
"Non è vero che chi muore di cancro va all'Inferno... non è vero che la morte è la fine di tutto; e non è vero perché c'è stato in un attimo della mia vita un giardino pieno di camomilla fiorita, una sensazione di gioia e di gratitudine immensa verso chi mi aveva donato la vita e quell'attimo di vita." L'autore, medico milanese dell'Istituto dei tumori, scopre a quarant'anni, sposato con tre figli piccoli, di avere un tumore al rene. Lo svilupparsi della malattia, dopo un primo importante intervento chirurgico, gli garantisce, per usare le sue parole, "dieci anni di vita quasi normale", in una sorta di tregua armata che termina il 4 dicembre 1989, allorché l'ultima operazione svela l'inesorabile recrudescenza del male. "Mi trovo" scrive allora "di fronte a ciò che Leopardi chiama "l'apparir del vero", e che si potrebbe più prosaicamente definire l'esperienza della fragilità della vita". Questi dieci anni di vita quasi normale, e quello successivo, l'ultimo, sono attraversati dalla testimonianza che Antonio ha lasciato in lettere, scritti, appunti e un abbozzo di libro. La loro raccolta e pubblicazione, prima in forma "artigianale", ora in una nuova edizione rivolta al grande pubblico, racconta una reale esperienza di vittoria sulla fragilità della vita e sulla morte. Prefazione del cardinale Angelo Scola, vescovo di Milano.
Bernardo, Piersanti e Sergio: un filo rosso fatto di passione politica, spiritualità cristiana e profondo senso di responsabilità nei confronti della Repubblica lega questi tre uomini - un padre e i suoi due figli. Bernardo, giovane attivista del Partito Popolare e fiero oppositore del Partito Fascista: il libro ripercorre le sue vicende politiche partite dalla piccola Castellammare del Golfo, in provincia di Trapani, e approdate a importanti ruoli ministeriali nei governi di Alcide De Gasperi, ma anche le frequentazioni con Giorgio La Pira, Aldo Moro, monsignor Montini e la battaglia per la laicità dello Stato. Piersanti, il maggiore dei figli maschi, viene raccontato dall'attivismo nell'Azione Cattolica fino alla carica di giovane presidente della Regione Siciliana; si ripercorre il suo impegno per la trasparenza e per la lotta alla mafia nell'isola, un impegno pagato con la vita. Il giorno dell'Epifania del 1980 un killer lo uccide mentre sta uscendo di casa con la famiglia per recarsi alla messa. Tra i primi ad accorrere sul luogo dell'attentato Sergio, fratello e consigliere. Una fotografia ormai celebre lo ritrae intento a stringere il corpo esanime di Piersanti, ma Sergio sarà presto chiamato a raccoglierne l'eredità politica nel segno del rinnovamento che sfocerà nella "Primavera di Palermo" e nelle successive battaglie nazionali per il cambiamento della politica e delle istituzioni. Il libro ripercorre la vicenda politica e umana di Sergio Mattarella.
"Maria Cristina di Savoia è una di quelle figure coerenti, legate ai principi eterni del diritto di natura e del diritto divino, che vivono nel loro tempo, ma superiori, per intelligenza e spiritualità, alle correnti di pensiero e di azione politica ideologica. Seppure sia morta a 23 anni, ha rappresentato al meglio uno stilema di autentica unità nazionale. Sabauda in tutto e per tutto, è stata amata e addirittura venerata dall'Italia meridionale, coagulando in sé tutti i connotati italiani: il suo credo cattolico, innanzitutto; la sua ampia cultura umanistica e scientifica; il suo amore per l'arte e le cose belle; la sua dolce e forte femminilità: mite, ma risoluta nel decidere per sé nelle diverse situazioni; onestà di vita; fedeltà nelle relazioni con le persone; uso della sana prudenza, quella che non permette di cadere nelle trappole e nei pettegolezzi". (Dalla Premessa) Una biografia alla scoperta di Maria Cristina di Savoia, regina controvoglia, che seppe trarre dalle occasioni della propria vita l'opportunità di costruire per il bene.
Beppe e Mario sono due ragazzini con la passione per il calcio. Beppe gioca nelle giovanili dell'Alzano Virescit, Mario nella prestigiosa cantera dell'Atalanta. Beppe e Mario sono amici e si sfidano spesso sul rettangolo verde. Passano gli anni e Beppe finisce a giocare nei dilettanti, lascia il calcio e infine la naturale irrequietezza lo porta a laurearsi in filosofia. Mario invece ha dalla sua maggior talento e determinazione nello sfondare; è il capitano della primavera dell'Atalanta e una giovane promessa dalla nazionale, ma a discapito delle apparenze la sua non è una vita facile: in pochi anni ha perso la madre, il padre e il fratello e si è ritrovato da solo a prendersi cura della sorella Maria Carla, affetta da una grave disabilità. Beppe e Mario non si perdono mai veramente di vista, e quando il primo entra in seminario, il secondo va a trovarlo e i due si ritrovano a condividere inquietudini e dubbi, a parlare di fede e del senso della vita. Il 14 aprile 2012 accade l'inaspettato, durante la partita Pescara - Livorno, Mario si accascia al suolo e, nonostante la corsa in ospedale, muore a soli 25 anni. Il dolore di Beppe è enorme, e anche il mondo del calcio è sotto shock. È trascorso qualche anno, Beppe porta sempre il ricordo e l'esempio dell'amico nel cuore. La sua vita è cambiata, il Cammino di Santiago gli ha fatto comprendere che la sua vocazione non è il sacerdozio, gli ha donato Maria Paula e lo ha riportato sui campi da gioco, ad allenare ed educare i ragazzi.
Quando Ludovico Buonarroti mise il piccolo Michelangelo a balia dalla moglie di uno scalpellino non poteva certo immaginare che il figlio sarebbe diventato uno dei più grandi artisti di tutti i tempi. Un romanzo storico in cui Beatrice Buscaroli fa incontrare al lettore un Michelangelo avanti negli anni che - incoraggiato dal giovane nipote - racconta di Lorenzo il Magnifico e del Giardino di via Larga, di Angelo Poliziano e Girolamo Savonarola. A metà strada tra il romanzo storico e il memoir, la figura di Michelangelo emerge in tutta la sua grandezza e con altrettanta forza sono tratteggiati tutti i personaggi con i quali incrocia la sua esistenza, come Domenico Ghirlandaio il mastro invidioso - o Pietro Torrigiano - il rivale rissoso - che con un pugno deformò irrimediabilmente il naso di Buonarroti.
Nato a Vienna nel 1878 in una famiglia ebrea, Martin Buber è stato tra i più originali e fecondi intellettuali del Ventesimo secolo. La sua opera letteraria, politica e pedagogica fu di capitale importanza per far conoscere al mondo la ricchezza della tradizione ebraica.
Dopo l’avvento al potere dei nazisti in Germania, Buber si battè per i diritti degli ebrei prima di essere costretto a trasferirsi a Gerusalemme, dove fu tra i pochi a sostenere la necessità della collaborazione tra arabi ed ebrei per costruire uno Stato nel quale le due etnie potessero convivere pacificamente. In questo volume Pamela Vermes ne ricostruisce la vicenda umana, letteraria e religiosa e restituisce al lettore una figura moderna, il cui impegno per il dialogo tra le culture e le religioni risuona ancora oggi di grande attualità.
Questo libro è la storia di una vita fuori dagli schemi. Anzi, di una vita "sulle ruote". Non quelle di un'auto, o di una bicicletta da corsa. Quelle di una carrozzella. Una carrozzella a motore, per la precisione. Una carrozzella di nome Herbie, come il maggiolino tutto matto, che è uno dei film preferiti di Matteo. Matteo è un ragazzo di vent'anni. Ma è anche la prova vivente che il mondo visto da una sedia a rotelle non è poi tanto diverso da quello di chi sta in piedi. A fare la differenza è l'ironia di Matteo, la sua curiosità, la capacità di scherzare su tutto - perfino sulla disabilità. La sua storia, raccontata in prima persona, sottoforma di viaggio... in ascensore, permette di tuffarsi in questo mondo, tra parenti eccezionali, volontari imprevedibili, amici un po' "normali" e un po' matti, ma anche insegnanti, tutor e allenatori capaci di trasmettere tutta la loro passione nel lavoro che fanno. MP3. Sulle ruote me la rido è l'autobiografia di un ragazzo che, nonostante la sua patologia - tetraparesi spastica, conseguenza di un parto gravemente prematuro - ci dimostra che è possibile vivere una vita normale e specialissima assieme. Una vita che è tutta un susseguirsi di "se" che lasciano il segno. A partire da quello fatidico del 30 aprile 1995: cosa sarebbe successo se mamma e papà non si fossero messi in auto, nel cuore della notte, senza sapere che con loro tra poco ci sarebbe stato anche Matteo?
Pio La Torre è stato l'unico parlamentare della Repubblica ucciso dalla mafia mentre era ancora in carica. A trentacinque anni dalla sua morte, avvenuta il 30 aprile 1982, i suoi due figli, Franco e Filippo, raccontano l'eccezionale normalità di un eroe che non ha mai voluto diventare un eroe, l'umanità di un uomo e di un padre ancora scomodo, che interroga ciascuno di noi, chiedendoci fino a dove siamo disposti a metterci in gioco per vivere davvero le nostre battaglie. «Il motivo per cui nostro padre poté fare quello che fece sta proprio in questa identificazione totale e piena con le sue battaglie. Oggi come allora queste parole possono sembrare retoriche eppure non lo sono. Pochi hanno avuto e hanno la credibilità per pronunciarle, pochi possono davvero dire "Io sono la mia battaglia"».
Unico parlamentare della Repubblica ucciso dalla mafia mentre era ancora in carica, Pio La Torre è ancora oggi ricordato come un esempio da seguire. In queste pagine i suoi due figli, Franco e Filippo, raccontano l'eccezionale normalità di un eroe che non ha mai voluto diventare un eroe, l'umanità di un uomo e di un padre ancora scomodo, che interroga ciascuno di noi, chiedendoci fino a dove siamo disposti a metterci in gioco per vivere davvero le nostre battaglie. «Il motivo per cui nostro padre poté fare quello che fece sta proprio in questa identificazione totale e piena con le sue battaglie. Oggi come allora queste parole possono sembrare retoriche eppure non lo sono. Pochi hanno avuto e hanno la credibilità per pronunciarle, pochi possono davvero dire "Io sono la mia battaglia". Con la Prefazione di Giuseppe Tornatore.
Giovanni Falcone non era un eroe, ma un uomo vero, retto, sorridente, coraggioso e prudente. Spesso sfiancato dalla responsabilità e dall'incomprensione, disposto però a offrire sempre tutto di sé, per un ideale. A venticinque anni dalla strage di Capaci, la sorella Maria con Monica Mondo rilegge l'album dei ricordi: l'infanzia con i fratelli, la famiglia e gli insegnamenti, la Palermo in cui sono cresciuti, gli incontri e le amicizie, le gioie e i dolori. Il ricordo non appartiene solo al passato, è lo strumento per capire il presente, per trasformare il timore in ricerca di giustizia, per non ridurre un uomo al ruolo di sola icona, piuttosto per ribadirne legami, affetti, ideali e passioni. Il corpo fa l'uomo mortale, le idee lo consegnano alla storia. Gli ideali di Giovanni Falcone restano, bandiera delle quotidiane lotte per lo stato di diritto.
La mafia è cosa complicata. Endemica e omertosa, radicata e violenta. La mafia è Cosa nostra. Ma è anche la storia di chi la mafia l'ha voluta stanare e combattere, nelle piccole realtà di provincia come nei traffici internazionali di droga, armi e di immensi capitali. La storia di uomini giusti come fu Paolo Borsellino. Non solo il percorso di vita fino all'attentato nel quale rimase vittima il 19 luglio 1992, ma il coro di voci inedite - Diego Cavaliero, Giovanni Paparcuri, il cardiologo Pietro Di Pasquale, Cosimo Scordato, Matteo Frasca e Francesco Ficarrotta, solo per citarne alcune - stretto intorno a una personalità sorprendente nella sua normalità che ci riconsegna un uomo eroico e fragile, ma sempre giusto. "Ho sempre accettato, più che il rischio, quali sono le conseguenze del lavoro che faccio, del luogo dove lo faccio e, vorrei dire, anche di come lo faccio. Lo accetto perché ho scelto, ad un certo punto della mia vita, di farlo e potrei dire che sapevo fin dall'inizio che dovevo correre questi pericoli. La sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi, come viene ritenuto, in estremo pericolo, è una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri assieme a me. E so anche che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci condizionare dalla sensazione o financo, vorrei dire, dalla certezza che tutto questo può costarci caro". Paolo Borsellino, luglio 1992

