
"Non c'è più vergogna", così almeno si dice, e si tende a pensare che con la vergogna sia venuto meno anche ogni senso della dignità e dell'onore. Ma le emozioni non scompaiono, tutt'al più si trasformano. Muta il modo di esprimerle, muta la loro rilevanza individuale e sociale. Allora dove si è nascosta e quali forme assume oggi la vergogna? Mai come negli ultimi anni, soprattutto in Italia, si è fatto ricorso alla parola "vergogna", ma questa ha perso ogni sua connotazione semantica. Non si sa più che cosa significhi e diviene l'ultimo insulto alla moda contro avversari politici, concorrenti in affari, nemici, comunque gli altri. Di fatto non esistono società senza vergogna, poiché è un'emozione fondamentale per i legami sociali, ma anche per l'esercizio del potere. In questo volume si analizza come, nella società contemporanea, la frammentazione dell'insieme sociale, la spettacolarizzazione, l'iperindividualismo misto al nuovo conformismo del "così fan tutti" hanno dato vita a una sorta di vergogna "fai-da-te". Emozione che sembra nascere non dalle azioni che si compiono ma solo in rapporto alle prestazioni, al timore di risultare inadeguati nell'esibizione di sé. Gabriella Turnaturi, attraverso l'analisi di fatti di cronaca, testi letterari, film, interviste, svela i molti volti della vergogna contemporanea in relazione ai mutamenti delle sensibilità e dei valori condivisi, e ne indica un possibile uso positivo.
Quale è la realtà della follia, e quale la sua immagine? In che relazione sta con le comuni esperienze di dolore o di malinconia? Attraverso quali linguaggi riesce a comunicare una sofferenza che pare riferirsi a un altro mondo, a una diversa realtà? Come tutto ciò finisce per condizionare la creatività? E in che modo dovrebbe porsi una psichiatria realmente umana che voglia immedesimarsi con le vibrazioni più intense delle anime sofferenti? Eugenio Borgna, nel tentativo di dare risposta a domande come queste, interroga quanti hanno provato a esprimere il senso delle lacerazioni dolorose o delle tormentose inquietudini sperimentate nelle loro vite. Ci introduce così, come in un'ideale galleria letteraria e artistica, ad alcune delle grandi opere che aiutano a cogliere un'altra immagine della follia: quelle di pensatori come Nietzsche o Kierkegaard, di poeti come Georg Trakl, Nelly Sachs e Paul Celan, di scrittori come Virginia Woolf, o di pittori come Friedrich o Böcklin, di registi come Bergman o Lars von Trier. Ma ci svela anche le modalità di esprimere le profondità e le ferite dell'anima di alcune delle sue pazienti, come Angela e Valeria, di grandi mistiche come Teresa di Lisieux e Teresa d'Ávila, o di vittime di una sorte atroce quale fu Etty Hillesum. Al centro del libro resta il significato della follia come esperienza umana, specchio nel quale si riflette, dilatata e radicalizzata, la nostra condizione.
Nel 1959 Charles P. Snow tenne la sua ormai famosa Rede Lecture all'Università di Cambridge, sul tema de Le due culture, una riflessione sull'accademia basata sul presupposto che esistessero due soli tipi di cultura: le arti e le discipline umanistiche da una parte e la scienza dall'altra. Da allora è emersa una terza cultura, generalmente detta delle "scienze sociali", che comprende discipline come la sociologia, la scienza politica, l'economia e la psicologia. Il libro di Jerome Kagan si propone dunque di descrivere gli assunti, il vocabolario, i contributi e i limiti di ciascuna di queste culture. Fa emergere le differenze tra i significati di molti dei concetti usati da ognuna nel proprio campo e non immediatamente trasferibili ad altri, passa in rassegna i vari criteri di indagine e i risultati conseguiti nella ricerca della verità. Evidenzia gli apporti dati anche dalle scienze sociali e dalle discipline umanistiche alla nostra comprensione della natura umana e mette in discussione il diritto di predominio di una delle tre culture sulle altre, come è successo alle scienze naturali con i grandi investimenti in fisica, chimica e biologia molecolare. L'obiettivo è quello di ristabilire un equilibrio tra i rispettivi campi della conoscenza, con le conseguenze teoriche ma anche pratiche che questo comporta. Si tratta di un'analisi dello stato della cultura per fare chiarezza sulla realtà accademica italiana di oggi e di domani.
A fronte delle continue proposte di aumentare le pene, di incrementare la presenza e la visibilità delle forze di polizia e di adottare una politica di rigore nei confronti del degrado e delle inciviltà, di cui gli stranieri sarebbero i principali portatori, la sensazione per chi studia la "questione criminale" è che pochi opinion leader possiedano una conoscenza approfondita del campo penale, vale a dire di quella rete di istituzioni e di varie forme di relazioni supportate da agenzie, ideologie, pratiche discorsive, tra cui i saperi criminologici, sociologici, psichiatrico-forensi. Il dibattito pubblico si sviluppa infatti attorno a espressioni che, sebbene richieste dal codice politico bipartisan e invocate dalle proteste di piazza (mediatica), non sono in grado nemmeno di cogliere quali siano i problemi di insicurezza, convivenza e ordine caratteristici della vita nelle città. Questo libro intende contrastare la tendenza diffusa ad adagiarsi su soluzioni preconfezionate in un dibattito pubblico sclerotizzato, fornendo in modo semplice e chiaro alcuni spunti di riflessione sulla dimensione penale che possono essere utili come armamentario argomentativo per chi si interessa di politica. È un saggio di "criminologia politica", che approfondisce i fondamenti delle attuali politiche di sicurezza allo scopo di orientarle in senso democratico, in funzione di un progetto di società civile e aperta che sappia andare oltre la dimensione della paura nella convivenza.
Che cos'è per l'essere umano il tempo? Qual è il significato che assume nelle nostre vite? Quanto è rilevante nella definizione delle identità e delle esperienze di ciascuno? Il tempo sta in rapporto con la finitudine, caratteristica della mortalità, e insieme con l'infinito, ma anche con le emozioni, quali il dolore e la gioia. La vita non sarebbe tale se non fosse cadenzata dal passare delle ore, delle stagioni, delle età e di quel tempo più personale che non può venire misurato con esattezza, ma che contribuisce a definire l'esperienza della vita stessa. Il soggetto non sarebbe insomma tale in assenza di una traiettoria temporale. Il tempo non casualmente rappresenta un tema ricorrente in letteratura e in filosofia, e ha una grande importanza pure nella psicopatologia e nella cura. Nel suo trascorrere condiziona la vita quotidiana, così come colora le esperienze mistiche che lo trascendono. È elemento costitutivo dell'identità e permea la coscienza e l'esistenza di ciascuno. Nel sondare le profondità dell'animo non si possono dunque trascurare il tempo e l'esperienza diversa che ognuno ne fa. Può trattarsi di volta in volta di un tempo sospeso, come nel sogno, o frammentato, come nella memoria lacerata di chi soffre di malattie quali l'Alzheimer; può essere il tempo della noia, per chi si sente paralizzato nel presente, o quello della nostalgia di chi volge lo sguardo al passato, o ancora dell'attesa di chi guarda avanti, al futuro.
Miguel Benasayag riprende la celebre diagnosi formulata dodici anni fa con "L'epoca delle passioni tristi". La approfondisce, la radicalizza, ma ne fa anche un osservatorio da cui guardare al futuro con forza e speranze inedite. Benasayag descrive un paesaggio sociale devastato dal neoliberismo, dominato dall'individualismo sfrenato, dal mito della prestazione illimitata, dalla competizione senza quartiere. Tutto questo, ci spiega, si traduce in un profondo dolore individuale e in una radicale impotenza collettiva. Siamo vittime di questo malessere, e allo stesso tempo non ce ne rendiamo conto. Un intero mondo costruisce sistematicamente la nostra solitudine, e noi scambiamo questa violenta espropriazione per una perenne inadeguatezza individuale. Di fronte a questo panorama, da un lato Benasayag denuncia la collusione di tutti quei saperi che dovrebbero aiutarci ad affrontare questo oceano di sofferenza individuale e collettiva. Dall'altro lato, Benasayag ci insegna a leggere in filigrana questo scenario di distruzione per valorizzarne le potenzialità inespresse. E, soprattutto, per mostrarci che quelle potenzialità sono alla portata di chiunque di noi. Se le catene del neoliberismo inchiodano ciascuno al proprio posto, Benasayag ci spiega come trasformare quelle catene in legami interpersonali. I vecchi rapporti di potere diventano così il terreno di una nuova comunità di esperienze. E l'epoca delle passioni tristi si rivela come il tempo della creazione condivisa.
Perché gli adolescenti sono tristi? Da che cosa deriva il loro senso perenne di inadeguatezza nei confronti del mondo che li circonda? Come si articolano, e come si confrontano, esperienze psicopatologiche ed esperienze creative? Quali sono gli orizzonti problematici della psichiatria oggi? Sono inconciliabili tra loro, o sono possibili reciproche influenze? Sappiamo riconoscere il valore umano della malattia? Queste e altre domande articolano una riflessione sulle passioni fragili che appartengono alla nostra vita e alla nostra crescita. Eugenio Borgna percorre il tema del dolore, indaga la malattia dell'anima nell'infanzia e nell'adolescenza, s'inoltra nelle fragilità di ogni comunità e cerca di dare una voce al silenzio del cuore. Certo, è necessario distinguere nell'area sconfinata delle depressioni una condizione depressiva, che sarebbe meglio chiamare malinconia, o tristezza vitale, e fa parte della vita di ogni giorno, da quella che ha dimensioni psicopatologiche radicalmente più profonde; benché ci siano depressioni che sconfinano l'una nell'altra. Borgna ci guida nella consapevolezza della "significazione terapeutica delle parole", e si muove fin sui confini della psichiatria, permeando l'enigma degli intrecci tra malinconia e poesia in una lettura inedita e profondissima delle voci di Emily Dickinson, Georg Trakl, Guido Gozzano e Antonia Pozzi. Ogni ferita che l'anima sopporta, ogni passione fragile, appartiene a pieno titolo alla nostra esperienza e richiede di essere riconosciuta come tale. Un saggio che rompe il monolite del dolore e mostra che le passioni fragili devono emergere nella loro realtà tutta umana. Che non possiamo fare a meno di riconoscere la loro verità psicologica per accedere alla conoscenza di noi stessi.
Il progresso della medicina, come quello di ogni altro campo del sapere attinente all'uomo, sembra affidato allo sviluppo tecnologico. La diagnostica per immagini rende visibile il dettaglio e in chirurgia le conquiste della robotica permettono di intervenire in modo sempre più selettivo. La conoscenza dell'individualità del paziente sarebbe quindi più precisa grazie alla capacità di cogliere aspetti sempre più fini e caratterizzanti. Tuttavia, spiega Giovanni Stanghellini, l'indagine sul paziente nelle sue componenti più minute non ha lo scopo di personalizzare la diagnosi e la cura, ma piuttosto di ridurre ciò che è personale a una categoria generale e dunque astratta. Psichiatra e psicoterapeuta, Stanghellini sa bene che ciascuna persona, con le sue risorse particolari e le sue fragilità, configura la malattia in maniera assolutamente individuale. E dimostra che la medicina ha bisogno di uno sguardo esterno e laico che sappia cogliere la sua idolatria per il cono di luce del proprio sapere. Uno sguardo disposto ad affrontare l'inquietudine di chi rinuncia alla sicurezza dell'astrazione e della classificazione disciplinare per comprendere ogni sofferenza rispettandone la singolarità. Che cosa significa scoprirsi vulnerabili? Che cosa vuol dire attraversare l'esperienza della malattia? È questa la zona d'ombra della medicina, che richiede di essere esplorata per ciascun paziente, ogni volta. Il riconoscimento della persona e della sua unicità non è solo un'opzione etica, ma un vero e proprio vincolo epistemologico per la buona prassi della cura.
In questo libro Bell Hooks si rivolge a uomini e donne in cerca di risposte sensate ai grandi temi della paura, della solitudine, della mancanza d'amore, del bisogno di spiritualità e svela la rete di legami e dipendenze che il sentimento amoroso crea nella vita pubblica e privata. L'autrice ragiona sulla vita di tutti i giorni, sulle difficoltà a dare e ricevere amore. L'amore è quel motore intelligente che alimenta la speranza e tiene viva l'immaginazione di un mondo dove i conflitti tra individui, gruppi e culture possono essere affrontati e risolti.
Gli occhi delle donne sono sempre stati usati dagli uomini come specchi nei quali cercare un riflesso per poter costruire la propria immagine e alimentare la propria autostima. Tuttavia, oggi qualcosa sta cambiando. Accade difatti che le proprietà correttive dello specchio degli occhi femminili abbiano cominciato a invertire il loro meccanismo di funzionamento e ad agire in senso contrario, amplificando limiti e difetti maschili. Come reagiscono gli uomini? La gran parte si sente smarrita, inquieta e disorientata, maggiormente fragile e insicura, mentre altri sviluppano una maggiore propensione alle dimensioni relazionali, entrando in diretta concorrenza con quelle virtù che da sempre sono state appannaggio delle donne.
Le relazioni tra fratelli e sorelle sono il risultato di una grande intimità imposta, non scelta. Si può addirittura affermare che i rapporti di fratellanza siano una specie di malattia: una malattia d'amore cronica con i suoi istanti di complicità, di benessere condiviso, ma anche con momenti di crisi, rivalità e gelosie. Tutto ha inizio con l'arrivo del secondo, vissuto dal primogenito come un vero e proprio cataclisma. Come accettare di condividere l'amore dei genitori? Avvalendosi di numerosi casi clinici, arricchiti da riferimenti alla tradizione mitologica e culturale, il saggio scandaglia l'universo delle relazioni fraterne, spesso agitate, patologiche, mostrando come esse compongano le corde più intime della personalità.
Questo libro nasce da un'esperienza ventennale di ascolto delle donne che si scoprono in attesa di un figlio e di madri in difficoltà. È un libro rivolto a tutte le madri, quelle che hanno desiderato ardentemente diventarlo, quelle che vivono con sofferenza la nascita di un figlio, quelle che si colpevolizzano di non amarlo abbastanza e quelle che vi hanno rinunciato consapevolmente. Un libro che non prende le mosse da un astratto "istinto materno" ma dalla constatazione dello scarto oggi esistente tra i successi delle tecniche mediche e la solitudine del vissuto interiore delle singole donne, e dalla differenza fondamentale tra "filiazione" e "genitorialità". Non si diventa madri perché si concepisce un figlio. La maternità "nasce" nel mondo interiore della donna, prende corpo nella sua infanzia, per manifestarsi un giorno come desiderio di un figlio. Marinopoulos non si sottrae a nessuno dei problemi che ruotano oggi intorno alla maternità: dalle tecnologie di procreazione alla richiesta di genitorialità degli omosessuali, all'aborto, all'abbandono, all'infanticidio.