franz esamina alcune fiabe nel tentativo di cogliere quel che hanno da dirci sulle funzioni psichiche cui diamo nome di Animus (l'immagine interna del maschile nella psiche femminile) e di Anima (l'immagine del femminile presente nella psiche maschile). Perché parlando dei re e delle regine, parliamo di fatto di Animus e di Anima, quella coppia reale che esercita la funzione di governo sulle nostre fantasie e comportamenti, sia interiori che esteriori, in relazione all'altro sesso. "L'Animus e l'Anima - affermano i curatori nella prefazione al volume - non potranno più essere visti come astrazioni o mere teorie: M.-L. von Franz ci aiuta a capire e a sentire che queste immagini sono personificazioni di movimenti misteriosi e di dinamiche vitali. Contengono il segreto di una vita piena, relazionata e in sintonia con la nostra natura interiore."
L’atteggiamento nei confronti della solitudine, oggi, è piuttosto contraddittorio. La si cerca, ma allo stesso tempo la si teme
Si sogna il ritiro in luoghi di meditazione nella speranza di ritrovare se stessi, ma una volta immersi nel silenzio ci si sente afferrati da un inquietante smarrimento, per cui si ritorna in tutta fretta alle detestate relazioni di sempre.
Mentre ci si preoccupa di favorire ed eventualmente curare le relazioni interpersonali ai fini di un maggiore benessere, non si registra uguale attenzione all’importanza del raggiungimento della capacità di stare soli con se stessi.
In realtà, soltanto chi è in grado di sperimentare la solitudine senza angoscia non corre il rischio di annullarsi nell’altro o di rivolgersi all’altro in modo fagocitante, strumentalizzante, ricattatorio o vittimistico. Il riconoscimento e l’accettazione di sé, che una positiva esperienza di solitudine comporta, sta alla base della disponibilità a riconoscere e accettare gli altri. Il successo di una buona relazione con gli altri poggia dunque sulla capacità di essere soli.
La presente lettura ci aiuta a scoprire l’importanza della solitudine senza perdere di vista il valore della relazione con gli altri.
Vittorio Luigi Castellazzi, psicologo clinico, psicoterapeuta e psicoanalista, da più di trent’anni insegna Tecniche psicodiagnostiche proiettive e diagnosi della personalità all’Università Salesiana di Roma. Già docente di Psicopatologia dell’infanzia e dell’adolescenza, ha tenuto corsi di Psicologia dello sviluppo e di Psicopatologia dello sviluppo all’Università Lumsa e all’Università degli Studi di Roma-Tre. È membro della Society for Personality Assessment e dell’International Rorschach Society. Ha fondato la «Scuola Rorschach e altre tecniche proiettive» dell’Università Salesiana.
Oltre a numerosi articoli e saggi comparsi nei lavori collettanei, è autore di numerosi volumi, tutti editi per i tipi delle Edizioni Las, tra cui ricordiamo Psicoanalisi e infanzia. La relazione oggettuale in M. Klein (1974), Psicopatologia dell'infanzia e dell’adolescenza: Le Psicosi (1991) - La Depressione (1993) - Le Nevrosi (2a ed. 2000), Introduzione alle tecniche proiettive (3a ed. 2000); Il Test di Rorschach. Manuale di siglatura e d'interpretazione psicoanalitica (2004); Quando il bambino gioca. Diagnosi e psicoterapia (2a ed. 2006); L'abuso sessuale all'infanzia (2007); Il Test del Disegno della Figura Umana (3a ed. 2010); Il Test del Disegno della Famiglia (4a ed. 2008). Il suo volume La stanza della felicità (2002) è stato tradotto in spagnolo, portoghese e polacco.
La dimensione dell’ascolto è una condizione essenziale per lo sviluppo di una buona relazionalità. Purtroppo gli attuali ritmi di vita stanno rendendo aleatori sia l’ascoltare se stessi che l’ascoltare l’altro e l’essere dall’altro ascoltati. Eppure, ognuno di noi porta dentro di sé lo struggente bisogno di vivere tutte e tre queste esperienze. Se viene meno anche solo una di esse, corriamo il rischio di diventare stranieri a noi stessi e all’altro.
Naturalmente l’ascolto, perché sia fonte di benessere, deve essere un buon ascolto. Solo così sono possibili l’incontro, il dialogo e la comprensione interpersonale e sociale.
L’ascoltare è un’arte difficile. È certamente più difficile del parlare. E lo è soprattutto oggi. La nostra infatti è una società in cui tutti parlano ma pochi ascoltano. E quei pochi che sono disposti a farlo sembrano privilegiare l’ascolto virtuale, nuovo muretto e nuova piazza in cui trovano spazio i vari social network.
Il buon ascolto è per sua natura circolare, per cui chi ascolta è anche ascoltato e chi è ascoltato, ascolta. Ciò favorisce la capacità di ascoltare se stessi senza cadere nel narcisismo e di ascoltare l’altro senza cadere nel conformismo. Evolutivamente, in principio è l’ascolto. La parola viene dopo. Non c’è nessun Io parlo se non è preceduto da un Io ascolto.
Se, dunque, avremo imparato ad ascoltare, sapremo anche parlare.
Vittorio Luigi Castellazzi, psicologo clinico, psicoterapeuta-psicoanalista, da più di trent’anni insegna Tecniche proiettive e psicodiagnosi della personalità all’Università Salesiana di Roma. Già docente di Psicopatologia dell’infanzia e dell’adolescenza presso la medesima Università, ha tenuto corsi di Psicologia dello sviluppo e di Psicopatologia dello sviluppo all’Università Lumsa e all’Università degli Studi di Roma-Tre. È membro di varie società scientifiche nazionali e internazionali, tra cui la Society for Personality Assessment e l’International Rorschach Society. Ha fondato la «Scuola Rorschach e altre tecniche proiettive» dell’Università Salesiana.
Ha pubblicato presso le Edizioni Las: Psicoanalisi e infanzia. La relazione oggettuale in M. Klein (1974); Psicopatologia dell’infanzia e dell’adolescenza: Le Psicosi (1991) – La Depressione (1993) – Le Nevrosi (2° ed. 2000); Introduzione alle tecniche proiettive (3° ed. 2000); Quando il bambino gioca. Diagnosi e psicoterapia (2° ed. 2006); L’abuso sessuale all’infanzia (2007); Il Test del Disegno della Figura Umana (3° ed. 2010); Il Test del Disegno della Famiglia (5° ed. 2010); Il Test di Rorschach. Manuale di siglatura e d’interpretazione psicoanalitica (2° ed. 2010). Per i tipi delle Edizioni Magi ha pubblicato Dentro la solitudine. Da soli felici o infelici? (2010). Il suo volume La stanza della felicità (Edizioni S. Paolo, 2002), è stato tradotto in spagnolo, portoghese e polacco.
Nei momenti veramente fatali della vita (come una disgrazia o un’invalidità), davanti alle più inspiegabili ingiustizie dell’esistenza (come una catastrofe naturale o una morte violenta) l’uomo si chiede da sempre «perché?». «Destino» è la risposta più antica a questa domanda, parola vuota ma densa, che riguarda la durata della vita, la natura della morte, la qualità degli eventi fortuiti e le caratteristiche soggettive dell’uomo. Il destino è inspiegabile quando distribuisce malformazioni fin dalla nascita; è assurdo quando uccide neonati per mano di madri folli; è imprevedibile quando dispensa fortune al Superenalotto; è strapotente quando rovina risparmi e investimenti; è inflessibile quando vanifica le cure per un malato. L’idea di destino incontra l’ostilità di chiunque rivendichi la volontà umana di auto-determinarsi e rigetti l’ipotesi di una vita determinata a priori. Esso è immaginato in un altrove che si estende al di là dell’uomo: tessuto dagli dèi o scritto nelle stelle, pianificato da anime già morte o ereditato geneticamente prima ancora di nascere. La sua realtà è avversata da chi cerca dentro l’uomo la ragione e il senso dell’esistenza. La psicologia analitica individua nell’inconscio una categoria che è dentro l’uomo, ma è estranea alla sua conoscenza, che interviene nelle scelte dell’individuo ed è più potente delle sue intenzioni coscienti. Inconscio potrebbe essere un altro nome per indicare il destino. Come il destino, l’inconscio impronta l’inclinazione per certi lavori o a perdere il posto, la propensione ad ammalarsi o a morire di morte violenta; custodisce il nucleo soggettivo di ogni persona e la sua pulsione a individuarsi, la sua specifica mission e ogni altra caratteristica individuale. È depositario di un individuale Piano di Vita, che si realizza attraverso un intreccio di coincidenze apparentemente casuali, ma sensate e significative, che punteggiano la personalissima Via del Destino. L’io dell’individuo non ha il potere di annullare l’inconscio, ma ha la responsabilità di partecipare alla realizzazione della propria Via del Destino. La sua libertà è limitata, ma tanto determinante da poter scegliere, perfino, fra la possibilità di vivere per niente o morire per qualcosa.
Claudio Widmann, analista junghiano, vive e lavora a Ravenna. È Direttore dell’icsat (Italian Committee for the Study of Autogenic Therapy) e docente di discipline inerenti il simbolismo e l’immaginario presso Scuole di Specializzazione in Psicoterapia. È autore e curatore di saggi che trattano temi attinenti la psicologia junghiana, tra cui, per i tipi delle Edizioni Magi, sono stati pubblicati: Il viaggio come metafora dell’esistenza, Il simbolismo dei colori, La psicologia del colore, Le terapie immaginative e La simbologia del presepe.
Psicologia, neuroscienze, aneddoti, letteratura e filosofia; sono alcuni degli ingredienti che compongono questo libro che scandaglia, in sintesi e con chiarezza, il cuore delle domande che la vita quotidiana ispira a ciascuno di noi. In che modo il cervello cresce e cambia con l'avanzare del tempo? Perché ci ricordiamo eventi accaduti decenni fa come se fossero successi poche ore prima, ma non cosa abbiamo fatto l'altro ieri? Perché la nostra memoria a volte sembra lavorare bene e a volte no (e cosa succede quando funziona male)? Può la memoria, per mezzo di tecniche psicologiche e impianti cerebrali, essere migliorata, potenziata o addirittura manipolata? Una cosa è certa: senza memoria non potremmo guidare la macchina, parlare con chi ci sta intorno, leggere, lavorare, giocare. Non potremmo, in una parola, vivere.
Cosa sappiamo oggi dell'emozioni e dei sentimenti? Così come per l'invenzione della macchina fotografica per mezzo della quale è stato possibile "riprodurre" sia pure staticamente il repertorio virtuale di ogni nostra emozione, saremmo in grado oggi, con la tecnologia disponibile, di inventare un sistema in grado di emulare i flussi metabolici che attraversano il nostro corpo e che ci rendono felici oppure arrabbiati? Se sentimenti ed emozioni devono considerarsi "pensieri" e se è vero che oggi l'Intelligenza Artificiale (IA) può mimare alcuni processi del pensiero come l'elaborazione della soluzione di una partita di scacchi, perché mai allora è così difficile sviluppare un algoritmo che possa provare dei sentimenti e comunicarli? Cosa c'è nel sentimento che non riusciamo a cogliere e a ricreare in una macchina? Questo libro non parla solo di emozioni, parla anche di automi, di reti neuronali e di algoritmi in generale. Il suo fine sarà quello di discutere di emozioni e di sentimenti attraverso il linguaggio dei computer. Ci si domanderà se l'informatica sia in grado non tanto di emulare le emozioni, quanto di ricrearle "per sé" all'interno di un algoritmo.
Chi sono i bambini pensati? Sono i bambini o i "bambini negli adulti" che hanno la possibilità di guardare e di essere visti, per poter così guardare a loro volta. Sono coloro che hanno o hanno avuto la possibilità di avere un posto nella mente dell'Altro, di essere stati desiderati dall'Altro. Sono i bambini che sono stati pensati e sognati dall'Altro, l'Altro per loro significativo. Il fatto è che in quanto esseri umani siamo .costituzionalmente. destinati ad inserire noi stessi all'interno di un mondo che ci pre-esiste. Non è possibile quindi negare che la natura di questo "incontro" condizionerà più o meno fortemente il nostro stato di esistente. La cornice teorica di riferimento per questo lavoro è il legame intersoggettivo. Si parla dunque di "contagi", come di "incontri di menti".
La visone del mondo della psicologia analitica junghiana, ha profonde connessioni con la dimensione filosofica, intesa questa ultima nella sua accezione più ampia di teoresi e prassi. L''amore, l'interesse, la conoscenza di Jung per la filosofia hanno gettato le premesse affinché la psicologia analitica diventasse, con la sua mole di scritti, un grande vas alchemico da contenere la complessità della Psiche individuale e collettiva, inebriando di linfa vitale la tensione dialettica, mai compiuta, verso la totalità, ovvero l'imago Dei. Ricercare gli stili del fare junghiano significa in tale volume restituire al pensare filosofico una sua pregnanza, svincolando la filosofia da una visione troppo ristretta, bagnandola con la funzione del sentire emozionale nell'incontro relazionale dell'Io col Tu e rintracciare alcune delle metafore di base della visione junghiana.
"Il ruolo più importante che un uomo possa svolgere nella propria vita è quello di essere padre". Ritrovo questa citazione da Lewis Yablonsky appena apro Il manuale del papà separato, il nuovo libro di Maurizio Quilici in uscita oggi per Datanews. Una frase che è una risposta, sia per quanto riguarda la mia vita privata che per il momento storico, economico e sociale che stiamo vivendo. Un invito, anzitutto, a non sottovalutare il ruolo paterno, a non collocarlo in secondo piano, rispetto alle difficoltà dovute alle varie crisi che oggi, più che mai, ci affliggono - familiari, in primo luogo, ma anche finanziarie, psichiche, di identità, chi più ne ha più ne metta - e, al limite, una consolazione o una scoperta. Di certo, quello del ruolo fondamentale dell'essere padre, che fa il paio con il figlio e la costante considerazione di un binomio imprescindibile, è il leitmotiv di questa pubblicazione. "Considera sempre il figlio, se ti stai separando, e pensa a cosa è, e deve essere, un genitore,": è questo, in estrema sintesi, il consiglio che Quilici rivolge ai padri, ma anche alle madri, e che traspare in ogni pagina del suo libro.
In Italia, ogni anno circa 170mila persone vivono la separazione e circa centomila bambini e ragazzi vedono uno dei genitori – quasi sempre il padre – allontanarsi. Un evento che inevitabilmente si accompagna a una dolorosa sensazione di vuoto, di perdita, di fallimento; una tempesta che si abbatte sugli adulti, ma che non risparmia i bambini, e che altera profondamente il senso di identità sia degli uni che degli altri.
L’uomo, che in questa particolare circostanza rappresenta la parte debole, è investito da problemi legali, psicologici, affettivi, relazionali, economici e rischia di trovarsi in condizioni disperate. Emozioni fortissime, dubbi, perplessità. E tante domande: come dirò a mio figlio che presto lascerò questa casa? Come scegliere l’avvocato? Potrebbe fare al mio caso la Mediazione Familiare? E’ vero che i figli saranno affidati a lei? E allora l’affido condiviso? Che fare se mia moglie non mi farà vedere i bambini? Che cos’è la PAS?
A queste e a molte altre domande vuole rispondere - in modo chiaro per i non “addetti i lavori”, ma anche con ricchezza di riferimenti giudiziari e bibliografici per gli “esperti” - il libro di Quilici. Un testo che si rivolge ai padri ma che farebbero bene a leggere anche le madri, separate e no. Non solo perché una separazione (esattamente come un matrimonio…) va affrontata in due, ma perché molte informazioni e spiegazioni – certamente utili ad entrambi come antidoto – possono servire ad una coppia “a rischio” come prevenzione. E sulla prevenzione l’autore insiste molto, ammonendo e ripetendo più volte che la separazione, talora inevitabile e persino auspicabile, costituisce sempre un trauma per i figli; ma aggiungendo che il peso di questo trauma può essere superabile o insostenibile a seconda di come i genitori lo vivono (e lo fanno vivere ai figli).
l'autore
Maurizio Quilici, giornalista professionista, si occupa di paternità da oltre quarant’anni. Laureato in Giurisprudenza con una tesi in Criminologia sulla deprivazione paterna, ha conseguito un Master in Diritto minorile all’Università “La Sapienza” di Roma e si è quindi perfezionato nella Mediazione Familiare. È autore di numerosi saggi fra i quali Il padre ombra (Giardini 1988), che ha ricevuto un Premio della Cultura della Presidenza del Consiglio, Onora il padre e la madre (Bompiani 2001), Storia della paternità (Fazi 2010). Ha collaborato con la SIPs (Società Italiana di Psicologia). Nel 1988 ha fondato l’I.S.P., Istituto di studi sulla paternità, di cui è presidente.
Quando il passato può dirsi davvero passato? Come si diventa dopo aver attraversato un indicibile trauma? Esistono memorie che attraversano i confini della propria esperienza individuale e si trasmettono alle generazioni future? Questi e altri sono gli argomenti di questo volume che nasce dalla volontà di mettere ordine nella questione della trasmissione intergenerazionale del trauma da parte dei sopravvissuti alla Shoah dopo la loro reclusione nei campi di concentramento nazisti. L'esperienza della Shoah, per la sua totale estraneità a tutto ciò che è umano e ai valori della giustizia e della pietà, rischia di essere coperta da una cortina di silenzio, un silenzio che però parla di morti e di lutti che si rivivono ogni giorno, di un dolore che è difficile da dire, a se stessi e agli altri. La trasmissione del trauma della Shoah avviene in quella che viene definita la "seconda generazione", intendendo con questo termine i figli dei sopravvissuti. Quello adottato per indagare queste problematiche è un punto di vista multifattoriale, che rivede i contributi forniti dalla letteratura scientifica esistente sui sopravvissuti e sui loro figli. Emerge, così, un punto di vista più complesso, che non cerca una relazione causa-effetto lineare, ma propone una prospettiva più ampia, servendosi anche dei contributi della Teoria dell'Attaccamento.
Nell'attuale disgregazione etico-sociale, lo sfaldamento del soggetto e dei suoi legami assume rilievi senza precedenti. E' stato Sigmund Freud a intuire che a questa ferita si poteva rispondere solo a partire dalla domanda «Che cos'è un padre?». La psicoanalisi nacque e si sviluppò per difendere la funzione paterna, senza tuttavia fornire una lettura capace di superare il complesso edipico. Oltre e contro l'interpretazione junghiana, è spettato a Jacques Lacan (1901-1981) elaborare la dottrina freudiana, che, grazie a innovazioni teoriche determinanti, è atto efficace per la cura e riferimento inevitabile per leggere l'attuale disagio della civiltà. Così, la funzione paterna, intersecata da desiderio, Legge e godimento perde i connotati del padre veterotestamentario per assumere quelli del padre dell'amore. A presiedere questo passaggio è «La donna» a cui Lacan ha dato un fondamentale luogo di eccezione (pp. 232).
Giuliana Kantzà , psicoanalista, membro A.M.E. della Scuola lacaniana di psicoanalisi e dell'Associazione mondiale di psicoanalisi, ha insegnato al corso di Specializzazione in psicologia clinica all'Università statale di Milano. Docente all'Istituto freudiano di Milano, è autrice di: Althusser, il filosofo uxoricida; Passione dell'amore passione dell'odio; Come uccidono le donne.