
Il libro di Bloch analizza i concetti di misticismo, di chiliasmo o millenarismo, la funzione delle sette ereticali nel corpo sociale, la forma teologica della predica di Münzer nella sua “volontà spirituale di rivoluzione” che congiunge il piano dell’azione politica al rovesciamento di quei valori terreni che puntavano al consolidamento della religione di Lutero con il nuovo ordine dello stato dei principi. Münzer diventa espressione di una figura simbolica essenziale della storia: la ribellione dell’uomo all’autorità. “Il Thomas Münzer di Bloch,” si legge nell’introduzione, “eredita la giustizia apocalittica delle profezie e il cammino storico dell’uomo nel suo processo di emancipazione sociale; è storia ed è il sogno più antico, è volontà impaziente e ribelle di stabilire il paradiso: il comunismo diventa per il cristiano un dovere morale, è diritto naturale assoluto, è la giustizia sociale che il cristiano deve saper affermare sulla terra.”
Otto Adolf Eichmann, figlio di Karl Adolf e di Maria Schefferling, catturato in un sobborgo di Buenos Aires la sera dell'11 maggio 1960, trasportato in Israele nove giorni dopo e tradotto dinanzi al Tribunale distrettuale di Gerusalemme l'11 aprile 1961, doveva rispondere di 15 imputazioni. Aveva commesso, in concorso con altri, crimini contro il popolo ebraico e numerosi crimini di guerra sotto il regime nazista. L'autrice assiste al dibattimento in aula e negli articoli scritti per il "New Yorker", sviscera i problemi morali, politici e giuridici che stanno dietro il caso Eichmann. Il Male che Eichmann incarna appare nella Arendt "banale", e perciò tanto più terribile, perché i suoi servitori sono grigi burocrati.
Umberto Galimberti prende le mosse dai vizi capitali: Accidia, Avarizia, Gola, Invidia, Ira, Lussuria, Superbia. Identificati come "abiti del male" da Aristotele, come "opposizione della volontà dell'uomo alla volontà divina" nel Medioevo, come espressione della tipologia umana nell'Età dei lumi, appaiono infine come manifestazione psicopatologica nel Novecento. "E così, fuoriescono dal mondo morale per fare il loro ingresso in quello patologico. Non più vizi, ma malattie dello spirito." Alla luce di questa sequenza storica, Galimberti "ambienta" i vizi nel panorama contemporaneo conflittualmente compresi fra la funzionalità (anche del male) propria dell'età della tecnica e l'urgenza dell'etica. Segue un'ampia ricognizione su quelle tendenze o modalità comportamentali per le quali suona efficace (e impropria) la definizione di "nuovi vizi": la sociopatia, la spudoratezza, il consumismo, il conformismo, la sessomania, il culto del vuoto, la voluttà dello shopping, la dipendenza dalla merce, la meccanicità del sesso hanno a che fare con il dissolvimento della personalità. Sono di fatto la negazione del modello "vizioso". Inquadrarli come vizi fa sì che si possa parlarne, onde "esserne almeno consapevoli e non scambiare per 'valori della modernità' quelli che invece sono solo i suoi disastrosi inconvenienti".
Il volume costituisce una guida all'intera filosofia di Wittgenstein. Diviso in due ampi capitoli e organizzato in brevi sezioni e paragrafi, il libro affronta tutti i principali aspetti del pensiero di Wittgenstein: dalla sua concezione del lavoro filosofico al modo di intendere il rapporto tra filosofia e scienza: dall'atteggiamento nei confronti della modernità alla tensione etica che orienta il suo filosofare.
La felicità - si dice comunemente - è fatta di attimi. Essa transita, non la si possiede. Ammesso che questo sia vero, la felicità si possiede però quanto basta per poter affermare che esiste. E poi, è proprio vero che gli uomini sono felici nell'attimo, o la felicità, in senso stretto, si può predicare solo di un'intera vita? La felicità non è mai un problema per chi si sente felice, nel momento in cui si sente felice, ma di certo essa si muta in problema quando la si perde: da esperienza si trasforma in meta, da stato della mente volge in questione morale. D'altra parte, la felicità è il vero tema della filosofia, almeno secondo le parole di Agostino: "Non vi è per l'uomo altra ragione del filosofare che quella di essere felice".
“Sono pensieri ancora tutti da pensare”
“Il paesaggio dispiegato dalle parole nomadi è già la nostra instabile, provvisoria e inconsaputa dimora.” Perché “se siamo disposti a rinunciare alle nostre radicate convinzioni, allora il nomadismo delle parole ci offre un modello di cultura che educa perché non immobilizza […], dove è scongiurata la monotonia della ripetizione, dell’andare e riandare sulla stessa strada, con i soliti compagni di viaggio, senza nessuno da incontrare”.
Adolescenza, Alterità, Amore, Anima, Antropologia, Arte, Censura, Clinica, Corpo, Creatività, Critica, Democrazia, Dio, Dipendenza, Droga, Epistemologia, Ermeneutica, Erotismo, Fede, Femminilità, Filosofia, Follia, Gelosia, Gnosi, Guerra, Identità, Impegno, Incarnazione, Innocenza, Interpretazione, Invidia, Legge, Linguaggio, Logica, Malinconia, Memoria, Metafora, Metodo, Mistero, Mito, Mondo, Musica, Nevrosi, Nostalgia, Occidente, Partito, Passione, Passività, Peccato, Pluralismo, Politica, Popolo, Prassi, Progresso, Psicologia, Psicopatologia, Ragione, Rappresentazione, Religione, Saggezza, Salvezza, Schiavitù, Scienza, Scuola, Sessualità, Silenzio, Simbolo, Sonno, Spirito, Tecnica, Televisione, Tempo, Trascendenza, Ulteriorità, Uomo, Usura, Verità, Viaggio, Virtualità, Visione.
Achenbach è il fondatore della "Philosophische Praxis", forma principale di consulenza filosofica. Il volume raccoglie i saggi fondamentali, in cui ha presentato il suo lavoro e ne ha discusso finalità e modalità. Per Achenbach la consulenza filosofica "non si occupa dei sistemi filosofici, non prescrive alcun filosofema, non costruisce alcuna filosofia, non somministra alcuna visione filosofica, ma mette in movimento il pensiero: filosofa", quindi deve riflettere produttivamente su casi concreti. Insomma: l'aiuto che il consulente filosofico può dare a chi lo consulta non sta nel "curarlo" o nel fornirgli una "verità" preconfezionata, ma nel metterlo in grado di pensare, nel dialogo con altri.
Il pensiero occidentale è da sempre caratterizzato da un pensiero binario asimmetrico, di cui le opposizioni uomo/donna e mente/corpo rappresentano solo due tra gli assi concettuali più importanti. Si tratta di opposizioni tra termini mai tra loro equivalenti, dualismi da sempre funzionali alle pratiche del dominio: sulle donne, sulla gente di colore, sulla natura, sui lavoratori, sugli animali. La nascita del cyborg, da metafora fantascientifica a condizione umana, però cambia questo stato di cose. Perché il cyborg è al contempo uomo e macchina, individuo non sessuato situato oltre le categorie di genere. La pretesa naturalità dell'uomo è quindi solo una costruzione culturale, poiché oggi tutti noi siamo in qualche modo dei cyborg. L'uso di protesi, lenti a contatto, by-pass è solo un esempio di come la scienza sia compenetrata nel quotidiano e abbia trasformato il corpo. Se il corpo può venire trasformato e gestito, esso non è più sede di una presunta naturalità contrapposta all'artificialità e non possiamo più pensare all'uomo in termini esclusivamente biologici. Il cyborg non è quindi né macchina né uomo, né maschio né femmina, situato oltre i confini delle categorie che normalmente utilizziamo per interpretare il mondo.
Il Fedone è la storia di una morte, quella di Socrate e, allo stesso tempo, è il racconto di una nascita, quella della metafisica occidentale, che proprio nelle pagine di questo splendido dialogo vede la luce. Il racconto dell'ultima giornata di Socrate nel carcere di Atene diviene, per Platone, il luogo decisivo per tenere un altro discorso sulla morte: un discorso diverso da quelli della religione, dell'arte o della scienza, un discorso che non si limita ad inaugurare un modo nuovo di parlarne, ma si spinge fino ad intrecciare la morte e la filosofia in un abbraccio indissolubile.
Dopo il Fedone, la morte non potrà più essere, per il pensiero, qualcos'altro a cui pensare, un pensiero particolare, un determinato oggetto del pensiero. Dopo il Fedone, la morte si porrà, sin dall'inizio, insieme al pensiero. Dopo il Fedone non si cesserà di pensare alla morte che cessando di pensare.
"Uno dei primi propositi di Nietzsche in questo libro è di liberare il VI secolo a.C., il secolo della sapienza primigenia e della proto-tragedia autentica e incorrotta (dunque il secolo della sapienza tragica), affinché da quell'epoca apparentemente remota si sprigionino quei lampeggiamenti di luce necessari per vedere o intuire la contemporaneità, la quale invece (come Hölderlin aveva insegnato) brancola nella notte esperia. Ecco perché Nietzsche decide di far ritorno, innanzitutto, ai prediletti presocratici, ai pensatori dell'enigma [...]. Ma, appunto, la philosophia non è ancora nata, nel VI secolo; sta per nascere, manca poco: l'avvento definitivo del logos si avrà ai tempi di Socrate e di Platone, che il mito condanneranno e dissolveranno, coinvolgendo di conseguenza anche l'arte in questa rimozione decisiva per la coscienza dell'Occidente" (Susanna Mati). Il primo tra gli importanti libri di Nietzsche, un testo rivoluzionario nella lettura del mondo classico, che lo impose fin da subito tra i grandi filosofi dell'Ottocento, in una nuova e puntuale traduzione e con un importante apparato critico.
Alle soglie della follia, Nietzsche sosterrà di aver fatto all'umanità, con lo "Zarathustra", il più grande dono che essa abbia mai avuto: "Questo libro, una voce che passa sui millenni, non solo è il libro più alto che esista (...), ma anche il più profondo, generato dalla più intrinseca ricchezza della verità, una fonte inesauribile dove non si può calare il secchio senza farlo risalire colmo d'oro e di bontà". Perciò Nietzsche gli assegnerà una posizione preminente fra tutti i libri: "Il primo libro di tutti i millenni, la Bibbia dell'avvenire, la suprema esplosione del genio umano, in cui è incluso il destino dell'umanità". "Così parlò Zarathustra" rappresenta in effetti un unicum nella storia della letteratura e della filosofia: i pensieri più abissali (la diagnosi del nichilismo, l'eterno ritorno, il superuomo, la volontà di potenza) sono presentati al lettore non in forma teoretica, argomentativa, bensì come parola viva dell'alter ego dell'autore...
Nelle alterne vicende dell'esistenza terrena, la percezione della bellezza costituisce per l'anima un'esperienza fondamentale per l'intensità e la qualità degli affetti e dei pensieri che suscita, e per i cammini e le prospettive che può in vario modo dischiudere. Per Plotino infatti la bellezza rappresenta un elemento imprescindibile di quello che possiamo chiamare il romanzo dell'anima: racconto drammatico e insieme meditazione filosofica che ha per oggetto la vita della psyché oscillante tra i due poli dell'intelligibile e della materia, fintanto che non si produca, nella folgorazione istantanea, il contatto ineffabile con il principio primo della realtà. Dal visibile all'invisibile, dal materiale all'immateriale, dalla dimensione dei corpi al regno della mente e del pensiero assoluti, dal dispiegamento del molteplice all'unità assoluta: questo è il viaggio iniziatico cui i trattati plotiniani qui raccolti (Il bello, Il bello intelligibile e Il bene e l'Uno) invitano il proprio lettore, questa è la traiettoria di una philosophia, di un "amore della sapienza" che, giorno dopo giorno, è esercizio e pratica di sé, impegno vitale e sforzo strenuo di accedere a un altro piano di coscienza e a una diversa forma di esistenza.

