
Loro cercano di controllarci. Ci fanno credere che viviamo in società libere e democratiche e che siamo i padroni del nostro destino, ma non è così, lo sappiamo bene. Ci nascondono la verità. Basta grattare sotto la superficie: l'omicidio di Kennedy, i vaccini, l'11 settembre, gli UFO, le scie chimiche, l'uomo sulla Luna, Bin Laden, i massoni, Lady D, gli Illuminati, Elvis Presley, il Nuovo Ordine Mondiale, i Protocolli dei Savi di Sion, i rettiliani... Ovunque si guardi è evidente che c'è un piano colossale per manipolarci. Cosa si nasconde dietro le più articolate teorie del complotto e, soprattutto, chi sono i complottisti e come è possibile che così tante persone possano credere anche alle più ardite e immaginarie speculazioni? Rob Brotherton, che da anni studia come funziona la «mentalità complottista», analizza in questo libro, accattivante, ironico, e anche un po' inquietante, i motivi per cui le nostre menti ci inducono tanto spesso a credere a cose implausibili, non provate e, soprattutto, in nessun modo provabili. Il fatto è che queste storie si adeguano perfettamente a certi circuiti mentali che - volenti o nolenti - tutti noi ci portiamo dentro, confortando le nostre paure più profonde, i nostri desideri più nascosti e il nostro stesso modo di interpretare il mondo. La psicologia del complotto è affascinante e svela molto su noi stessi e su come sono costruite le nostre menti. I complottismi non sono aberrazioni psichiche di pericolosi sociopatici, sono il prodotto del funzionamento del nostro cervello e la radice stessa del verbo «credere». Magari saranno in pochi a credere che il presidente degli Stati Uniti sia un mutaforma rettiliano (ma certamente sono più di quanti vorremmo che fossero!), ma sono ancora milioni (e continuano a crescere) coloro che credono alla correlazione tra autismo e vaccini (è dimostrato chiaramente che non ci sia, tanto per essere chiari). Dopo aver letto "Menti sospettose" saremo sorpresi nel riconoscere come sia facile cedere alla narrazione complottista ma avremo ben chiaro come sia possibile sfuggirvi. È vero che i complotti nel mondo talvolta esistono, più spesso però è meglio essere prudenti e fare attenzione a cosa scegliamo di credere perché, alla fine, potremmo scoprire che i complottisti siamo noi.
Sulla Terra, ogni giorno, miliardi di esseri umani si rivolgono a Dio in cerca di aiuto. Che sia il Dio dei cristiani, quello degli ebrei o quello dei musulmani, che sia una presenza benevola percepita nella natura o che sia un equilibrio cosmico di ascendenza orientale, resta il fatto che moltissime persone - la maggioranza - si rivolgono a Dio offrendo il proprio tempo e le proprie risorse «per provare la gioia di donare gioia». La spiritualità ha un ruolo importante e positivo per i credenti del mondo. Esiste una spiegazione a questo stato di grazia? In questo libro, Boris Cyrulnik, il più noto neuropsichiatra francese, si pone questa domanda cruciale in cerca di una risposta originale. Il tema è immenso e non scevro da valenze politiche in un momento storico come il nostro, nel quale masse di persone compiono crimini efferati proprio in nome di un cieco credo religioso. Ma resta il dato positivo: l'ambiente pacifico, calmo e fiocamente illuminato delle cattedrali gotiche, il cantillare salmodiante delle liturgie ebraiche, la voce rassicurante del muezzin che chiama i fedeli in preghiera sono tutti esempi del lato consolatorio della religione, in cui così tanti esseri umani cercano riparo. Con gli strumenti delle neuroscienze e con i concetti chiave di attaccamento e di resilienza, Cyrulnik ci mostra come la religione sia effettivamente in grado di avere effetti psicoterapeutici, spesso visibili. L'approccio scientifico e psicologico dell'autore porta a comprendere come il cervello del bambino instauri con Dio un rapporto affettivo paragonabile a quello che si instaura coi genitori. Il mondo della mente in via di sviluppo si struttura e nel cervello si scolpisce un sé neurologicamente e psicologicamente legato all'ambiente di crescita, che spesso aiuta, e molto, a combattere le inevitabili avversità della vita. Dio e psicoterapia sembrerebbero dunque alleati, almeno fintanto che Dio viene percepito come un padre buono e accogliente. I problemi iniziano, a livello psicologico e neurologico, quando l'ambiente della crescita presenta ai bambini un Dio vendicativo e intransigente. Proprio come avviene coi padri violenti.
Oggi parlare di identità culturale significa addentrarsi in una zona di pencolo, perché in suo nome si sono perpetrati crimini che sfidano l'idea stessa di umanità, e nel suo cono d'ombra ancora si annidano le pulsioni più aggressive. Ma l'ambivalenza dei processi identitari, in cui spesso vanno a incagliarsi i tentativi di riflessione sul tema, per Franco Fabbro non ostacola la comprensione, anzi ne è il presupposto. E, se indagata con strumenti conoscitivi adeguati, che integrano le osservazioni paleoantropologiche e le analisi storico-religiose, può suggerire strategie di disinnesco dei potenziali dannosi. Fabbro ha studiato per decenni sotto il profilo neuroscientifico le due componenti identificative e coesive dei gruppi umani, ossia le lingue e le religioni: acquisite entrambe nelle prime età della vita, scolpiscono il cervello con analoghi meccanismi neurali, organizzandosi nella memoria implicita e determinando un'architettura neuropsicologica che differirà a seconda delle singole tradizioni. Questi marcatori culturali sono collegati ai sistemi emozionali, quindi alle reazioni difensive e aggressive. Allora, come mitigare gli aspetti violenti dell'identità culturale e preservarne al tempo stesso gli elementi che conferiscono «consistenza e spessore» agli esseri umani, come scrive il teologo Vito Mancuso nella Prefazione? La proposta neuropedagogica di Fabbro è di esporre precocemente i bambini a quella pluralità di religioni e di lingue che, secondo ricerche ormai consolidate, favorirebbe una più efficace regolazione del comportamento e una maggiore autoconsapevolezza. Proprio là dove adesso c'è pericolo crescerebbe - in ottemperanza a un verso celebre - «ciò che salva».
La famiglia è - caso più unico che raro - una struttura primaria che esiste in tutte le società. Qui si assolvono le funzioni della riproduzione, della crescita e della socializzazione dei bambini e al contempo quella della stabilizzazione della personalità degli adulti. Da sempre al suo interno si giocano dinamiche cruciali che tornano ciclicamente al centro del dibattito pubblico: il confronto e la relazione tra i sessi, la gerarchia e la costrizione dei ruoli, la costruzione dell'identità e il senso di appartenenza. Simbolo del calore umano, luogo di consuetudini complici e di un vocabolario intimo, la famiglia vive di un equilibrio costante tra ricerca di fusione e bisogno di autonomia. Capace di creare alleanze per la vita ma anche di alimentare rivalità distruttive, la famiglia può proteggere i suoi membri, aiutandoli a costruire identità serene e sicure, oppure controllarli e costringerli in ruoli estranei e dolorosi. Con il ricorso esemplare a film e romanzi che fanno parte del nostro comune immaginario, Anna Oliverio Ferraris - esperta delle dinamiche famigliari con alle spalle una lunga e solida esperienza accademica e psicoterapeutica - ripercorre, nel tempo e nello spazio, l'evoluzione di questo strano costrutto sociale che è la famiglia, per mostrarcene la natura permeabile, flessibile e plastica.
Autore:
Lavora come docente di Psichiatria presso il Medical College e la Graduate School of Medical Sciences della Cornell University di New York. Con Cortina ha pubblicato Le relazioni nei gruppi (1999), Psicoterapia delle personalità borderline (con J.F. Clarkin e F.E. Yeomans, 2000), Narcisismo, aggressività e autodistruttività (2006), Patologie della personalità di alto livello (con E. Caligor e J.F. Clarkin, 2012) e Erotismo e aggressività (2019).

