
Il rispetto, l'incomprensione, la routine, il lavoro, il progresso, il tempo, la solitudine, il peccato, la Chiesa... Le risposte di un misterioso Profeta alle domande che spesso angustiano il cuore dell'uomo.
Una raccolta di nove canti tradizionali e non, tra i piu famosi dedicati al ragazzo santo". "
La storia dei primi 10 anni di Gioventù Studentesca raccontata attraverso le bellissime foto di Elio Ciol, molte delle quali inedite. Un grande fotografo, Elio Ciol, conosciuto in tutto il mondo ha incrociato la vita di don Giussani nei dieci anni (1954-1965) in cui il sacerdote milanese dava vita a Gioventù Studentesca, la comunità che sarebbe poi diventata Comunione e Liberazione. Di quel decennio, le foto di Elio Ciol sono una testimonianza essenziale. Le più importanti sono raccolte in questo libro fotografico, accompagnate dal racconto storico di Massimo Camisasca e dalle testimonianze di due nomi molto conosciuti e stimati all'interno del movimento di Comunione e Liberazione: la psicologa Eugenia Scabini e don Pigi Bernareggi, missionario in Brasile da 50 anni. Prefazione di Julián Carrón.
"Siamo condannati ad avere fede - sostiene l'autore - se vogliamo vivere. Con la nostra parte oscura combattere un'altra parte oscura. L'animale che è in noi, non il nostro intelletto, ci porta avanti, verso le vette più alte della spiritualità. Qui vedo il paradosso della fede". Una ricerca dei segni della propria fede più sotto il segno di Kafka che di Dostoevskij, perché avere fede è un impegno tragico. Lo scrittore ne indaga l'origine tra le paure infantili, le menzogne dell'età adulta e l'illuminazione della grazia. Una ricerca che ben presto si muta in un corpo a corpo con la questione del male e della sofferenza: la fede come necessità della nostra vita senza certezze.
La tradizione ci ha consegnato questa "Legenda aurea" come una monumentale raccolta di storie di santi cui un candore di gusto antico serve a compensare una straordinaria rozzezza intellettuale, degna del Medioevo (come piace ancora immaginare) che l'ha prodotta. Ma le cose non stanno così. L'autore (1228 ca. - 1298) era persona di qualità intellettuali straordinarie, le cui responsabilità che oggi diremmo istituzionali danno chiare indicazioni: vescovo di Genova dal 1292, già priore dell'intera Provincia domenicana di Lombardia dal 1297, in momenti di violentissime tensioni religiose, sociali e politiche, ebbe incarichi di notevole responsabilità in Francia e in Ungheria, a contatto con alcune fra le persone di massimo spicco culturale e intellettuale del momento. Dalla sua "Legenda aurea" non ci si può dunque aspettare quel tono da "Fioretti" di san Francesco che tradizionalmente le si attribuisce: anzi tutto il suo sforzo sta nel ricondurre a un principio unificante le disparatissime tradizioni di vite di santi secondo un gusto sistematico che è proprio della cultura domenicana. Le vite non saranno raccolte a caso, o secondo la loro importanza locale, o secondo la loro tipologia formale o culturale, ma ricondotte al circolo dell'anno liturgico, per costruire un solo grande monumento di esempi di vita, che si dispongono con naturalezza secondo le partizioni dell'anno.
«Qualcuno dice che mi sono "ritirata" in un eremo; e io puntualmente reagisco. Un eremo non è un guscio di lumaca, e io non mi ci sono rinchiusa; ho solo scelto di vivere la fraternità in solitudine. E lo preciso puntigliosamente per rispondere all'obiezione che concepisce questa solitudine come un tagliarsi fuori dal contesto comunitario. E invece no. L'isolamento è un tagliarsi fuori ma la solitudine è un vivere dentro».
È questo un libro da leggere in silenzio.
Con la schiena ben dritta e gli occhi che guardano avanti mentre esplorano il mondo nei suoi dettagli: fiori, piante, frutta, animali. Così tutto ciò che vedi ti parla di sé e insieme di altro, degli altri, di quello che è fuori, diverso e straordinariamente unico.
Se ti abbandoni a queste pagine, se le esplori e le ascolti, scopri che le stagioni della natura sono quelle dell'uomo e della vita, di un'età che si compie e si arricchisce ad ogni passo e sguardo. Scopri che una scelta di silenzio contemplativo è un modo per parlare forte e meglio a tutti. Che la solitudine può essere un luogo fecondo di incontro, una condivisione e un dialogo duraturo. Che una gatta (pardon, una micia), può anche scaldarti il cuore e che per difendere e proteggere ciò in cui credi vale ancora la pena di affrontare battaglie e sacrifici.
Adriana Zarri, teologa, scrittrice, eremita, donna libera, prima di morire a novantuno anni compiuti, ha condotto tante battaglie e ha appoggiato, anche in aperto contrasto con le posizioni della chiesa cattolica, le iniziative a favore del divorzio e dell'aborto e le discussioni sul celibato del clero. Con la sua voce sottile, eppure vibrante e sicura, ci guida in un mondo antico e nuovo che è poi il nostro.
Diverso e nuovo è il modo in cui lei va incontro al mondo. E diverso e nuovo è il modo di dirlo, usando con consapevolezza, e assaporandola, la potenza della parola: una parola meditata a lungo e coccolata, a volte stridente e scomoda, a tratti polemica, ma sempre affascinante e coraggiosa nella sua poetica esattezza.
Nelle pagine di Erba della mia erba, pubblicate per la prima volta nel 1981 e qui riproposte, così come negli Altri resoconti di vita, narrazioni nuove e inedite, la propria esperienza di silenzio e di un vivere appartato è raccontata (senza essere mai testimoniata) nel suo farsi concreto, nello scorrere quotidiano e inconsueto di gioie, incontri, speranze e paure. Il proprio eremo, che sia l'amata cascina isolata del Molinasso oppure Cà Sàssino con il suo giardino pieno di rose, è sempre un luogo della vita e dell'anima dove racconto e realtà convivono e si contaminano, dove lo studio e la riflessione sono impastati di vita. E dove l'ospitalità, l'amicizia, la meditazione, la natura, la libertà e il dialogo non possono che essere momenti indispensabili alla vita e alla sua complessa bellezza.
Don Andrea, don Gino, don Giacomo e don Dario credono che il Vangelo si ripeta ogni giorno nella nostra vita. Basta prestare attenzione. L'incontro con quattro preti che hanno riconosciuto la figura di Gesù tra i matti, gli handicappati, i poveri, i tossici, i carcerati. E che, per questo, si sforzano da sempre di seguire le indicazioni cristiane - semplici, ma non facili - anche scontrandosi contro la Chiesa ufficiale. Attraverso le loro storie - spesso ai limiti della povertà, della violenza e del dolore - sapremo dove hanno cercato Dio e se, e come, l'hanno trovato. I luoghi in cui si rintracciano, oggi, le parabole del Nuovo Testamento e qual è la strada da percorrere per ritrovare il senso di un'esistenza autentica e piena.
«Ecco che dopo il dolce autunno, è arrivato l'inverno. Tu sai Signore che io amo pregarti seguendo i ritmi stagionali perché la preghiera non è una petizione astratta o un parlare con te che prescinda dalla vita, dalle emozioni, dai colori che vedono i nostri occhi, dagli odori che vengono dal suolo. La nostra preghiera è immersa nella vita e non se ne può scostare».
Adriana Zarri, Quasi una preghiera
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Un calendario dall'eremo. Un almanacco pieno di odori, di alveari ricchi di miele, di rane che tonfano nelle acque dei torrenti, di feste per la vendemmia e di celebrazioni liturgiche.
Quasi preghiere da ricordare la sera, da meditare al mattino, da tenere accanto per vivere ogni giorno la vita. Pagine tenaci dove ripararsi dalle ansie quotidiane e far sentire forte e chiara la propria voce e il proprio impegno.
La preghiera è spesso intesa come un recitar formule e un domandar cose. Per Adriana Zarri, invece, le formule sono soltanto il vestito che ci mettiamo addosso ma la sostanza resta sotto. La preghiera è piuttosto un parlare portando con sé tutte le nostre interrogazioni, osservazioni, lamenti. Con dolci abbandoni e fantasiose svagatezze più ancora che con calcolate richieste.
In queste pagine c'è un interlocutore costante, un «tu». Questo tu e il Signore, naturalmente, e nello stesso tempo è un uomo vicino agli altri uomini e alle loro vite. Perchè queste non sono preghiere, ma quasi preghiere, sono un diversamente pregare. Sono conversazioni, canti, riflessioni, indignazioni e meditazioni sul mondo e sulla natura. «Perchè io amo pregare seguendo il ritmo stagionale», dice Adriana Zarri, e proprio le stagioni sono le quattro grandi articolazioni di questo libro.
C'è l'inverno con cui inizia e si chiude l'anno: i giorni sono freddi e corti, eppure l'inverno e utile e la neve è bella: «Sotto la neve pane», dice il proverbio. Già a febbraio il filo d'erba inizia a premere tenacemente sotto la cresta della terra per vedere il sole.
C'è la primavera, il momento dell'anno in cui il terreno che pareva morto rivive, il cielo cambia di colore e si celebra la Resurrezione che, come accade nella natura, è un riaprirsi alla vita.
C'è l'estate, stagione panica, in cui è bello distendersi per terra e sentire il suolo crepitare sotto i nostri corpi.
C'è l'autunno che un po'è morte e gli alberi sono spogli, ma è anche il periodo in cui si spilla il vino nuovo e si celebrano i santi. Non i santi «deboli e dolciastri», ma piuttosto quelli che tengono gli strumenti dei mestieri in mano e sono proprio come noi: «Gente che si accorge del sole che nasce e che tramonta, che vede quando viene l'inverno e ripone gli abiti estivi nell'armadio».
Quasi una preghiera è una sorta di calendario dall'eremo che, con estrema naturalezza, mette insieme le occasioni liturgiche e quelle quotidiane, perchè nel mondo di silenzio e contemplazione di Adriana Zarri il ritmo della natura e dell'anima scorre insieme. Così come Un eremo non è un guscio di lumaca, anche questo è un libro che parla a tutti: credenti e non credenti, a chi ama starsene in silenzio e a chi invece vuole far sentire alta e forte la propria voce.
In un mondo dove le parole sono "faide che mettono in croce", Mariapia Veladiano crede in quelle che fanno la differenza: le sceglie per noi, e ce le affida. Sentimenti, Opere, Parole: Mariapia Veladiano affronta il tema del dolore, dell'impossibilità di accettarlo e del timore di non sapersene difendere. E quello della paura che ci assedia, ci spinge a rinunciare, a smettere di sperare. Ci parla dell'invidia, che umilia tutti per non vedere la propria umiliazione, del giudicare gli altri che è "la nostra morte anticipata", del lavoro, perché nessuna libertà è autentica se non si è liberi anche dal bisogno materiale, del desiderio, furia di esistere, e del suo opposto, la resa. Non tace mai sul male, che fa parte dell'esistenza, eppure si può ogni giorno non farlo passare, fermarlo, chiamandolo per nome. Ma soprattutto non tace sull'amore. Per amore delle parole. Degli uomini e delle donne. Della vita.
Adriana Zarri decise nel 1975 di imprimere una svolta "radicale" alla sua vita monastica e di abbracciare l'eremitaggio. Intraprendendo una scelta di vita che privilegia la solitudine e il silenzio. Quello che con questo racconto di esperienze, ricordi e riflessioni di vita contemplativa, vuole offrirci è una particolare, concreta e umana idea di monachesimo. Una scelta di solitudine può essere infatti un luogo fecondo di incontro, il silenzio contemplativo può essere un modo di parlare più forte e meglio a tutti ed essere un luogo dove racconto e realtà convivono e si contaminano, dove "lo studio e la riflessione sono impastati di vita". Nel libro, Adriana Zarri illustra via via diversi aspetti della sua vita: dalle circostanze che l'hanno spinta verso questa decisione, all'organizzazione pratica della casa e delle sue giornate, al rapporto con la natura e il ritmo delle stagioni, alla relazione con il mondo secolare e i mezzi di comunicazione, alle paure e pericoli che nascono da una vita simile, agli animali che le fanno compagnia. Agli incontri con amici, scrittori e intellettuali, che vengono a trovarla e a discutere con lei. Ma ogni argomento, anche il più umile e quotidiano, è trattato con bonaria e umanissima ironia (e autoironia). E soprattutto diventa lo spunto per una riflessione sulla meditazione e sul silenzio necessario affinchè ognuno possa trovare la sua voce: perché "occorre avere del silenzio un concetto vitale e non formale".
Nel mondo di Chandra, dove la parola è anche immagine e poesia, meditare è anzitutto stare fermi; sedersi e seguire umilmente e con pazienza il respiro, accoglierlo in silenzio, conoscere ma senza pensare. Meditare è seguire i movimenti della nostra mente smettendo di affaccendarci in azioni, pensieri, preoccupazioni per il futuro, ricordi del passato. Meditare non è fare il vuoto intorno a noi. Anzi: è non separare i mondi, non dividere quel che consideriamo spirituale da quel che riteniamo ordinario. E i gesti quotidiani di cucinare, lavare i piatti, telefonare, pulire, leggere possono diventare forme di preghiera. È insomma stare dentro noi stessi, dentro tutto ciò che siamo in quel momento, consapevolmente. Spesso si pensa che la soluzione al dolore e all'ansia sia altrove, ma è nel dolore la soluzione del dolore (e nell'ansia la soluzione dell'ansia). Sentendolo, abitandolo, assaporandolo, non è più un estraneo, ma a poco a poco un ospite scomodo, irruente, tempestoso e infine un pezzo di noi.
Richard Holloway, ex vescovo di Edimburgo, è stato accanto a decine di uomini e donne, amici e sconosciuti, fedeli e agnostici nel momento dell'addio. E da ciascuno ha imparato qualcosa. Ora, alla soglia dei novant'anni, riflette sulla morte. Cosa ci aspetta dopo? Come non averne paura? Come non lasciarsi sopraffare dai rimpianti e dal rancore? In un mondo dove molti sembrano non voler nemmeno contemplare l'idea che la vita abbia un termine, quello dell'ex vescovo di Edimburgo è un invito a riconoscere l'inevitabilità di un momento che invece ci attende tutti. A guardare con occhi diversi il piú grande dei misteri per trovare, forse, un senso a ciò che siamo.