
Questo volume, tra i testi più noti fra gli studiosi di patristica, considera l'evoluzione della teoria trinitaria nei primi secoli cristiani, in special modo presso i Padri greci: essa infatti deve la sua origine alle ampie e laboriose ricerche condotte da Prestige sui significati tecnici e correnti, teologici e profani dei termini usuali nella patristica riguardanti la dottrina della Trinità. Attraverso un esame penetrante di parole greche (per esempio theos, oikonomia, logos, prosopon, hypostasis, ousia) e latine (monarchia, dispositio, substantia, persona), l'autore si propone di mettere in evidenza il «valore positivo e permanente dello sviluppo teologico», ritenuto come «un naturale e necessario risultato del pensiero cristiano applicato ai rudimenti della fede». In polemica diretta o indiretta con studiosi illustri come Adolf von Harnack, Prestige propone e discute il problema del rapporto fra mondo ellenistico-romano e mondo cristiano e, più in generale, il problema fra rivelazione divina, ragione umana e ambiente storico.
L'opera espone i principali misteri della fede: unita e trinita di Dio, incarnazione, passione, morte e resurrezione di Cristo.
Nei suoi Insegnamenti spirituali, di cui si presenta qui la prima traduzione italiana, Doroteo si fa maestro di vita per i suoi monaci, trasmettendo loro l'eco della tradizione ascetica e spirituale dei Padri del deserto con incantevole semplicita' colloquiale.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
1. L'obbedienza alla Parola
C'è un tratto delle omelie origeniane che è estremamente indicativo del modo con cui Origene leggeva la Scrittura, ossia, come egli stesso dice, praticava la vera ascesi:
« Chi non combatte nella lotta e non è temperante rispetto a tutte le cose e non vuole esercitarsi nella parola di Dio e meditare giorno e notte nella legge del Signore, questi, anche se può dirsi uomo, non può tuttavia essere chiamato uomo di virtù » (In Num. Hom. XXV, 5).
Il latino exerceri traduce qui il greco àskesis in senso proprio, in cui si equivalgono due elementi fondamentali e complementari: lo studio delle Scritture e la pratica costante delle virtù. Così ribadisce un passo del Contra Celsum:
« È chiaro per chi si mette a leggere (le Scritture) che molte cose possono avere un senso più profondo di quello che appare a prima vista, il quale senso si manifesta per coloro che si applicano all'esame della parola, in proporzione al tempo che si dedica alla parola e in proporzione all'impegno nello studio (àskesis) di essa » (VII, 60). Non diversamente da Origene, Eusebio parla dì « ascesi » riguardo ai divini discorsi e « nei confronti degli insegnamenti divini » e proprio riguardo a Origene dice che egli « praticava la ascesi » riguardo alla Parola (cf. Hist. Eccl. VI, III, 8-9). Con espressione e sostanza vicine al passo delle Omelie sui Numeri sopra ricordate, Metodio di Olimpo vedeva l'ingresso alla festa dei Tabernacoli, cioè alla « gioia del Signore », come frutto della fede e della « ascesi e meditazione delle Scritture » (Il Convito, IX, 4)'.
Uno degli aspetti inconfondibili di questa globale ascesi della parola e che condiziona gli altri è la obbedienza alla parola in quanto tale. Se questa è la caratteristica di tutta la lettura origeniana della Scrittura, lo è in maniera programmatica nelle omelie. Un commento biblico può essere per sua natura portato a fare un discorso a tesi, mentre l'omelia, spiegazione ecclesiale che obbedisce a una proposizione continua e unitaria della parola, rinuncia in anticipo a qualunque disegno « teologico » per esporre il puro disegno divino quale risulta dalle pagine bibliche.
Quali sono i dati di questa obbedienza alla parola? Innanzitutto c'è un dato di Chiesa, cui Origene si assoggetta e che anzi è il suo per eccellenza: la lettura continua della parola; la Chiesa annuncia, non sceglie parola, come se in essa ci fossero punti più o meno validi. Proprio la parola è un seme, va assunta in totalità: perché « ...per la parola che ora ci è stata proclamata dai libri divini: se trova un agricoltore esperto e diligente, anche se al primo contatto sembra insignificante e piccola, quando incomincia a essere coltivata e trattata con perizia spirituale, cresce in albero... » (In Ex. Hom. I,1).
La parola è tromba di guerra che scatena la lotta (cf. In Ex. Hom. III, 3) e per questo deve essere usata in tutta la sua pienezza per poter godere della sua forza vittoriosa (cf. In Ex. Hom. IV, 9). La lettura continua consente inoltre di seguire le linee della storia della salvezza nella continuità che dalla legge conduce alle fonti del Nuovo Testamento: « ...Scopriamo l'ordine della fede. Infatti il popolo è dapprima condotto alla lettera della legge e da questa non può allontanarsi fino a che permane nella sua amarezza; ma quando questa diventa dolce per mezzo dell'albero della vita (cf. Prov. 3, 18) e la legge comincia ad essere compresa secondo lo spirito, allora si passa dal Vecchio al Nuovo Testamento e si giunge alle dodici fonti apostoliche » (In Ex. Hom. VII, 3).
t bello scoprire questa espressione: l'ordine della fede. Una volta stabilita la primalità ontologica del Cristo e quindi del cristianesimo è possibile ripercorrere nel loro senso pieno gli eventi della storia biblica, inverandoli. Se questo è un tema comune a tutta l'esegesi origeniana, esso raggiunge nelle Omelie sull'Esodo alcuni spunti di rara efficacia, come nel passo celebre della Omelia H in cui la legge è vista come le fasce oscure e rozze che avvolgono Mosè, bambino bellissimo, e da cui lo libera e lo scioglie la Chiesa, la figlia di Faraone venuta dalle genti:
« Abbiamo un Mosè grande e forte: non pensiamo di lui nulla di meschino, nulla di basso, ma tutto magnifico, eccellente, bello... E preghiamo il nostro Signore Gesú Cristo di essere lui stesso a rivelarci e a mostrarci come è grande Mosè (cf. Es. 11, 3) e come è sublime » (II, 4).
Questo secondo volume commenta i capitoli 8-18 del Vangelo di Matteo.
Una ricchezza di argomenti che fa del commento, oltre che un ritratto a tinte vivissime di Paolo, una delle migliori esposizione del pensiero paolino.
Se nelle intenzioni l'opera doveva essere l'esposizione della vera teologia della Chiesa, di fatto finisce per prevalervi l'intento polemico e apologetico.
Il libro con trenta riproduzioni delle piu celebri icone di Cristo, e destinato a coloro che cercano e trovano nel mondo delle icone un nutrimento alla loro sete di preghiera e di assoluto.
Edith Stein, carmelitana e vittima della barbarie nazista perché di origine ebraica; discepola e assistente di Edmund Husserl; una delle più importanti pensatrici cristiane del XX secolo, capace di una nuova sintesi fra la tradizione classica e il pensiero moderno, è ben nota come teologa e mistica, autrice di opere di profonda spiritualità. Meno nota è invece la sua spiccata propensione verso l'educazione e la sua acuta sensibilità per i problemi inerenti il campo pedagogico. Questo volume vuole appunto evidenziare questo aspetto importante della vita e della produzione della Stein. Si tratta di 17 saggi, in parte inediti, in genere testi di conferenze tenute tra il 1926 ed il 1938, il periodo della vita di Edith Stein precedente e successivo alla sua entrata al Carmelo. Le tematiche sono tutte attinenti l'educazione religiosa e la formazione dei giovani, secondo una concezione dell'esistenza che ha di mira la persona umana nella sua totalità e integralità. La grande apertura e l'ampio respiro Pedagogico, il completamento vicendevole tra dati scientifici e indicazioni didattico-pratiche, mettono in piena luce la sensibilità della Stein nei confronti degli uditori. La struttura dei saggi ha permesso di raccoglierli secondo un criterio contenutistico che privilegia la visuale in cui l'Autrice si pone: 1. Fondamenti teorici del lavoro educativo; 2. I problemi legati alla professione dell'insegnante; 3. La vocazione della donna; 4. L'arte di educare; 5. Formazione della gioventù cattolica. Edith Stein traspare da queste pagine come un'insegnante ricca di straordinarie doti didattiche e di grande fascino. Palpabile è l'onestà del suo atteggiamento di fondo. L'educazione religiosa è per lei tutt'altro che un acritico accumulo di aride nozioni; deve invece puntare all'unità profonda fra insegnamento e vita, forgiando l'attitudine a fare della vita un continuo apprendimento. Di grande spessore risultano le pagine dedicate al ruolo della donna nella società.
Nel presente volume viene pubblicato per la prima volta il corso di lezioni - dal titolo La struttura della persona umana - tenute da Edith Stein presso l’Istituto Tedesco di Pedagogia scientifica di Münster, in Westfalia, durante il semestre invernale 1932-1933. Le questioni di antropologia filosofica - che ruotano attorno alla domanda: chi è l’uomo - sono di un’importanza centrale nel pensiero della Stein, ben consapevole delle conseguenze pedagogiche che implica tale ricerca: Sapere cosa siamo e cosa dobbiamo essere e come possiamo arrivare ad esserlo è la questione più urgente per l’uomo. Ha, tuttavia, una rilevanza ancora maggiore per l’educatore e il pedagogista. Educare significa condurre altre persone a diventare ciò che devono essere, sostiene la Stein nel volume. Ricorrendo al metodo fenomenologico di Husserl, l’Autrice sviluppa con sistematicità e coerenza il suo personalissimo pensiero circa la consistenza personale dell’essere umano e la sua natura.
Nel 397 d.C., mentre scorrevano gli ultimi mesi dell'esistenza del protagonista, Sulpicio Severo pubblicò la Vita sancti Martini. Poco dopo ne completò la trama con tre Lettere: la prima per raccontare la singolare circostanza in cui il santo era miracolosamente scampato a un incendio; le altre due per narrarne la morte e i gloriosi funerali. Alcuni anni dopo (nel 404 o nel 405), a completamento di questo dossier martiniano, uscirono dalla stessa penna i Dialoghi. Intento dichiarato di Sulpicio Severo era dimostrare la superiorità del vescovo di Tours su tutti i padri del deserto, sui quali si narravano fatti straordinari. Tra le righe si avverte soprattutto la volontà di difendere la memoria del Santo contro gli agguerriti avversari. L'apologia si estendeva anche al movimento ascetico, che da Martino era nato e al quale Sulpicio e i suoi amici aderivano, ritirati nella esclusiva tenuta di Primuliacum. I tre testi, uniti dai copisti medievali nella raccolta del “Martinellus”, godettero di grande fortuna nel corso dei secoli e furono determinanti per il sorgere e lo svilupparsi della venerazione verso questo santo.
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Con il nome di Sibilla si indicava nel mondo antico, greco e romano, pagano e cristiano, fino al Medioevo, una tipologia di profetessa invasata che per volere del dio ed in preda alla possessione divina annunciava "tristi cose". Nel passaggio dal mondo pagano a quello cristiano, le profezie della Sibilla mutano di contenuto: la Sibilla continua a profetare poiché posseduta da un Dio (ora non più Apollo, ma Jahwé); i suoi oracoli sono sempre espressi in esametri e contengono l'annuncio di catastrofi che colpiranno l'umanità che ha tradito il volere divino, ma il suo è soprattutto l'invito alla conversione, poiché solo chi si affida alla “grazia” di Dio otterrà la salvezza. La presente raccolta degli Oracula Sybillina - 4230 esametri greci divisi in 12 libri - è il risultato di epoche differenti: i primi otto libri costituiscono la sezione più antica e furono probabilmente riuniti nel VI secolo da un "sibillista" senza rispettare alcun criterio filologico o cronologico. Il secondo gruppo di libri è di carattere prevalentemente storico: presenta un congruo numero di notizie storiche e/o frutto di creazione letteraria, relative al passato biblico e alla storia dei popoli e dei regn

