
Oggi non si può vivere pienamente
il dono della santità
se non in modo ecumenico.
È il medesimo Spirito
che fa maturare i distinti carismi
e fa sprigionare l'unità profonda
La santità, nella sua accezione più comune, indica separazione, alterità, distanza. Tale è il significato che la Scrittura attribuisce al termine parlando del Dio “tre volte santo”. Ma si tratta di una differenza – è ancora la Scrittura a rivelarlo – che non esclude, ma che anzi si fa nuova via di comunione. Dio è santo, ma la sua santità diventa luogo di incontro con l’uomo; vi sono uomini santi, ma quella loro differenza – riflesso dell’unica santità di Dio – si manifesta in una smisurata compassione per tutta la creazione. La santità cristiana è infatti manifestazione dello Spirito santo e partecipazione dell’uomo alle sue energie; e lo Spirito santo è Spirito di comunione e non di divisione. I contributi qui riuniti – redatti da teologi d’oriente e d’occidente per il V Simposio intercristiano – rendono conto di questa realtà: la santità non ha confini e non erige steccati; non separa il divino dall’umano, né gli uomini o le chiese tra di loro. Anzi, quando è autentica, la santità appare come potenza di comunione, potenza dell’unico Spirito che è santo.
In questo volume sono pubblicati, a cura di Paolino Zilio e Luisa Borgese, gli atti del V Simposio intercristiano, tenutosi ad Assisi, dal 5 all’8 settembre 1997. Il Simposio intercristiano fra alcuni docenti della Facoltà teologica dell'Università “Aristotele” di Tessalonica e dell’Istituto Francescano di spiritualità dell'ateneo Antonianum di Roma è nato come forum di interscambio sulla vita spirituale delle due tradizioni cristiane: occidentale latino-cattolica, orientale greco-ortodossa.
Un’affascinante esperienza di dialogo
tra culture e religioni diverse
“La luce parte dall’oriente e a occidente si smorza. Queste pagine partono dall’occidente e guardano verso oriente, ma tornano a riflettersi sull’occidente. Perché chi le ha scritte ha piena coscienza di essere nato occidentale e di rimanerlo. Nella sua vita ha incontrato, e vissuto, l’oriente. Ha cercato di lasciarsene impregnare, così come apprendere una lingua straniera significa impregnarsi di chi la parla, in tutte le sue dimensioni. E ha voluto riflettere, per quanto è possibile, su questo impregnarsi. I riflessi d’oriente non hanno fatto altro che favorire il confronto fra due realtà, senza la pretesa di giungere in fretta, e dunque senza riflessione, a una sintesi” (dalla “Premessa” di Claudio Gugerotti)
Claudio Gugerotti (Verona 1955), arcivescovo cattolico, già segretario presso la Congregazione per le chiese orientali, dal 2011 è nunzio apostolico in Bielorussia, dopo esserlo stato per dieci anni in Georgia, Armenia e Azerbaigian. Autore appassionato, si è sempre occupato di spiritualità, liturgia e cultura delle chiese orientali, in particolare di quella armena.
Questo libro inizia con uno sguardo generale sulla vita e sull'opera di Cassiano il quale visse in diversi paesi ricoprendo svariate mansioni, ma la costante nella sua vita straordinaria è stata una vocazione monastica vissuta a servizio della Chiesa.
Questo libro è stato scritto per due tipi di lettori che in parte si sovrappongono: da una parte, monaci e monache e coloro che sono attratti dalla spiritualità monastica; dall'altra gli studiosi della prima era cristiana. L'autore ha sempre avuto presente coloro che guardano a Cassiano come ad un maestro della vita monastica.
L'obiettivo di Cassiano è quello di raggiungere la purezza del cuore; questo significava porsi in una posizione contemplativa nei riguardi di tutta l'esperienza umana, inclusa l'esperienza di Dio. Il suo insegnamento sull'interazione fra contemplazione e azione ci conduce ad una sfida perenne insita nella vita monastica.
È un documento di interesse sulla vita quotidiana e la dottrina dei monaci siriani, in un'epoca fiorente della Chiesa nestoriana, alla quale appartiene Giuseppe Busnaya (869-979). Sebbene indirizzato a quanti conducono una vita di solitudine, la genuinità del cibo spirituale che viene offerto in questo libro può essere recepito anche da quanti vivono in un cenobio o nel mondo. Giuseppe nasce nel villaggio di Beit Edrai nell'869. Rimasto orfano di padre, si occupa di crescere i suoi fratelli e la sorella. All'età di trent'anni circa, Giuseppe entra nel monastero di Rabban Hormizd. Dopo quattro anni trascorsi nel cenobio si ritira a condurre vita solitaria in una cella non lontana dalla comunità, e infine si ritira a vita solitaria. Rimarrà in una stretta e povera cella per circa dodici anni. Nel 929, dopo trent'anni di vita monastica trascorsi nel monastero di Rabban Hormizd, Giuseppe si trasferisce nel monastero di Mar Abramo di Beit Çayarê, dove continua a vivere nel silenzio di una cella. Rabban Giuseppe comincia ad esercitare la paternità spirituale. Il 4 settembre 979 muore Rabban Giuseppe.
Il tentativo di sintesi, qui offerto, si basa sulla storia e sugli autori sinaiti: per la storia, è stato fatto un lavoro di ricerca delle varie fonti attualmente accessibili, riportando i testi conosciuti, mentre per gli autori è stata posta l'attenzione soprattutto sui loro scritti, con l'intento di metterne in luce le caratteristiche proprie. Se il tentativo è riuscito, come mi auguro, acquista un po' di luce anche questo angolo di mondo, dove Dio è sceso a parlare con l'uomo e l'uomo, pur avendo visto Dio, non è morto (cfr. Es 33, 20). Gli studi sul monachesimo sinaita non sono molti; anche le fonti ne parlano poco e in modo molto frammentario. Mi è sembrato perciò utile il tentativo di raccogliere le diverse fonti e i vari studi su tale argomento e offrirne una sintesi. L'ambito in cui si sviluppa questa ricerca è limitato alle tre zone più conosciute della penisola sinaita: Faran, Raito e il Monte Sinai, mentre il periodo studiato è ristretto ai primi secoli.
Questo libro svolge i temi dell'antropologia a partire da una logica relazionale. Il metodo, vicino a quello ad esempio descritto nella "Vita di Mosè" di Gregorio di Nissa, che evoca piuttosto una salita, aiuta a capire anche il contenuto: non si tratta di parlare delle cose di Dio, ma di parlare "con" Dio della persona-uomo, delle Persone Divine. All'esperienza spirituale rimanda infatti continuamente questo libro, fitto di idee, di intuizioni, di luce. Rupnik si rifà spesso agli autori russi, ai quali somiglia anche per la capacità di fondere insieme la tradizione e l'attualità, conoscenze tanto varie, culture diverse e una formazione tologica che respira già con due polmoni.
In un paesino come tanti, ricco di persone di chiesa e di persone di "bordello", di uomini onesti e disonesti, giunge, come un tornado, un nuovo prete. Il suo non è un compito facile, chi lo ha preceduto è stato cacciato dalla gente e dal suo, sventurato, comportamento. Don Juliàn ha alle spalle una storia difficile, che parla di carceri e violenza; ma grazie a lui gli abitanti del paese imparano a conoscere un modo nuovo, diverso, di credere; un modo forse soltanto dimenticato, nascosto dietro processioni, riti svuotati di significato e fraintendimenti su che cosa siano davvero bellezza e amore. Il don diviene così una pietra di paragone per tutti, credenti o meno, e li obbliga a fare i conti con la realtà della vita, che è difficile ma meravigliosa. Un romanzo corale, un moderno Diario di un curato di campagna, pensato per chi abita le città, il paese, le campagne di oggi.
"In quell'istante il mio presente fu spazzato via, il mio passato cancellato e il mio futuro annichilito": è il 9 agosto 1945 e sono le ore 11:02. È l'istante in cui Takashi Nagai e pochi altri sopravvissuti si ritrovano, come in un incubo, in una Nagasaki ridotta in cenere dall'esplosione della bomba atomica. Ha perso la sua amata moglie Midori, gran parte dei suoi amici e conoscenti, tutti i suoi averi e i frutti degli sforzi di una vita intera. Già malato di leucemia e condannato a morte prossima, resta solo insieme a due figli bambini che presto dovrà lasciare orfani in quel deserto post-nucleare. "Lasciando questi ragazzi" è una raccolta di brevi testi che Nagai scrive ai suoi figli affinché le sue parole possano accompagnarli nel cammino della vita che dovranno percorrere senza i genitori al loro fianco. Una vita che sarà piena di sofferenza ma che, proprio per questo, griderà ancor più forte l'urgenza di qualcosa che porti luce e speranza. Per Nagai ogni circostanza, persino quando porta il volto atroce della morte e della distruzione, è il luogo dove la Verità ci raggiunge, facendosi strada proprio attraverso le ferite che si aprono nel cuore. Prefazione di Massimo Camisasca.
«I pagani conoscevano il mito delle "tre Grazie"; noi cristiani conosciamo le tre virtù teologali: fede, speranza e carità. Tre Grazie non mitiche ma reali». Padre Raniero Cantalamessa accompagna i lettori in un percorso di comprensione delle virtù, forte della certezza che non c'è alcun contenuto della fede, per quanto elevato, che non possa essere reso comprensibile a ogni intelligenza aperta alla verità. Le Grazie di Botticelli, rappresentate in copertina, invitano con le loro mani a guardare in alto il cielo. Al pari di esse, anche le tre virtù teologali si tengono per mano perché sono inseparabili. Forte del detto evangelico sulla necessità di tenere insieme "le cose nuove e le cose antiche", questo libro cala le virtù in un presente concreto, fatto di grandi e piccole cose, affinché oltre a conoscerle le si possa esercitare nella quotidianità.

