
Teatri anatomici stipati di studenti e curiosi, il tavolo operatorio incrostato del sangue di interventi passati, il lezzo inconfondibile di carne putrefatta: nel XIX secolo assistere a un'operazione chirurgica non era cosa per deboli di stomaco. "L'arte del macello" rievoca un periodo della storia della medicina in cui anche una ferita lieve poteva portare a una morte orribile. I chirurghi, elogiati per la forza bruta e la velocità di esecuzione, raramente si lavavano le mani, il camice o ripulivano gli strumenti. Ancor più delle patologie dei pazienti, a essere mortali erano le infezioni postoperatorie, che i medici non sapevano sconfiggere. In un tempo in cui la chirurgia non avrebbe potuto essere più pericolosa, un giovane chirurgo quacchero di nome Joseph Lister osò sfidare i contemporanei affermando che i germi erano la causa di ogni infezione e che potevano essere trattati con un antisettico. E così facendo cambiò per sempre la storia della medicina, portandoci dritti nel mondo moderno.
Un libro in onore dei libri, quelli di carta. Libri come cavalieri, che vanno alla carica, disperata e inane, contro il fuoco battente dell'artiglieria digitale. Fragili creature da pochi centimetri di altezza e pochi centimetri di larghezza, ma che non per questo hanno un'aria meno imponente nel loro osare contro un nemico ben equipaggiato. Giampiero Mughini ha scelto alcuni dei libri a lui più cari fra quelli della sua collezione dedicata al Novecento italiano, non necessariamente i più famosi e riconosciuti, anzi spesso i più obliqui, azzardati e trascurati dal grande pubblico. Quei libri, che Mughini mette in vetrina come una mostra o racconta come in una telecronaca sportiva, sono descritti minuziosamente nella veste e nelle caratteristiche che ebbero quando apparvero in prima edizione, perché quello è il momento in cui un libro arrischia la sua avventura nel mondo. Tutti insieme compongono una biblioteca ''ideale'' non nel senso oggettivo del termine, bensì arbitraria e soggettiva e talvolta spudorata, modellata dai capricci della memoria e a volte dalle sue malizie.
La storia di Nellie Bly, pioniera di una figura mai esistita prima: una donna indipendente, artefice del proprio destino, una giornalista intrepida armata solo del proprio sguardo libero e della propria voce.
«Ti hanno preso per pazza quando hanno letto il biglietto in cui dicevi "Me ne vado a New York". Ti hanno preso per pazza anche qui, in questa città, quando ti sei proposta al "World" di Pulitzer come reporter. Ora da sola, in un mondo tutto al maschile, devi arrivare fino in fondo a questa storia»
Settembre 1887: una ragazza bussa alla porta di John Cockerill, direttore del "New York World" di Joseph Pulitzer. Chiede di essere assunta come reporter. Nessuna donna aveva mai osato tanto. Il suo nome è Elizabeth Cochran, ha ventitré anni, ma già da tre scrive per un quotidiano di Pittsburgh firmandosi Nellie Bly. Una donna reporter non si è mai vista, ma la sua idea di un'inchiesta sotto copertura a Blackwell Island, manicomio femminile di New York, convince Cockerill e Pulitzer ad accettare la sfida. Ne nasce un reportage che farà la storia del giornalismo. Da qui, in un crescendo di popolarità e sotto mille travestimenti, Nellie racconterà l'America agli americani. Diventerà l'incubo di politici e benpensanti, viaggerà in tutto il mondo, vivrà amori e fallimenti. Mentre i grattacieli, i treni, il telegrafo e poi la guerra trasformano la realtà, Nellie Bly si trova a essere pioniera di una figura mai esistita prima: la donna indipendente, artefice del proprio destino, la giornalista intrepida armata solo del proprio sguardo libero e della propria voce.
Una biografia sul poeta ribelle per eccellenza. Un passionale lavoro di ricerca che si dispiega con la potenza di un romanzo, attraverso un'avvincente narrazione critico-letteraria. Ripercorrendo gli eventi della turbinosa esistenza - dal fuoco incessante dell'adolescenza alla riflessione dell'età più matura - Renato Minore ci pone, con intensità, di fronte ai ricordi dell'esistenza dell'enfant prodige diabolico per antonomasia, che ha ossessionato e illuminato tutti i poeti a venire. Questo testo permette di conoscere intimamente la vita e la poesia di Rimbaud, attraverso una riflessione raccontata con il piglio di un cammino appassionante.
A chi l'ha definito un rinnegato, Mughini ha risposto con una vita ad alto tasso d'indipendenza - "la più fiera che mi ritrovo" - e lontana da qualsivoglia rigidità ideologica: lui che ha vissuto per intero la stagione dell'impegno intellettuale e militante a sinistra ma che non ha mai avuto altra tessera se non quella dell'Atac; lui che ha tratto il pane dal lavorare nei giornali ma che in tutti i giornali in cui ha lavorato non si è nemmeno tolto l'impermeabile, "come uno che entra in una casa da cui sa che andrà via subito"; lui che ha fatto la tv popolare però mai in trent'anni si è arruffianato il gusto popolare nella sua accezione televisivamente più piaciona - "sarebbe stato un barare con me stesso, me ne sarei vergognato"; e guai a chiamarlo "opinionista", lui che in tv è solo un ospite, che chiacchiera con gli altri ospiti sull'uno o sull'altro tema. Senza rispettare la cronologia, com'è diritto di chi scrive e rammemora, Giampiero Mughini narra i ricordi di una vita e insieme le vicende politiche e sociali del nostro paese.
L'autore racconta come, dopo vent'anni di ricerca medica, egli scelse di lavorare da indipendente nella sua casa. Qui ha svolto negli ultimi trentacinque anni ricerche sullo spazio e sulla radioattività delle sostanze chimiche, fino a inventare l'"Electron Capture Detector", che consentì di rilevare la presenza diffusa di pesticidi e altri prodotti pericolosi. La sua scoperta dell'accumulazione di clorofluorocarburi nell'atmosfera aprì la strada allo studio del buco nello strato di ozono. Ma la sua fama è legata soprattutto all'ipotesi su Gaia, che ha modificato il nostro modo di vedere il pianeta su cui viviamo e di cui stiamo minando gli equilibri.
Risalente al 1972, quando Jesi era immerso nella traduzione del Matriarcato, questo saggio inedito su Bachofen - arricchito da un'appendice di note e materiali anch'essi pubblicati qui per la prima volta - si affianca, come una forza autonoma e complementare, allo scritto sullo stesso autore che Walter Benjamin aveva composto durante l'esilio parigino. Jesi riprende e spinge oltre se stesse le categorie dei mitologi reazionari, fino a leggere il nesso tra tomba e proprietà, e la paura degli antichi di restare insepolti, come «allegoria del presente borghese - del vincolo borghese fra senso della proprietà e senso della morte insito nelle "cose"».
Una manciata di minuscole sculture giapponesi ha ispirato a Edmund de Waal "Un'eredità di avorio e ambra". E una manciata di candidi detriti raccolta sul monte Kao-Ling, in Cina, spinge l'autore a esclamare "Questo è il mio inizio". L'inizio di un viaggio sulle tracce dell'"oro bianco", per raccontare la storia della porcellana. Qui lo seguiamo da Jingdezhen a Venezia, a Versailles, a Dublino, a Dresda, fino alle colline della Cornovaglia e ai monti Appalachi del South Carolina, mentre racconta la storia di una vera e propria ossessione per "il bianco perfetto". Lungo la strada incontra i testimoni della creazione della porcellana: tutti quelli che da quel bianco sono stati ispirati, arricchiti o afflitti; e dei tanti che hanno avuto la vita, il corpo e la mente spezzati dall'affanno della ricerca. L'autore percorre un millennio per arrivare ad alcuni dei momenti più tragici della storia contemporanea. Eroi o vittime dell'invenzione e della produzione del prezioso materiale, i personaggi più disparati: dagli imperatori cinesi ai loro schiavi; dall'elettore di Sassonia e re di Polonia Augusto II al piccolo alchimista da lui imprigionato perché produca quel materiale "semitraslucido e latteo, come i petali di un narciso"; dal farmacista quacchero che esplora le colline della Cornovaglia distratto solo dalla morte della giovane moglie; a Lenin e al suo intervento al Congresso dei lavoratori del vetro e della porcellana.
Se c'è un personaggio storico che merita di essere definito "genio universale", nessun dubbio che esso sia Leonardo da Vinci, semplicemente un gigante. Progettò i primi automi funzionanti; immaginò i computer digitali; costruì la prima valvola cardiaca; affrontò i primi studi accurati di anatomia; inventò le prime macchine volanti; rivoluzionò, lui, vegetariano e pacifista, l'ingegneria militare... l'elenco dei campi di applicazione del suo ingegno è vertiginoso. Noi celebriamo giustamente Leonardo come il pittore che ha rivoluzionato l'arte del Rinascimento, l'autore del Cenacolo e della Gioconda, probabilmente il quadro più famoso del mondo. Ma in realtà i suoi contemporanei lodavano e corteggiavano in lui più l'ingegnere, l'architetto, l'inventore di marchingegni terribili e portentosi, colui che impersonava una nuova era grazie alle sue scoperte meravigliose. Perché Leonardo è stato a tutti gli effetti il primo visionario della storia, ha inventato un nuovo modo di pensare, e, grazie alla sua prodigiosa capacità di osservazione della natura e alle sue folgoranti intuizioni, ha rivoluzionato ogni campo della conoscenza a cui si è applicato.
"Appassionato lettore di romanzi d'avventura, avevo sviluppato un romanticismo epico coloniale che mi aveva indotto a unirmi alle formazioni giovanili fasciste di scherma e di equitazione. Questi sport mi aiutarono in seguito, almeno in parte, ad assorbire lo shock delle leggi razziali che posero fine alla mia vita spensierata". Potrebbe essere l'inizio di un romanzo di Joseph Conrad. O di un bel romanzo di formazione. E il libro di Vittorio Dan Segre questo è, tra le altre cose. Ci sono biografie che assomigliano a romanzi. Leggendole si ha l'impressione di ascoltare la voce di un narratore che racconta fatti forse mai avvenuti. Non è il caso di questo racconto di una vita vissuta sotto il segno dell'azione e dell'inquietudine. Nelle sue pagine scorre una moltitudine di personaggi reali, affiorano frammenti di vita pubblica e privata narrati con l'inventiva del consumato romanziere: gli anni dell'adolescenza in Piemonte, la Palestina prima e dopo la nascita dello Stato di Israele, gli affetti e le passioni, la fede, gli intrecci di bene e di male, i successi e i fallimenti. La qualità della scrittura di Segre, la sua lucidità nel ripercorrere un'esistenza che a tratti può apparire disperatamente romantica, la sua capacità di dare consistenza romanzesca agli eventi privati, si spiega forse con la vocazione narrativa della vita stessa dell'autore.