
Joseph Beuys, uno dei più importanti creatori del XX secolo, ha sempre considerato l'arte uno strumento di azione sociale, riservando un'attenzione profetica alle tematiche ambientali e di sostenibilità. Questo piccolo volume documenta la discussione tenuta dal Maestro a Bolognano, in Abruzzo, il 13 maggio 1984, momento culminante di un eccezionale lavoro artistico e filosofico, in occasione della piantumazione della prima Quercia italiana, prototipo delle 7000 Lichen di Kassel, nella Piantagione Paradise tuttora attiva a Bolognano. Per Beuys uomo e ambiente sono inscindibili e interdipendenti. Difendere la natura significa difendere l'uomo, ribaltando la logica produttivistica in favore di una creatività libera e diffusa, capace di riscattare ogni essere umano dalla sua condizione di sudditanza e di aiutarlo a ritrovare la propria identità profonda. Il testo è introdotto da un saggio di Lucrezia De Domizio Durini, storica collaboratrice del maestro tedesco e sua massima studiosa.
"Dio è presente ovunque sulla terra, e specialmente, con la sua grazia, nei cuori miti e umili. Poiché è l'Altissimo, Egli e anche l'Infinitamente Basso. Poiché è il Trascendente, Egli è anche l'Onnipresente. Gli umili e i docili sanno che Egli fa sì che tutto concorra al loro Bene, che il sassolino nella scarpa, la pozzanghera, lo scoglio e il pantano sono, per così dire, l'anticamera della sua santa Dimora. Perciò si abbandonano alla sua Volontà. E, dove questa Volontà si compie, noi viviamo sulla terra come fossimo in ciclo." (Fabrice Hadjadi)
Biancaneve, Il gatto con gli stivali, I tre porcellini, Pollicino, Il brutto anatroccolo, Hansel e Gretel, Riccioli d'Oro, Barbablù, Pic Badaluc, Giovannin senza paura, Kirikù e la strega Karabà: è possibile partire da questi racconti fantastici per indagare le riflessioni, le domande e i desideri dei bambini? Questo libro di Luigi Campagner, psicoanalista e scrittore, ha i piedi ben piantati nella quotidianità dei rapporti che si generano tra le mura domestiche, non meno che nei servizi per l'infanzia. Riscoprendo il contenuto simbolico di alcune delle fiabe più note e amate, nella consapevolezza che "ciascun testo fiabesco costituisce una possibile variazione del testo fondamentale dell'esperienza umana" (come scrive Pietro R. Cavalieri nella prefazione), il libro si pone al servizio della relazione come uno strumento utile ed efficace che, oltre a stimolare modalità interpersonali improntate alla cura e alla valorizzazione della competenza del pensiero del bambino, sa ascoltare, comprendere e guidare le ansie, gli interrogativi e le esperienze di genitori e operatori.
E se un giorno chi detiene le chiavi dell'economia mondiale prendesse le sue decisioni non solo ricercando il profitto, ma lasciandosi guidare da principi morali universali? Forse il benessere sarebbe più diffuso e nei momenti di crisi alla fine si conterebbero meno vittime... Questa prospettiva è decisamente di là da realizzarsi. Ciò non toglie che si possa cominciare a porre le basi ideali per una fondazione morale dell'economia, che abbia al suo centro l'attenzione per l'uomo e - esigenza non più rinviabile - la cura dell'ambiente. In questo libro si apre una riflessione a tutto campo che invita gli attori economici a chiedersi non solo che cosa sia più vantaggioso, ma che cosa sia più giusto fare. Questa domanda fondamentale viene via via declinata in interrogativi più specifici: è vero che tutto può essere comprato e venduto? Bene e utile coincidono? L'interesse di chi bisogna perseguire nella propria iniziativa imprenditoriale? L'avidità è il motore del progresso oppure un vizio? In quale misura sono accettabili le diseguaglianze economico-sociali? Che tipo di uomo vuole essere il businessman? Quale rapporto ha la ricchezza con la felicità? Quali valori sono in gioco nell'attività economica? Che cosa si intende per sviluppo, e lo sviluppo di chi si deve ricercare? Lungo questo percorso, a segnare i punti fermi del ragionamento, si ritrovano alcuni imperativi morali, che intendono offrire un orientamento per capire come rendere eticamente corretto il proprio agire economico. Da questa prospettiva l'etica e l'economia non sono discipline separate o addirittura in competizione tra loro, ma modalità di intervento sulla realtà in dialogo e mutua collaborazione, entrambe dirette verso il «bene», concetto che è tanto più urgente riscoprire quanto più oggi suona fuori moda e privo di significato.
Non viviamo nel migliore dei mondi possibili. Facciamocene una ragione. Le limitazioni alla democrazia, il potere dispotico esercitato sui popoli dalle istituzioni sovranazionali, la prevalenza della finanza sulla politica, sono tutti effetti prodotti dall'economia della crescita continua. Un sistema che sta giungendo alla fine e che, come un animale ferito, mostra il suo volto peggiore e aggressivo, pronto a trascinare tutto e tutti nel baratro. Per arginare questa potenza distruttrice non basta riformare il sistema, ma è necessario cambiare l'orizzonte culturale e le categorie attraverso le quali pensiamo e interpretiamo il mondo. Le grandi famiglie politiche tradizionali non sono in grado di comprendere i rischi che l'umanità corre in questa fase storica, in cui il modo di produzione industriale si sta estendendo a tutto il mondo. Destra e sinistra sono categorie del passato. E per certi versi incarnano anche parte del problema. Se vogliamo garantirci un futuro dobbiamo smetterla con la crescita. Solo una decrescita felice, selettiva e governata, può salvarci.
IL LIBRO
L’inizio del nuovo millennio non è stato facile per il cristianesimo. Se certe forme di anticlericalismo del passato sono ormai definitivamente tramontate, una nuova leva di detrattori e di critici è apparsa all’orizzonte, fomentando una violenta polemica anticristiana, che riscuote un certo consenso presso il grande pubblico. È un’offensiva che non proviene più dagli ambienti laici tradizionali, ma da pensatori più iconoclasti, che vogliono dar vita a una sorta di «ateismo » militante.
In questo libro-intervista René Rémond riflette, insieme a Marc Leboucher, sulle motivazioni di una tale ostilità e risponde alle obiezioni di questi odierni accusatori.
La sua è un’analisi lucida e precisa, che prende in esame, uno dopo l’altro, tutti gli attacchi rivolti al cristianesimo e al clero e fa emergere le diverse posizioni di laici e cattolici su delicate questioni di grande attualità, quali la liberalizzazione dei costumi, i PACS, i movimenti gay e femministi, il progresso scientifico e le conseguenti questioni di bioetica, fino ad arrivare alla Costituzione europea. Aquesto proposito la riflessione di Rémond sottolinea il ruolo determinante della religione e della cultura cristiana nella costruzione dell’Unione, un ruolo che oggi è messo in discussione da un pericoloso «negazionismo».
Ma se il nuovo anticristianesimo condanna la pretesa della Chiesa di continuare a impartire insegnamenti morali in un contesto che non è più quello di un tempo, la risposta rivoluzionaria della fede cristiana è la libertà di coscienza dell’individuo, unico vero responsabile delle proprie scelte e dei propri giudizi di valore.
L'AUTORE
RENÉ RÉMOND, nato nel 1918, è presidente della Fondation Nationale des Sciences Politiques. Storico, è autore di diverse opere di analisi politica, storia contemporanea e religiosa. Tra i libri pubblicati in Italia ricordiamo: La secolarizzazione. Religione e società nell’Europa contemporanea; La destra in Francia; Introduzione alla storia contemporanea.
RECENSIONI
Da «Avvenire», 1 maggio 2007
J’ACCUSE – «Nel suo ultimo pamphlet, che esce ora in italia, il grande storico francese da poco scomparso replica alla nuova ondata contro la fede.»
Maurizio Stefanini, «Il Foglio», 11 agosto 2007
«"Il cattolicesimo ci rende la vita impossibile!". È dall’affermazione del filosofo Michel Onfray che prende le mosse questo lungo dialogo del 2005 tra il giornalista Marc Leboucher e l’accademico di Francia René Rémond […], di cui questo testo rappresenta un ideale testamento.»
Carmen Aveta, «Roma», 6 agosto 2007
«Il testo non è assolutamente ostico, come si potrebbe pensare. Infatti, pur garantendo un rigore informativo ricco di riferimenti storici e tecnici, appare decisamente semplice e piacevole.»
IL LIBRO
Allan Bloom pubblicò questo saggio nel 1987. Dopo oltre vent’anni possiamo dire che le sue tesi, allora strenuamente combattute dalla sinistra liberal, si sono rivelate profetiche e godono di una considerazione sempre più ampia.
A giudizio di Bloom la cultura americana – ma lo stesso vale per la cultura di qualsiasi democrazia occidentale – vive dagli anni ’60 una crisi profonda, dietro un’apparenza di liberazione e creatività. Caduto il tradizionale confine tra l’accademia e la società, una miriade di rivendicazioni ha fatto irruzione nelle università, direttamente dalla società e dalla politica, scardinando un sistema senza proporne uno alternativo. Nelle nostre democrazie governate dall’opinione pubblica, la scuola non è più un’isola di libertà intellettuale, dove tutte le opinioni sono prese in esame senza restrizioni e pregiudizi, ma si è trasformata nel magazzino delle influenze più nocive prodotte dalla cultura popolare: prime fra tutte il relativismo e un malinteso senso dell’uguaglianza (il multiculturalismo), uniti in un’intenzione morale. In base a questo nuovo e pericoloso conformismo, la verità non esiste più e crederci, più che un errore, è un segno di intolleranza. Agli occhi di studenti e professori il relativismo è il nutrimento di una mente aperta, per la quale le diverse culture hanno tutte lo stesso peso, mentre le religioni non sono altro che opinioni, senza nessun rapporto con la conoscenza. L’apertura mentale si è così trasformata in chiusura: al sapere, ai valori, alle differenze, ai fatti.
Per Bloom l’università deve tornare ai classici occidentali della filosofia, della letteratura, dell’arte, della storia. Deve rimettere al centro i libri e il loro studio, perché l’apprendimento sui libri è il più grande contributo che un professore può dare ai suoi studenti. Deve rielaborare il concetto greco di educazione, che mira alla realizzazione di tutto il potenziale umano naturale e alla ricerca del bene attraverso la ragione. Ciò che è essenziale nei dialoghi di Platone può essere riproposto in qualsiasi tempo perché esiste una sola, vera comunità degli uomini: quella di coloro che desiderando sapere ricercano la verità.
L'AUTORE
Allan Bloom (1930-1992) è stato un insigne filosofo e un brillante scrittore. Ha insegnato nelle università di Tel Aviv, Toronto, Chicago, a Yale e alla Cornell University. Tra le sue opere, ricordiamo Giants and Dwarfs. Essays, 1960-1990 e Shakespeare on Love and Friendship. Saul Bellow si ispirò all’amico e collega di università Allan Bloom per il protagonista del suo romanzo Ravelstein.
"Che cos'è la verità?" è la domanda che Ponzio Pilato fece a Gesù e che oggi viene rivolta, nell'ambito di una disputatio tenutasi nella cattedrale di Rouen, a due filosofi francesi contemporanei, ben noti anche al pubblico italiano: Fabrice Hadjadj e Fabrice Midal. Partendo da punti di vista radicalmente diversi, entrambi propongono al lettore interessanti spunti di riflessione su una questione che ha attraversato la storia della filosofia, della religione, della letteratura e dell'arte, e che ciascuno è costretto ad affrontare nel corso della vita. Per Midal la ricerca della verità si inscrive nell'ambito del buddhismo, verso cui il filosofo, di origine ebraica, ha da tempo rivolto il suo interesse (ritrovandone echi suggestivi anche in Rilke e in Monet). Per Hadjadj - pure di origine ebraica, ma convertito al cristianesimo - la ricerca della verità si realizza soprattutto nell'incontro con l'Altro, colto nella sua irriducibile diversità e concretezza, di cui la persona di Cristo è l'espressione folgorante e assoluta.
La via dell'inferno è lastricata di buone intenzioni. Ed è proprio su di esse che si concentra in questo libro la critica radicale di Roger Scruton. La moderna storia europea è stata funestata da tragedie incomparabili (su tutte il nazismo, il fascismo e il comunismo). Responsabili di questi orrori sono, secondo l'autore, gli idealisti e utopisti di destra e di sinistra, che, ignorando la natura umana, immaginano un futuro inevitabilmente radioso, credono nel ritorno a un felice stato di natura (che non è mai esistito), considerano l'utopia una forza positiva della storia. Questi "ottimisti senza scrupoli" hanno in comune il desiderio di imporre, spesso con la violenza, la propria visione del mondo basata su false speranze di palingenesi illusorie: è il caso dei giacobini francesi, dei rivoluzionari russi, dei nazisti, dei comunisti, dei terroristi islamici e, in una dimensione meno tragica ma altrettanto "distruttiva", dei burocrati dell'Unione Europea, degli economisti, dei sociologi, dei politologi e dei vari esperti votati al benessere e al miglioramento dell'umanità. "Del buon uso del pessimismo" costituisce, fin dal titolo, un invito ad adottare un atteggiamento serenamente pessimistico, non dettato da una visione tetra della condizione umana, ma dalla consapevolezza dei vincoli e dei limiti della natura dell'uomo, che rendono impossibile ogni pianificazione e trasformazione idealistica della società.
Perché Péguy, oggi? Che cosa hanno da dirci le inquietudini di questo scrittore francese, "morto sul campo d'onore" un secolo fa, nella prima battaglia della Marna? Socialista, dreyfusardo, poi convertito al cattolicesimo, tradizionalista, patriota, Péguy appare agli occhi di Finkielkraut come un "profeta disperato" del malessere spirituale moderno. Animo perennemente insoddisfatto, sempre alla ricerca di una verità più grande di quella contemplata dalla scienza e dalle ideologie del suo tempo e comunque non limitata all'orizzonte della storia e del sapere umano, Péguy è stato emarginato dalla cultura di sinistra cui pure appartenne, ma di cui rifiutò dogmi e pregiudizi. Eppure, la sua riflessione sulla modernità - sulle implicazioni dell'affare Dreyfus, sul nazionalismo che avrebbe portato alla prima guerra mondiale, sui cambiamenti sociali prodotti dal progresso tecnologico, sulla scomparsa della tradizione, sul declino della religiosità, sulla miopia degli intellettuali, sulla decomposizione della famiglia - è imprescindibile per chiunque voglia capire la crisi di certezze che caratterizza il nostro tempo
Questo libro, che contiene le trasmissioni radiofoniche che Schmemann ha dedicato alla cultura russa più una serie di articoli su Solzenicyn, ci aiuta a cogliere qual è il senso delle culture e quindi anche a trovare un criterio per giudicarle. La cultura è il tessuto della comunicazione tra le persone, nasce per il desiderio di vincere il mutismo e di accorciare le distanze. Ma ci si può innamorare così tanto delle proprie forme culturali da negare il movimento stesso che ha fatto nascere la propria cultura. Questa consapevolezza diventa un criterio di discernimento e di giudizio rispetto alle culture e un percorso per esorcizzare i demoni che esse si portano dentro, per liberarsi da tutto ciò che è pietrificato per affermare il valore fondante che le ha fatte nascere.

