
Un uomo guarda, lontano, le acque dell'Ellesponto; e traccia il bilancio di un'intera esistenza. Annibale ha appena finito di redigere le sue memorie, il testamento spirituale destinato, egli spera, a sopravvivergli e a giustificarlo nell'ora in cui sente approssimarsi la fine. Il Cartaginese ripercorre così il suo passato: l'infanzia in una Cartagine ormai quasi sognata, che non rivedrà mai più; l'agonia di un leone crocifisso visto da bambino; la vocazione militare da subito evidente; l'inflessibile senso del dovere che lo ha spinto su una strada segnata fin dall'inizio. Ora il sogno inseguito da Annibale, nel tragitto dalla Spagna a Crotone, è svanito. Il passaggio delle Alpi, destinato a divenire leggenda, e l'iniziale succedersi di trionfi militari hanno invece rivelato la spaventosa forza di una realtà politica, quella romana, immensamente superiore alla sua Cartagine. Questa forza sta ora dilagando e minaccia di trasformare quel mondo ellenistico che il Cartaginese ama e al quale appartiene. In queste pagine, un vinto nobilissimo ripercorre, con amara sincerità, le tappe di una vita senza uguali.
«Una storia di lealtà e tradimento. Di delitto e castigo. L’epopea di un terrorista che era anche un poeta. Tutto questo è Jakov Blumkin. L’eroe che, sopravvissuto alle situazioni più estreme, fu tradito dal suo amore per una rivoluzionaria intrepida come lui, in nome degli interessi superiori di una Rivoluzione, essa stessa tradita. Solo adesso ho capito che ero ossessionato da lui perché volevo raccontare un fallimento: quello di una generazione, la mia, che voleva cambiare il mondo. Volevo tornare al tempo in cui le masse irrompevano sul palcoscenico della Storia, ed era la Storia in persona che dettava le sue parole.»
Un passato bolscevico riemerge da un baule in una casa lungo la Marna. Un trasloco, una storia privata e una storia pubblica, due vite che si intrecciano, quella personale di Christian Salmon e quella di un personaggio leggendario della Rivoluzione d’Ottobre, Jakov Blumkin. Inizia così il viaggio di Salmon che insegue in tutta Europa la vita epica di Blumkin e al tempo stesso la sua stessa vita, il tempo in cui era stato anche lui un bolscevico. Un bolscevico per modo di dire, certo, ma pur sempre un bolscevico. Blumkin era un čekista e un poeta, un mistico e un assassino, fu amico dei più grandi poeti e dei boia della Lubjanka. Era l’uomo dai mille volti: ora il viso sfilato, ora appesantito; in alcune foto sembra avere vent’anni, in altre ne dimostra quaranta. Eppure era lo stesso uomo, Jakov Blumkin, alias ‘Il Lama’, alias ‘Sultano Zade’. O ‘Živoj’ che significa ‘il Vivo’, come lo aveva soprannominato Majakovskij una sera che lo aveva incontrato in uno dei caffè letterari alla moda che frequentava. Ma per altri era un personaggio di finzione inventato e lanciato nel mondo dai servizi segreti sovietici come copertura per ogni affare losco. La sua breve apparizione sulla terra resterà segnata da due colpi di pistola: quello che sparò all’ambasciatore tedesco il 6 luglio 1918 e quello che mise fine alla sua vita il 3 novembre 1929, quando non aveva ancora trent’anni. Fra queste due detonazioni, la vita di Blumkin si dispiega in un cielo di congetture, come un fenomeno luminoso che si consuma sotto i nostri occhi.
Emilio Colombo (Potenza 1920-2013), indiscusso protagonista della storia italiana del secondo Novecento, ha rilasciato, qualche anno prima di morire, la lunga testimonianza che è pubblicata in questo volume. Nel racconto il senatore a vita ha ripercorso, sul filo della memoria, sessantanni di attività politica, dall'impegno in Azione cattolica alle esperienze di giovanissimo costituente, di parlamentare democristiano, di sindaco, di sottosegretario all'Agricoltura e Foreste, di responsabile di ministeri cruciali (tra i quali Agricoltura, Commercio con l'estero, Industria, Tesoro, Finanze, Bilancio, Affari esteri), fino alla presidenza del Consiglio dei ministri e a quella del Parlamento europeo. La narrazione, che spazia dai grandi eventi della storia politica e istituzionale alle vicende di vita privata, è spesso arricchita da aneddoti poco noti. Il quadro che ne scaturisce è un interessante spaccato della prima Repubblica, laddove vicende locali, nazionali e internazionali concorrono alla ricostruzione, attraverso il punto di vista di uno dei protagonisti, di un importante pezzo di storia d'Italia e d'Europa. Una significativa appendice di testimonianze, infine, completa la descrizione di un'esperienza di vita relativa a un'epoca verso cui gli studi storici degli ultimi anni hanno puntato l'attenzione.
Era uomo fuori dall'ordinario, Giuseppe Garibaldi: capo carismatico, rivoluzionario entusiasta, idealista che non si lasciò corrompere dal successo e dalla fama. Da morto, il potere lo trasformò in un mito, un 'santo laico' da manipolare per suscitare il consenso e l'entusiasmo delle masse popolari. Con ogni mezzo. In che modo Garibaldi divenne 'Garibaldi'? quando? e, soprattutto, perché? Lucy Riall racconta il primo emblematico caso di creazione pubblica di un eroe, concepito, costruito e promosso per divenire un simbolo.
«Per i docenti precari nulla, dopo la compilazione del primo modulo, sarà come prima. Prove fisiche e mentali si succederanno giorno dopo giorno, sempre sopra i 38 gradi Celsius, sempre quando internet o la stampante non funzionano.»
«FIT, TFA, PAS, GAE, TIC, PTOF, PON, BES: l’iniziazione alla setta scolastica è innanzi tutto di tipo linguistico. Poi ci sono le circolari ministeriali e i bandi da decifrare. Le zie presidi connesse anche di notte a orizzontescuola.it. I gruppi di ansiogeni su Facebook informatissimi su tutte le mosse del ministero. Lo scritto e l’orale. Le infinite ore di tirocinio…».
Chiunque voglia fare dell’insegnamento il proprio mestiere deve prepararsi all’esercizio della resistenza. Per poter finalmente fare quello che, soprattutto grazie agli studenti, rimane il lavoro più bello del mondo.
«Nel bolscevismo Lenin fu sempre, fino alla sua morte, il capo che precede, costringendo gli altri a seguirlo, anche nelle decisioni più temerarie; nel fascismo, fino alla instaurazione del regime totalitario, Mussolini fu spesso un duce che segue, esitando talvolta a essere il duce che precede.»
Una nuova, radicale, interpretazione di due miti della storia.
In occasione del centenario della rivoluzione d’ottobre, Emilio Gentile rovescia i giudizi correnti nella storiografia italiana e straniera sui rapporti fra Lenin e Mussolini e getta nuova luce sui due primi capi rivoluzionari del ventesimo secolo, artefici dei primi regimi totalitari, l’un contro l’altro armati per imprimere il proprio modello sulla civiltà moderna. I due regimi non furono fratelli-nemici: il primogenito comunista non insegnò al secondogenito fascista, divenuto suo rivale, il metodo per distruggere la democrazia e istituire il regime a partito unico. Mai Mussolini considerò Lenin, la sua rivoluzione, il suo regime come esempi da imitare. Al contrario. Fin dal 1920 Mussolini condannò il regime di Lenin come una dittatura di fanatici intellettuali imposta col terrore sul proletariato, considerò fallito l’esperimento comunista, giudicò liquidata la minaccia bolscevica in Europa. E un anno prima della conquista fascista del potere, il duce dichiarò pubblicamente che in Italia non c’era nessun pericolo di rivoluzione bolscevica. Ricostruendo l’attitudine e l’atteggiamento di Mussolini nei confronti di Lenin, la rivoluzione bolscevica e il regime comunista, emerge una nuova e originale lettura di due uomini che hanno fatto la nostra storia.
Il genio di Leonardo è universalmente noto. Il suo mito, tuttavia, ha spesso messo in ombra la vita di un uomo tormentato, dotato di un acuto spirito di osservazione, in conflitto con il sapere istituzionale e dedito a indagare ogni fenomeno naturale. Pittore, scultore, architetto, scienziato, musico, ingegnere: le tante vite di Leonardo sono raccontate da Antonio Forcellino con passione. Una biografia ricca, documenti d’archivio e scritti scientifici arricchiscono il volume: un testo di critica attuale e uno studio approfondito.
Leonardo. Genio senza paceè dedicato a tutti coloro che desiderano avvicinarsi a una delle più misteriose figure europee del passato. Carlotta Venegoni, “Il Giornale dell’Arte”
Il mito, l’uomo, che nelle premesse ai suoi scritti si definì provocatoriamente «omo sanza lettere», può essere oggi decifrato dal restauro dei suoi grandi capolavori. L’analisi dell’opera pittorica, la comprensione del dettaglio della sua tecnica compositiva, sono infatti una chiave fondamentale per comprendere la personalità del genio.
Anticipatore del calcolo, investigatore dell’atmosfera planetaria, aspro critico del primo colonialismo in America, Giordano Bruno ha tutte le carte in regola per essere considerato un uomo totalmente ‘moderno’; eppure la sua riflessione è impregnata dell’immaginario neoplatonico rinascimentale, di cabala e arti mnemoniche, di visioni spirituali che esprime in densi componimenti in latino, o in vernacolare scatenato o in sublime poesia. Nato sotto l’ombra del Vesuvio, attraversò l’Europa cinquecentesca. Morì il 17 febbraio del 1600 in piazza Campo de’ Fiori a Roma come «eretico ostinato e pertinace».
Ingrid D. Rowland traccia un’agile biografia di Giordano Bruno, attenta agli aspetti ‘scientifici’ della sua ricerca: le conseguenze che l’esistenza di un universo infinito comporta per la fisica e la matematica, il giusto modo per l’uomo di stare nel mondo quando il mondo è un cosmo senza limiti.
È fuor di dubbio che Bruno venne al mondo per accendere un fuoco e vide quel fuoco come una raffigurazione dell’amore ardente che aveva creato sia il cosmo sia i cuori umani. Dalla sua cella nelle prigioni dell’Inquisizione veneziana avrebbe contemplato le stelle. Ingrid D. Rowland ricostruisce la vita di un filosofo cosmopolita, cittadino del mondo.
Un libertino che ha giocato un ruolo fondamentale nell'evoluzione della cultura europea, un irriducibile ribelle per le sue idee politiche, filosofiche e religiose. Nella ricorrenza del 450° anniversario della nascita, Luca Addante ribalta le interpretazioni dominanti sul filosofo, raccontando Tommaso Campanella attraverso le sue rappresentazioni e smascherando l'incredibile stratificazione di miti e di usi politici e apologetici della sua figura, che ne hanno stravolto le originarie fattezze.
Una donna antica che anticipa il futuro.
«Sono Giulia Agrippina Augusta e ho raggiunto il quarantesimo anno di età. Ho imparato molto da mia madre, ma disgrazie innumerevoli mi hanno indotto ad agire con meno testardaggine, imitando la diplomazia in cui mio padre eccelleva. L’arte più importante è quella che insegna a vivere. Si ottiene una vita di potere solo imparando a usare gli uomini come mezzi. Il fuoco che nel cuore arde, fatto di pulsioni e debolezze, va nascosto nel ghiaccio. Una passione genuflessa al rigore delle regole di corte mi ha recato ormai un dominio indiscusso, nonostante le resistenze di chi a me tutto deve: mio figlio Nerone.»
Fare il partigiano voleva dire salire in montagna, dormire all’addiaccio, mangiare poco e male, girare fra i monti con uno sten appeso alla spalla in attesa che arrivassero i tedeschi a spararti addosso. La storia di un ragazzo nato nel 1925, cresciuto nell’Italia fascista, che sceglie di ribellarsi e combattere per la libertà.
«Com’era la vita quando eri giovane?» Questa è la domanda che un ragazzo pone a Mario Mirri, uno dei più influenti storici italiani. È questa frase che fa tornare in vita, quasi magicamente, un mondo che abbiamo perduto, dove la civiltà contadina era ancora centrale, i figli tanti e i beni scarsi. I ricordi si mescolano all’analisi dello storico riuscendo a dare un senso più ampio alle esperienze di un singolo. Il piccolo Balilla si trova così a fare i conti con la scoperta di un padre che ascolta di nascosto Radio Londra o con l’improvvisa sparizione del compagno di classe ebreo. Ma è la guerra a dare una svolta. La ‘pugnalata alle spalle’ del regime fascista alla Francia spinge il giovane Mario, con altri compagni, ad aderire clandestinamente a Giustizia e Libertà e poi alla Resistenza. Questi anni, con le sofferenze, le torture subite, la perdita degli amici ma anche il contatto con ‘il mondo degli uomini’, saranno centrali nella formazione etica e politica sua e di una intera generazione.
L'esilio è come il mar Rosso che si richiude dietro alle spalle, senza aprire alcuna Terra Promessa; ti lascia lì in mezzo al guado, impossibilitato ad andare avanti, impedito nel tornare indietro. Mandare qualcuno in esilio nell'Italia del Trecento, significava volergli fare terra bruciata intorno, distruggergli il nido, buttargli giù la casa pietra a pietra, sasso a sasso, trave a trave. A partire dal racconto tragico dell'esperienza dell'esilio, riprendono vita le vicende biografiche e poetiche di uno dei più grandi autori della letteratura mondiale.