
Uno sguardo sulla situazione della Chiesa cattolica e della fede. Senza evitare gli aspetti più controversi e tenendo conto dell’orizzonte dei nostri giorni, segnato dalla vicenda del Covid. Un diario di viaggio in una realtà caratterizzata da profonde divisioni, ma con la volontà di costruire, non di distruggere. E sapendo che il processo di conversione riguarda tutti, a partire da se stessi. Questo è La trave e la pagliuzza. Essere cattolici “hic et nunc” (Chorabooks), il nuovo libro di Aldo Maria Valli.
Il volume, che raccoglie molti degli interventi di Valli nell’omonima rubrica tenuta in Radio Roma Libera, prende in esame questioni disparate (dal Concilio Vaticano II al pontificato di Francesco, dalla vita spirituale in regime di lockdown alle vicende vaticane, dal great reset alle questioni bioetiche) ma con un filo conduttore: l’amore per la Chiesa e la Tradizione, unita a una denuncia chiara sia delle derive moderniste sia delle nuove forme di dispotismo che limitano o negano le libertà fondamentali.
“Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?”. Gesù (Lc 6, 41) è piuttosto chiaro e giustamente dà dell’ipocrita a chi accusa l’altro minimizzando il proprio peccato.
Aldo Maria Valli, giornalista e scrittore, dopo essere stato vaticanista Rai (al Tg3 e al Tg1) per quasi venticinque anni, cura il blog Duc in altum. Per Chorabooks ha già scritto Ai tempi di Gesù non c’era il registratore (Uomini giusti ai posti giusti), Non avrai altro Dio. Riflettendo sulla dichiarazione di Abu Dhabi, Le due Chiese. Il sinodo sull’Amazzonia e i cattolici in conflitto, Claustrofobia. La vita contemplativa e le sue (d)istruzioni, Uno sguardo nella notte. Ripensando Benedetto XVI. Con Aurelio Porfiri ha scritto Sradicati. Dialoghi sulla Chiesa liquida e Decadenza. Le parole d’ordine della Chiesa postconciliare. Ha curato inoltre i volumi collettanei L’altro Vaticano II. Voci attorno a un Concilio che non vuole finire e Non abbandonarci alla tentazione? Riflessioni sulla nuova traduzione del “Padre nostro”.
La vita di preghiera, nella contemplazione del mistero divino e per la riparazione dei peccati del mondo, è un tesoro grande, conservato in monasteri dalla vita millenaria, ma ora questo tesoro è in pericolo, e non per un attacco dall’esterno, ma per iniziativa della stessa gerarchia cattolica. L’attacco arriva dalla costituzione apostolica Vultum Dei quaerere e dall’istruzione applicativa Cor orans, un apparato normativo che minaccia l’autonomia dei monasteri, indebolisce la loro indipendenza e, con la scusa dell’aggiornamento e della formazione, mette in discussione l’idea stessa di isolamento e di vita di clausura. Ma perché questa “claustrofobia” da parte della Chiesa? Perché mortificare la scelta di chi consacra la propria vita alla preghiera nel nascondimento? Dietro s’intravvede un’idea di spiritualità tutta orizzontale, tutta giocata nel sociale, incapace di scorgere la bellezza e la grandezza di una relazione esclusiva con Dio. Una situazione grave che in Claustrofobia. La vita contemplativa e le sue (d)istruzioni Aldo Maria Valli descrive mettendone in luce i contenuti più letali per la fede e la Chiesa stessa.Aldo Maria Valli, giornalista e scrittore, è da anni affermato vaticanista. Nel suo blog Duc in altum (tra i più frequentati e autorevoli) è impegnato da tempo a difesa della tradizione cattolica, della retta dottrina e della corretta liturgia, contro le ambiguità di un magistero segnato dal neo-modernismo e da cedimenti alla mentalità del mondo. Tra i suoi libri più diffusi 266. Jorge Mario Bergoglio Franciscus PP, Come la Chiesa finì e Il caso Viganò. Per Chorabooks ha già pubblicato Uno sguardo nella notte. Ripensando Benedetto XVI e Sradicati (con Aurelio Porfiri).
Una proposta alternativa alla stanca spiritualità dei nostri tempi, una proposta che riprende la saggezza della tradizione. Padre Serafino Tognetti dice tra l'altro nella prefazione: "L’ideale di vita proposto in questo libro di Aurelio Porfiri non è un nostalgico ritorno al passato, ma una valorizzazione del presente rivisto e rivisitato con quello spirito, che poi è l’unico cattolico, cristiano: essere figli di Dio umili e combattivi, semplici e convinti, nell’accettazione serena della figliolanza divina in Cristo, avendo presente l’ordine voluto da sempre. La vita non l’inventiamo noi, anche se siamo capaci di andare sulla luna (ma cos’è mai poi la luna, nei confronti dell’universo e delle stelle fisse?): quando nasciamo ci troviamo inseriti in un ordine di natura che si dà da sè, che siamo chiamati a contemplare e in qualche modo ad obbedire. Dio ci dà la libertà e ci insegna ad usarla per il bene.... Quale figura di cristiano propone il nostro autore? La figura del cristiano come monaco-cavaliere. Non con la bardatura, cavallo bianco e spada sguainata, ma in giacca e cravatta negli uffici, con vesti usuali negli uffici, nelle case, nelle scuole, nelle parrocchie, ovunque. Persone che rimettono tutto in equilibrio: Dio prima di tutto, poi l’ascolto della sua divina Parola, la contemplazione della vita e dell’ordine delle cose, quindi di conseguenza l’amore vero per il prossimo, lo spirito di sacrificio, la preghiera, il servizio". Insomma, tornare indietro per riprendere il futuro.
C’è una Chiesa cattolica che di cattolico ormai ha solo la ragione sociale, perché in realtà ha sposato il pensiero dominante nel mondo e ha come unico obiettivo piacere alla gente che piace. Aldo Maria Valli, uno dei più noti vaticanisti italiani, nel suo popolare blog Duc in altum si è divertito per mesi a prendere di mira questa Chiesa in una rubrica satirica di grande successo, intitolata Uomini giusti ai posti giusti, ora riunita nel libro “Ai tempi di Gesù non c’era il registratore”. Uomini giusti ai posti giusti (Edizioni Chorabooks). Un graffiante pamphlet con cui l’autore, usando l’arma dell’ironia, smaschera la pochezza di una Chiesa che, a suo giudizio, volendo essere à la page risulta solo grottesca.
Tra gli uomini di Dio emerge nella Roma, e soprattutto nella Napoli del XIX secolo, la figura di una monaca e Madre, che pur nelle mura di una clausura ha avuto un influsso nella storia di queste città: Maria Giuseppa dei Sacri Cuori.
Lo schema di questo lavoro di Barresi è semplice e ci permette di entrare nella meditazione per scoprire e illuminare, purificare e rinnovare i costumi degli uomini attraverso il senso dell’amore.
Il testo ci aiuta a vivere, in un clima culturale sfavorevole all’opera di “evangelizzare Cristo” (At 8,36), la responsabilità primaria dell’annuncio che investe tutta la Chiesa e che presuppone una conoscenza sempre più profonda (cfr. Fil 3,8) di Lui.
Il leitmotiv del testo è che l’uomo per essere tale – cioè per far splendere la bellezza dell’umano in lui –, ha bisogno di Dio. Proprio in questo bisogno c’è la sua grandezza, perciò A. Rosmini poteva sostenere: «l’uomo non è grande se non perché è bisognoso». Infatti: «Senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia (...). Dio ci dà la forza di lottare e di soffrire per amore del bene comune, perché Egli è il nostro Tutto, la nostra speranza più grande».
Al termine della lettura dell’opera, colpisce la chiamata in causa della testimonianza personale a non eludere il dovere di interrogarci se il nostro modo di pensare e di vivere, le nostre scelte e i nostri atteggiamenti, la nostra vita familiare e le nostre relazioni sociali rivelano una piena coerenza – sempre cercata, anche se non del tutto attuata – con la fede che professiamo.
Le considerazioni che seguono non sono frutto di un ragionamento convincente, né di un motivato atto di fiducia concesso ad una dottrina o ad una Chiesa, ma sono frutto di un incontro con una persona che ha potuto affermare di sé – senza ombra di follia – Io sono la risurrezione e la Vita.
Questo libro non è un trattato di teologia dei “novissimi”. È superfluo dirlo..., ma va detto, tanto per non lasciare dubbi neanche circa le intenzioni dell’autore! Si tratta solo di pennellate, non però tracciate a caso ma nell’intento di ritrarre il volto del Risorto, volto che appare ai suoi oggi, anche se solo in modo confuso, come in uno specchio.
Susanna Bo non è soltanto autrice di una storia autobiografica come tante, ma è - a differenza di molti che raccontano se stessi in versi o in prosa - una scrittrice con un suo stile e una vocazione narrativa molto forte, grazie a cui sa ben dosare gli elementi del racconto per spingere il lettore alle risa e alle lacrime, a volte nello stesso tempo, e ad alzare lo sguardo. Questa è una "storia vera" e però è allo stesso tempo un "romanzo", con una sua struttura che man mano si è imposta alla spontaneità diaristica e ubbidisce allo statuto narrativo proprio del genere letterario, grazie a una scansione degli avvenimenti non solo cronologica. Al suo interno campeggiano i due protagonisti: Susi, "la brava ragazza" tutta casa e chiesa ma insofferente degli stereotipi, inguaribilmente ironica e autoironica; Luigi, "l'ateo", più esperto di discoteche che di chiese, l'ingegnere di poche parole che diventerà l'amore della sua vita e la guida, anche per lei, nel condurre la sua e la loro "buona battaglia"; intorno si muovono altri personaggi reali, l'amico di infanzia, le giovani coppie, i genitori: e lo sfondo è - per quanto volutamente sfumato - una piccola città di provincia a forte vocazione turistica, inquadrata con la sua riviera da un obiettivo che non è quello del turista.
Il titolo del piccolo libro: "L'arte di trarre profitto dai nostri peccati può" destare meraviglia. Il peccato è un male per l'uomo; ha degli effetti nocivi, distruttivi. Tante vite umane vengono rovinate dai peccati. Come questi peccati possono procurare un profitto e come è possibile l'arte di assicurarlo? È vero che il peccato ci porta un grave danno. La sua malizia consiste prima di tutto nel fatto che offende Dio; più esattamente offende il Padre nel suo amore per noi. Ma siccome il nostro destino si compie nelle nostre relazioni di amore filiale verso il Padre, l'inimicizia causata dal peccato danneggia la nostra esistenza. Lo stato di peccato rende l'uomo profondamente infelice; suscita in lui un grande disturbo e stimola dei sentimenti di timore e di tristezza.
Susanna Bo non è soltanto autrice di una storia autobiografica come tante, ma è, a differenza di molti che raccontano se stessi in versi o in prosa, una scrittrice con un suo stile e una vocazione narrativa molto forte, grazie a cui sa ben dosare gli elementi del racconto per spingere il lettore alle risa e alle lacrime, a volte nello stesso tempo, e ad alzare lo sguardo. Questa è una "storia vera" e però è allo stesso tempo un "romanzo", con una sua struttura che man mano si è imposta alla spontaneità diaristica e ubbidisce allo statuto narrativo proprio del genere letterario, grazie a una scansione degli avvenimenti non solo cronologica. Al suo interno campeggiano i due protagonisti: Susi, "la brava ragazza" tutta casa e chiesa ma insofferente degli stereotipi, inguaribilmente ironica e autoironica; Luigi, "l'ateo", più esperto di discoteche che di chiese, l'ingegnere di poche parole che diventerà l'amore della sua vita e la guida, anche per lei, nel condurre la sua e la loro "buona battaglia"; intorno si muovono altri personaggi reali, l'amico di infanzia, le giovani coppie, i genitori: e lo sfondo è, per quanto volutamente sfumato, una piccola città di provincia a forte vocazione turistica, inquadrata con la sua riviera da un obiettivo che non è quello del turista. Prefazione Enrico Rovegno.
Il silenzio non consiste nel semplice vuoto di rumori, ma è un'assenza/presenza di "qualcosa" ("silenzio parlante"), di parole già dette e di parole taciute. Il silenzio è colto come la capacità di sospendere la parola per fare deserto, espressione altrettanto eloquente quanto quella del linguaggio parlato. Se oggi il rumore impera, riscoprire il senso delle "parole non-dette" (silenzio) è di estrema importanza per progredire sul versante dell'essere contro il frastuono dell'apparire e la chiacchiera insignificante.