
A Parma, nei primi mesi del 2011, si è svolto un corso di formazione filosofica aperto a tutti i cittadini. Un corso nato dalla scommessa che fosse possibile far emergere in tutti, indipendentemente dal loro livello culturale o dalla specialità dei loro studi, il gusto per la riflessione filosofica. I problemi fondamentali della filosofia, diversamente da quelli delle scienze, sono infatti affare di tutti, anche se nel corso del tempo hanno ricevuto soluzioni raffinate da parte di pochi esperti. Il progetto si è proposto di riandare alle sorgenti del pensiero, alle ragioni e alle domande cruciali che hanno spinto generazioni di filosofi a elaborare complessi sistemi teorici, ma che nello stesso tempo miliardi di persone comuni si sono sempre poste per orientare meglio le loro vite: nelle relazioni con gli altri o con realtà infinite da cui si sentono avvolte, nel costruire la loro identità, nel lavoro, nella politica, nella sfera della creazione e della fruizione estetica. L'ipotesi da cui è nata l'iniziativa è che potesse stabilirsi un rapporto proficuo tra la sapienza o saggezza spontanea di chi si interroga su questioni attinenti la propria esistenza e il sapere di chi coltiva gli studi filosofici in modo professionale e specialistico. Questo volume raccoglie le nove lezioni che hanno animato il corso.
«Un dotto lo chiamo ciclope […]. Ci sono ciclopi tra i teologi, i giuristi, i medici. [...] Ognuno di essi dovrebbe essere fornito di un [altro] occhio di fattura particolare [...]. Il secondo occhio è [...] quello della conoscenza di sé della ragione umana». La riflessione 903 del lascito antropologico di Kant offre l’orizzonte allo studio Dell’esistenza. Glosse allo scritto kantiano del 1762. Guardando con l’occhio di cui il ciclope è privo, l’Autrice coglie i risvolti teoretici della riflessione precritica di Kant sull’esi stenza di Dio ed individua le radici della lotta kantiana al nichilismo.
Sulla base del con fronto con le filosofie coeve a Kant, nel volume sono delineati gli albori della teoria del riferimento come primo distacco critico dall’egida del possibile logico leibniziano e dall’essenzialismo. La riflessione interna all’Unico argomento possibile sull’esistenza di Dio, cara allo stesso Heidegger, non presenta però solo una filigrana onto-teologica e teoretica, essa presta anche il fianco a riflessioni di ordine etico. Consapevole di come il problema del determini smo nell’agire morale faccia ancora discutere i filosofi continentali ed analitici, l’Autrice confronta l’argomento onto-teologico con i temi della ragion sufficiente della scuola leibniziana e wolffiana per segnalare e seguire i tentativi kantiani di differen ziazione dal mec cani cismo e dal fatalismo etico.
Nel 1921, per avvicinare i lettori alla sua opera maggiore, La stella della redenzione, che anche gli amici giudicavano di difficile lettura, Franz Rosenzweig si lasciò convincere a scrivere un testo introduttivo. Per costruirlo in modo efficace scelse la via dell'apologo, che prometteva una comunicazione più agevole con il pubblico colto, anche se avrebbe certo indispettito gli intellettuali di professione: nasceva in questo modo il volume Della comune intelligenza sana e di quella malata. La sua stessa genesi lo rende un originale momento di riflessione sulla filosofia, di cui sottolinea la «nativa» contrapposizione con l'uso spontaneo dell'intelligenza, quello che sorregge il comportamento quotidiano dell'uomo comune. In queste pagine, la cultura occidentale viene metaforicamente descritta come un paziente colpito da apoplexia philosophica acuta, innescata dal potere fuorviante della domanda (aristotelico-metafisica) «che cos'è?», e conseguentemente affetto da paralisi. Lo si potrà curare soltanto inserendolo più direttamente nella relazione con le tre grandi dimensioni entro cui si svolge l'esistenza: l'io, il mondo e Dio. È appunto questo il compito che Rosenzweig riteneva di poter affidare ad un «nuovo pensiero» ormai collocabile al di là della filosofia, la quale aveva infine compiuto (in Hegel) il suo destino, una volta attraversate le sue tre grandi fasi: l'antichità cosmologica, il medioevo teologico e la modernità psicologica.
Alla domanda "che cos'è la filosofia" - una questione che si pone tardi e di cui si può parlare solo fra amici - Agamben, in questo libro che è in qualche modo una summa del suo pensiero, non risponde direttamente, ma attraverso cinque saggi, ciascuno dei quali presenta una sorta di emblema: la Voce, il Dicibile, l'Esigenza, il Proemio, la Musa. In ognuno dei testi, secondo un gesto che definisce il metodo di Agamben, l'indagine archeologica e quella teorica si intrecciano strettamente: alla paziente ricostruzione del modo in cui è stato inventato il concetto di lingua, fa riscontro il tentativo di restituire il pensiero al suo luogo nella voce; a una inedita interpretazione dell'idea platonica, corrisponde una lucida situazione del rapporto fra filosofia e scienza e della crisi decisiva che entrambe stanno attraversando nel nostro tempo. E, alla fine, la scrittura filosofica - un problema sul quale Agamben non ha mai cessato di riflettere - assume la forma di un proemio a un'opera che deve restare non scritta.
Presentiamo la traduzione di "On a New Interpretation of Plato's Political Philosophy" (1946), di Leo Strauss. Sotto le spoglie di una lunga e polemica recensione al volume di John Wild, "Plato's Theory of Man", Strauss espone le tesi principali della sua interpretazione di Platone, un impianto ermeneutico che troverà ampia espressione successivamente, negli anni Sessanta e Settanta del Novecento, nei commentari che egli dedicherà a singoli dialoghi platonici come "la Repubblica", "le Leggi" e "il Simposio." Secondo Strauss, la filosofia di Platone coincide con un radicale scetticismo zetetico, che trova nella rappresentazione dialogica la forma espressiva più adeguata. Il Platone che Strauss ci consegna risulta tutt'altro che rassicurante, poiché ha la forza di interrogare direttamente le nostre autorappresentazioni morali e politiche, di mettere in discussione la perfetta autoreferenzialità della "democrazia moderna" - quando intesa come il migliore degli ordini possibili -, nonché di porre sotto accusa tanto il relativismo quanto il normativismo quali inadeguati posizionamenti della filosofia rispetto alla politica.
Questo libro è il racconto di un pensiero per così dire "al lavoro", in cui non si tratta semplicemente di esporre tesi o elaborare "punti di vista", quanto piuttosto di fare attenzione e riconoscere quando _ e come - gli eventi, gli incontri, le idee mettano in questione la nostra ragione, la provochino a domandare, a cercare il significato di sè e del mondo. e' solo accogliendo questa provocazione che la ragione si scopre a sua volta capace di porre e di mantenere aperte le questioni decisive per il nostro tempo.
Per questo l'inquietudine non è uno stato d'animo particolare in cui il nostro io venga a trovarsi di fronte a certi problemi, ma costituisce come la stoffa della nostra ragione, vale a dire il suo dinamismo più proprio e il suo metodo permanente. Un'inquietudine che non è solo il sintomo di una mancanza o la ferita di un'incapacità, ma anche e soprattutto il segno della presenza, in noi, di una domanda che è sempre più grande di noi.
Il volume raccoglie articoli, interventi, relazioni dell'autore organizzati in quattro sezioni tematiche (1. L'io, la razionalità, l'educazione; 2. Libertà vs verità; 3. La sfida del nichilismo; 4. Accogliere il reale, desiderare l'infinito) introdotte da un'intervista dell'autore: "L'età dell'incertezza".
Il volume prende in esame una delle tesi più originali di Enrico di Gand: quella del lumen medium, ovvero dell’illuminazione speciale concessa da Dio ai maestri di teologia per permettere loro di trasformare almeno in parte (congiuntamente all’attività di studio e di ricerca) ciò che è oggetto di fede in oggetto di autentica comprensione scientifica. La dottrina enrichiana viene analizzata a partire dai suoi presupposti gnoseologici, mettendo in luce da una parte il percorso che conduce alla fondazione della teologia come scientia prima e, dall’altra, lo statuto del tutto peculiare che Enrico attribuisce al maestro di teologia. Ma ampio spazio viene dato anche al contesto in cui la posizione di Enrico si inserisce, e cioè tanto al dibattito sullo statuto scientifico della teologia nel corso della seconda metà del XIII secolo, quanto alla controversa fortuna della dottrina del lumen medium, tra il XIII e il XIV secolo, presso l’altro influente maestro secolare del periodo (Goffredo di Fontaines) e presso alcuni dei più importanti teologi domenicani, francescani e carmelitani.
Cos'è il "sacro"? Appartiene esclusivamente alla sfera religiosa? È qualcosa che solo i credenti possono provare, oppure raccoglie in sé una serie di valori universali cui oggi - nell'epoca della "morte di Dio" - sembra difficile appellarsi? C'è un legame tra la biologia umana e la capacità di commuoversi di fronte a un'opera d'arte? Queste domande sembrano rimandare a campi del sapere lontani fra loro, se non del tutto inconciliabili, come la politica e la biologia, l'estetica e la teoria del linguaggio, la teologia e le scienze cognitive. Cimatti invece fa dialogare queste diverse tradizioni scientifiche e filosofiche, offrendoci così una tesi inedita: se è vero che al senso del sacro non è possibile rinunciare, in quanto geneticamente inscritto nella biologia dell'"animale uomo", è altrettanto vero che il sacro è un concetto storico, un prodotto della cultura umana, un'esperienza che l'uomo compie quotidianamente e che erroneamente è stata fatta coincidere con il sentimento religioso. Grazie a un approccio trasversale che accosta antropologia, logica, religione, scienza e filosofia, mistica e linguistica, Felice Cimatti affronta uno dei grandi dibattiti culturali che hanno impegnato sociologi, linguisti e filosofi, e ne dimostra - in un'epoca caratterizzata da un'apparentemente insanabile crisi di valori - l'attualità e l'urgenza.
Le pagine culturali dei maggiori quotidiani italiani sostengono che sia in atto una diffusa ripresa di interesse per la filosofia, in effetti, il recente successo di molte pubblicazioni di genere filosofico, nonché di numerosi festival dedicati all'argomento, sembra testimoniare la consistenza di questo fenomeno, il quale, peraltro, pare contraddistinto da una caratteristica indubbiamente interessante, quella della popolarità, cioè dell'ampiezza, mai sino a oggi registrata, del numero di coloro che, pur senza possedere una specifica competenza in materia, manifestano attenzione per la plurisecolare vicenda del pensiero fìlosofico. "I 100 grandi filosofi" intende rivolgersi primariamente proprio a quanti, sebbene non specialisti della disciplina, sono comunque attratti dallo sviluppo della riflessione filosofica così come si è venuto concretamente realizzando attraverso i contributi dei vari pensatori susseguitisi nel tempo.
Nella prospettiva che Metzinger difende nelle lezioni raccolte in questo volume, l'io, come scrive nell'introduzione Alfredo Paternoster, "viene a configurarsi come nulla di più di un'utile recita, una sorta di allucinazione, costruita però con materiali genuini". Sullo sfondo dell'eredità di Hume, ripresa oggi da Dennett, Metzinger delinea un ampio programma di ricerca, anche empirica, inteso a mostrare come si pervenga a una rappresentazione del sé; tale rappresentazione tuttavia non attesta l'esistenza di qualcosa come una coscienza.