
L'autore
Danielle Quinodoz, psicoanalista, svolge attività privata a Ginevra. È membro didatta della Société Suisse de Psychanalyse e dell'Association Psychanalytique Internationale fondata da Freud. È stata consulente delle Institutions Universitaires de Psychiatrie et de Geriatrie di Ginevra. Per le Edizioni Boria ha già pubblicato Le parole che toccano. Una psicoanalista impara a parlare (Roma, 2004). Ha ricevuto a Roma il Premio Sacerdoti nel 1989 e a Parigi il Prix Psychologie nel 1995.
Il libro
Esistono talmente tanti modi di invecchiare! Invecchiare può far paura: perdite di ogni genere da affrontare, defaillance, persone care che spariscono. Tuttavia, esistono persone che fanno desiderare di invecchiare, non sono state risparmiate dalla vita, ma per loro invecchiare è come continuare la sua avventura. Sembrano conservare sotto forma di ricchezze intcriori quelle esteriori che hanno perso, e anche scoprire nuove libertà. Al limite, sapranno perdere tutto senza perdersi? E se invecchiare fosse per loro l'occasione di imparare ad amare e ad amarsi meglio?
L'autrice ha una lunga esperienza di psicoanalisi e psicoterapie con persone anziane, che ha trasmesso attraverso supervisioni e seminari. Ha aspettato di essere lei stessa invecchiata per poterne parlare con conoscenza di causa, con l'obiettivo di mettere in risalto le ricchezze della vecchiaia e restituirle il suo valore.
Renik, Cabré e Ferro sono tre autori molto presenti nell'attuale dibattito psicoanalitico internazionale. Il testo ci fa entrare dentro la loro stanza d'analisi, per mostrarci la preziosa ampiezza dei loro percorsi discorsivi e la ricca articolazione dei loro sentieri clinici.
Pochi pregiudizi nella società occidentale sono più forti di quelli riguardanti l’invecchiamento. Fino a non molto tempo fa, abbiamo ritenuto che l’invecchiamento fosse una questione di perdita e declino. Ma c’è una verità completamente diversa. Sì, è possibile “insegnare a un vecchio cane nuovi trucchi”. C’è un segreto per restare giovani? In realtà ce ne sono molti e tutti suggeriscono di coltivare le relazioni che abbiamo per favorire la salute del cervello, mantenendoci così più felici e più sani. Poiché i lettori di questo libro impareranno a essere saggi, ad avere migliori relazioni sociali, ad aprirsi all’adattamento e alla flessibilità (mentale, se non fisica!), potranno mettere in pratica queste indicazioni man mano che invecchieranno.
La relazione affettiva tra un genitore e un figlio può costituire il fulcro di tutte le energie positive o l’anello più fragile dell’esperienza psicologica del bambino. Che cosa accade in presenza di un rischio o di un disturbo evolutivo? Quale nuovo equilibrio si crea tra un bambino che cresce con una difficoltà dello sviluppo e un adulto che deve riformulare il proprio ruolo genitoriale?
Questo libro approfondisce le caratteristiche della relazione genitoriale all’interno di tre diverse dimensioni: nello sviluppo tipico con le sue trasformazioni e i suoi imprevisti, nel rischio evolutivo tra immaturità e atipie, nei disturbi del neurosviluppo tra le rappresentazioni e i vissuti di adulti e bambini che la patologia altera e modifica.
Si rivolge a tutti coloro che lavorano in ambito psicologico, medico, riabilitativo e educativo in età evolutiva e a tutti i genitori che desiderano orientarsi tra le tante incertezze del proprio compito.
Ogni persona investe molti degli oggetti della sua vita di un significato inconscio, ogni persona successivamente si muove in un ambiente che evoca costantemente la storia psichica del Sé.
Prendendo il modello del lavoro onirico di Freud come paradigma per tutto il pensiero inconscio, Christopher Bollas illustra come l’analista e il paziente usino tali processi inconsci per sviluppare nuove strutture psichiche che il paziente può utilizzare per alterare la sua esperienza personale. Basandosi su questi fondamenti, continua descrivendo alcune forme molto speciali di esperienza del Sé, tra cui la tragica follia delle donne che si tagliano.
Interprete originale della teoria classica e delle problematiche cliniche, Bollas porta qui il lettore nella trama stessa del processo psicoanalitico.
Questo libro è un testo utile e provocatorio. Presenta un approccio critico, capace di sfidare gli orientamenti convenzionali che animano la ricerca qualitativa, al fine di produrre un sapere nuovo. Attingendo a un'ampia varietà di materiale empirico, gli autori forniscono esempi per interrogare le diverse fasi che caratterizzano una ricerca, nonché i dati su cui si costruisce nell'analisi. Inoltre, sollecitano lo sviluppo di una maggiore consapevolezza rispetto a questioni legate al potere e all'etica sia come oggetti di indagine sia in quanto elementi su cui si misura chi fa ricerca. In un mondo in continuo divenire, il libro offre modi innovativi di immaginare le prassi per condurre la ricerca. Ciò che costruisce la linea di sviluppo del testo è la domanda: come fare ricerca sociale, psicologica, educativa e nelle organizzazioni, nel continuo movimento della vita che sfida la relazione tra le cose e le parole che possediamo per raccontarle?
Un panorama completo delle nozioni e delle problematiche inerenti al rischio di suicidio e alla sua prevenzione, secondo i riferimenti e i pareri condivisi dalla letteratura internazionale. Gli esempi, le argomentazioni e le indicazioni che leggerete sono il frutto di ricerche approfondite, ma soprattutto del confronto clinico con il fenomeno suicidario in tutta la sua complessità: i dati ricavati dalla letteratura sono certamente fondamentali, ma nella maggior parte dei casi non abbiamo a disposizione terapie standardizzate, algoritmi decisionali o dati strumentali che permettano al clinico un processo di analisi condiviso. Obiettivo di questo volume è incoraggiare una riflessione e un dialogo tra professionisti per arrivare, anche con il supporto di una documentazione clinica, a una visione del fenomeno suicidario che contrasti valutazioni improprie e riduzionistiche.
Riparare i danni profondi causati dall'abuso precoce, dall'incuria grave e dalla deprivazione infantile è un compito estremamente complesso, paragonabile alla guarigione di una lesione in un organo del corpo. Questo testo offre al lettore italiano il primo studio completo e rigoroso sul trauma da trascuratezza infantile, noto anche come neglect. Ruth Cohn descrive con precisione le molteplici competenze che un clinico deve padroneggiare per diagnosticare correttamente il neglect e impostare un adeguato percorso terapeutico. Il testo, innovativo e in molti passaggi illuminante, si fonda in modo solido sulla teoria dell'attaccamento ed è reso accessibile e schematico grazie anche all'esposizione di casi clinici in apertura di ogni capitolo. Caratterizzato da un taglio pratico e dall'approccio evidence-based, "Teoria e clinica del Neglect" fornisce a tutto il mondo della psicoterapia, e in particolare agli psicotraumatologi, gli strumenti per riconoscere i segni della trascuratezza traumatica infantile e comprendere gli effetti duraturi che questa può avere nell'età adulta, al fine di massimizzare così l'efficacia della terapia.
Fondato su ricerche d'avanguardia, questo libro si propone come un manuale di science-help, che è cosa ben diversa dal self-help. Negli ultimi anni gli studi cognitivi, le ricerche di psicologia sperimentale e le neuroscienze hanno accumulato una grande quantità di dati sul cervello umano, svelando meccanismi che ci erano completamente oscuri e ridisegnando le nostre conoscenze in questo campo. Così, a mano a mano che ci si addentra nei meandri del nostro cervello e dei suoi comportamenti, avviene che le bizzarre ricette dei guru del benessere psichico o dei sedicenti maestri del successo personale ci appaiano sempre meno plausibili. Con l'avanzare degli studi siamo in effetti sempre più in grado di fornire un altro tipo di "ricette", empiricamente fondate, che ci aiutano a tenere sotto controllo certe evidenti deviazioni di quel prodigioso organo del pensiero che non ha cessato di evolversi da milioni di anni. Per tutto questo, e altro ancora, siamo ora in grado di capire perché spesso ci comportiamo in modo avventato, per non dire apertamente autolesionista, senza un motivo apparente. Il cervello agisce secondo schemi adattativi complessi ma prevedibili, e in molte occasioni specie nella vita dell'uomo moderno - con pessimi risultati. Per dirla con David DiSalvo: "Il nostro cervello è una macchina per prevedere e rilevare schemi ricorrenti, che ama la stabilità, la chiarezza e la coerenza: tutto meraviglioso, tranne quando non lo è".
Passiamo più tempo immersi in un universo di finzione che nel mondo reale. "L'isola che non c'è" è la nostra vera nicchia ecologica, il nostro habitat. Nessun altro animale dipende dalla narrazione quanto l'essere umano, lo "storytelling animal". Questo strano comportamento, che ci porta a mettere al centro della nostra esistenza cose che non esistono, è innato e antichissimo; ci sono segni di finzione fin dai primordi dell'umanità e basta osservare un bambino nel suo quotidiano gioco del "facciamo finta che" per capire che si tratta di un istinto primordiale, che ha già dentro di sé quando viene al mondo. Ma a che scopo? Jonathan Gottschall studia la narrazione da molti punti di vista e ha un'idea originale e affascinante per spiegare come si sia sviluppata questa strana abilità. Appoggiandosi, da letterato, alle ricerche più avanzate della biologia e delle neuroscienze, Gottschall evoca i ben tangibili vantaggi del mondo fantastico, e lo fa con il piglio del grande narratore. Raccontando storie, ad esempio, i bambini imparano a gestire i rapporti sociali; con le fantasie a occhi aperti esploriamo mondi alternativi che sarebbe troppo rischioso vivere in prima persona, ma che risulteranno utilissimi nella vita reale; nei romanzi e nei film cementiamo una morale comune che permette alla società di funzionare col minimo possibile di contrasti; e poi è provato che la letteratura ci cambia, fisicamente e in meglio.

