
Questa ricerca sull’esegesi dei padri della chiesa e dei rabbini mette in risalto un aspetto comune alle due ermeneutiche: leggere la Bibbia con la vita, non una qualsiasi vita, ma la vita del popolo di Dio che ha ricevuto le Scritture, che le conosce nella loro unità senza lacerarle, e che soprattutto le vive con amore. Attraverso questi sapienti itinerari il lettore può ritrovare quella simpatia con la fede del popolo di Dio, necessaria pure a lui per leggere la Bibbia, può riscoprire la necessità di accostarsi ai testi per realizzarli e quindi ascoltarli, mettendo così la sua fede nella Parola. Questo libro ci ricorda una verità elementare: i metodi interpretativi del testo sacro non devono mai essere uno schermo e ancor meno una scusa per evitare di lasciarsi interpellare dal testo: l’unico metodo è di prenderlo sul serio e di viverlo per meglio capirlo. Se la chiesa riscopre questo messaggio, lo Spirito le donerà una primavera spirituale, una fioritura di santi. Quest’ ora è propizia per una lettura dossologica delle Scritture e da questo deriverà una sequentia sancti Evangelii concreta: la vita dei santi (dalla “Prefazione” di Enzo Bianchi).
Macario/Simeone, noto anche come "Pseudo-Macario" o, tra i monaci ortodossi, "Macario il Grande", appartiene alla Siria-Mesopotamia settentrionale, e operò tra il 380 e il 430. Attraverso i suoi Discorsi e dialoghi spirituali, il nostro autore dà rilievo soprattutto allo stato di quiete (hesychia) nella preghiera. La sua spiritualità è scritturistica e trinitaria, per la grande importanza che vi assume lo Spirito Santo; è centrata sull'esperienza dell'anima liberata dal male attraverso l'evento pasquale, che lotta contro le passioni e le tentazioni. Nonostante la condanna ecclesiastica, i discorsi di Macario/Simeone hanno avuto una grande diffusione nell'oriente monastico, influenzando grandi autori spirituali come Isacco di Ninive e Simeone il Nuovo Teologo.
Traduzione dall'originale inglese di Maria Campatelli.
Revisione sul testo siriaco di Manel Nin.
La natura del mistero cristiano è così sorprendente che spesso è più capace di descriverla il linguaggio della poesia, dove parabola, mito e simbolo possono forse avvicinarsi alla realtà spirituale con maggior successo della semplice descrizione teologica. Sia il cristianesimo occidentale che quello orientale hanno magnifiche tradizioni di poesia religiosa che sono state indebitamente trascurate, soprattutto in occidente, alla ricerca di un tipo di teologia più cerebrale. Ma oggi tuttavia sta probabilmente per noi diventando più chiaro che proprio il poeta può essere il miglior teologo. E forse il più grande dei poeti-teologi cristiani è proprio sant'Efrem, un rappresentante del primo cristianesimo orientale, morto già più di 1600 anni fa in quello che è oggi un angolo sperduto della Turchia sud-orientale.
L’oggetto dell’edizione è un testo della fine del IV secolo, un dialogo in cui due personaggi anonimi – un ortodosso e un montanista – discutono su alcuni temi emersi nel corso della controversia tra la Chiesa dei vescovi e la setta che si rifà a Montano, affrontando soprattutto questioni trinitarie e pneumatologiche. Lo scopo è evidentemente polemico e l’ortodosso riduce al silenzio l’avversario, denunciandone l’inconsistenza della posizione, sottolineandone le incertezze e le aporie. Poiché gli argomenti addotti dall’ortodosso non sembrano sufficienti a confutare un oppositore, che probabilmente nella realtà non sarebbe stato così remissivo, è verosimile che il dialogo avesse la funzione di catechizzare i fedeli contrapponendo in maniera chiara le posizioni dei due interlocutori. Circa l’origine del testo, il favore dell’ortodosso per un’esegesi di tipo allegorico sembra escludere un’ambientazione antiochena e fa pensare piuttosto a un contesto segnato dall’influsso dell’esegesi alessandrina, quale quello cappadoce, dove forte è l’influsso origeniano. Rispetto all’editio princeps del 1905, l’attuale edizione prende in considerazione un secondo codice, il che permette di migliorare il testo in più punti.

