
DESCRIZIONE:
INDICE
«LI AMÒ SINO ALLA FINE» Pag. 5
«TU SOLO HAI PAROLE DI VITA» » 11
Il giovane seminarista
«COME UN’OSTIA CONSACRATA» » 17
Il novello sacerdote
«LA SUA TESTA ERA TUTTA UN VULCANO» » 23
Il giovane coadiutore
«SPALANCARE LE FINESTRE AL PIÙ SOLARE OTTIMISMO» » 29
L’educatore
«L’AMORE È LA FORZA PIÙ BENEFICA DEL MONDO» » 35
Al Gonzaga
«COSÌ DOVETTE GUARDARE GESÙ DALL’ALTO DELLA CROCE» » 41
In guerra
«NASCERÀ UN NUOVO TIPO DI UMANITÀ» » 47
L’attuarsi dell’ideale
«HAI EMULATO DON BOSCO, DON ORIONE, DON GUANELLA...»» 53
La fine... o l’alba
C’ERA ANCORA QUALCUNO DA AMARE » 60
«GRAZIE A DON CARLO SONO UN RAGAZZO FELICE!» » 62
Dalla prefazione del cardinale Tettamanzi
San Carlo Borromeo il 7 dicembre 1567, anniversario dell’ordinazione episcopale sua e del suo “massimo predecessore”, sant’Ambrogio, tenne nella basilica omonima una accorata omelia, ove disse: «Questa è la legge della perfezione pastorale, che il pastore spenda persino la vita, se necessario, per la salvezza del suo gregge, e sembra che più di questo non si possa fare, perché Cristo diceva in un altro passo: Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici (Gv 15, 13)».
Queste parole di san Carlo mi sono venute alla mente ripensando alla vita di Padre Clemente Vismara, che per il ministero e la benevolenza del Papa è “Beato” della Chiesa ambrosiana dal 26 giugno 2011.
Questa beatificazione, che avviene insieme a quelle di un altro figlio e di un’altra figlia di questa stessa Chiesa ambrosiana – don Serafino Morazzone, curaro di Chiuso (Lecco) e suor Enrichetta Alfieri, delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret – avviene a coronamento di questo anno pastorale, nel quale ci ha accompagnato la celebrazione del quarto centenario della canonizzazione di san Carlo
Borromeo, avvenuta a Roma il 1° novembre 1610.
La connessione delle date tra quella canonizzazione e queste tre beatificazioni non può lasciarci indifferenti: è il segno che la santità è ancora viva, è sempre viva nella Chiesa e ne scandisce il suo cammino bimillenario. Un cammino, quello della santità, sempre affascinante, anche perché assai variegato: i santi sono così diversi tra loro, eppure così simili l’uno all’altro!
San Carlo è ben diverso da padre Clemente Vismara, come questi è ben diverso dal parroco di Chiuso, don Serafino Morazzone, «tanto umile – disse di lui Alessandro Manzoni – da non sapere di esserlo». Ben diverso anche da suor Enrichetta Alfieri, che per trent’anni nel Carcere di San Vittore fu – così la chiamavano i detenuti – “Angelo” e “Mamma”.
Anche Padre Vismara fu “padre”, padre di mille e mille orfani, che raccolse nei suoi sessantacinque anni di permanenza in Birmania, come attestano le migliaia di lettere e le centinaia di articoli, ben sunteggiati in questa biografia di don Ennio Apeciti.
Struggente il grido di quel bimbo, agitato dalla febbre malarica, che dice a padre Clemente: «Guariscimi, tu sei mio padre, tu sei mia madre!», perché non aveva altri che lui, che quel missionario, che gli volesse bene. D’altra parte, padre Vismara ripeteva: «I ragazzi sono il tesoro del missionario, il missionario è il tesoro, la vita dei ragazzi».
E per essi ha amato dare tutta la sua vita, senza mai rimpianto o nostalgia o delusione, anzi sempre perennemente giovane, a dimostrarci che la giovinezza non dipende dagli anni, ma dal cuore. Si è giovani non perché si è agili nelle membra, ma perché si vibra sempre nel cuore; si vibra
vedendo un fratello che soffre, una sorella che piange, un amico – perché noi cristiani siamo chiamati ad essere non solo fratelli, ma “amici” – che gioisce.
Padre Vismara credette che la sua gioia riposava nella gioia dei ragazzi, dei poveri, dei lebbrosi che aveva scelto di amare e di servire. Ma – così facendo – padre Clemente ci richiama, ci ricorda che sono vere le parole di Gesù, quelle che san Paolo rivolgeva con commozione agli Anziani di Efeso: «Vi è più gioia nel dare che nel ricevere» (Atti 20, 35).
Era – per certi versi – quello che dicevo nel discorso di ingresso nella diocesi ambrosiana come arcivescovo il 29 settembre 2002:
«Sì, carissimi fratelli e sorelle, il cristianesimo – come diceva Paolo VI – è difficile, ma è felice! È felice perché ha come suo programma ed emblema le beatitudini, che Gesù ha proclamato e vissuto per primo (cfr. Matteo 5,1- 12). Questa nostra santità, che è la vera novità evangelica, alimenta la santità della Chiesa intera e dà la forza di operare il cambiamento della stessa società. Ed è nella prospettiva della santità che deve realizzarsi tutto il nostro cammino pastorale (cfr. Novo millennio ineunte, n. 30).
Questa, infatti, per ciascuno di noi e per tutti noi, è la volontà di Dio: la nostra santificazione (cfr. 1 Tessalonicesi 4,3). Resi santi nel Battesimo non possiamo accontentarci di una vita mediocre, vissuta all’insegna di un’etica minimalistica e di una religiosità superficiale, ma dobbiamo vivere da santi, secondo questa “misura alta” della vita cristiana ordinaria (cfr. Novo millennio ineunte, n. 31)».
Sono ancora ben convinto di queste parole e questo beato, padre Clemente, “il prete che sorrideva sempre” – come lo ricordavano – me ne dà conferma.
La santità porta gioia e felicità non solo a chi la vive, ma anche a chi la incontra: l’incontro con un santo è sempre esperienza di gioia, perché dilata l’orizzonte della vita, fa comprendere che ogni essere umano è destinato a qualcosa di ben più grande che questa sola vita che viviamo nel tempo. La nostra vita è eterna, sorpassa il tempo e lo spazio, perché è vita “divina”: c’è Dio che ci attende al termine di questo cammino. Per questo padre Clemente salutò gli amici del Gruppo Missionario di Agrate nella sua ultima lettera, scrivendo: «Vi auguro ogni bene. Ci rivedremo in Paradiso. Con affetto».
Occorre, però, che ci sia sempre qualcuno che annunci agli uomini le grandi opere di Dio, il Suo immenso amore per l’essere umano. Occorre che l’uomo lo sappia e, dunque, occorre chi Lo annunci, chi accolga l’anelito di cammino, sempre pronti a rinnovarsi, a ricominciare nel modo dell’annunciare e nel modo di servire, perché è la carità la via maestra della Chiesa, sulla quale essa incontra sempre l’uomo, che è stata chiamata a servire e ad amare nel nome e nel modo che Gesù stesso le ha insegnato.
«L’amore, in definitiva – così scrivevo nella Lettera Santi per vocazione sull’esempio di san Carlo Borromeo –, è la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano».
I santi ci hanno creduto. San Carlo ci ha creduto e ha segnato per secoli la sua Chiesa e il nostro mondo. Padre Vismara ci ha creduto ed ora i nostri fratelli del Myanmar lo sentono loro “Patriarca”, colonna della loro giovane Chiesa entusiasta.
I santi ci spronano con il loro esempio. Come san Carlo che il 16 giugno 1583 per stimolare la gente di Cannobio diceva: «Cristiano, se l’amore è incentivo all’amore, se l’amore è il prezzo dell’amore, se l’amore richiede amore, quale amore ti ha mostrato Cristo! […] Come è soave la vita
spirituale di coloro che la cercano! Chi non prova lo ignora».
Padre Vismara ci è d’esempio; ci stimola con le parole, che scelgo tra molte, scritte alla nipote Stella il 2 dicembre 1947: «La vita è bella, bellissima e ti invita a vivere, nella mia mente dire vivere è sinonimo di compiere il bene. Fatelo anche voi. Te lo assicuro, vi troverete bene»
Lui ci ha creduto. Lui ci è riuscito. Ora tocca a noi provare, e scoprire che è vero: chi dona con gioia, sperimenta la gioia.
Dionigi card. Tettamanzi
Arcivescovo di Milano
Il beato Serafino Morazzone (1747-1822), sacerdote milanese, parroco di Chiuso (LC), svolse tutto il suo ministero al servizio del piccolo gregge a lui affidato, risplendendo per umiltà, carità, penitenza, zelo per le anime. Il Manzoni, conosciutolo personalmente e ammirato delle sue virtù, volle diffonderne il ricordo inserendolo tra i personaggi della prima stesura dei Promessi sposi. La fama di santità di cui don Serafino godette ancor prima di morire, non è venuta meno col volger del tempo: i parrocchiani di Chiuso non hanno mai cessato di amare il loro "buon curato" e, persuasi della sua santità, lo hanno sempre invocato spontaneamente come "beato Serafino" senza attendere la pronuncia ufficiale della Chiesa. Questa biografia, interamente fondata sulla copiosa documentazione utilizzata per il processo di beatificazione, delinea la figura del Morazzone servendosi soprattutto delle testimonianze dei parrocchiani che lo conobbero, sperimentarono la sua carità e la sua paternità, e lo venerarono come autentico uomo di Dio.
"Oh! se si ridestasse in tutti i cuori la carità di Giacomo Cusmano. Un poco che si darebbe da tutti coloro che hanno qualche cosa, formerebbe il molto che bisogna pei poveri". Non voleva essere Giacomo Cusmano un maestro di spiritualità; e non lo è nel senso proprio del termine: non voleva, cioè, insegnare dalla cattedra che cosa significa essere cristiani e che cosa fare per raggiungere la santità. Non dalla cattedra, ma dal suo vissuto personale: più chefare un "discorso spirituale" egli comunica la sua "esperienza spirituale", quale cioè è stata la sua "vita nello Spirito" o "secondo lo Spirito"; qui il maestro è san Paolo e Giacomo ne è il discepolo attento e fedele, che condivide con gli altri i tesori che Dio gli ha posti in cuore. Il volume mostra un profilo di Giacomo Cusmano e della sua "santità"; vi è inoltre un'antologia di testi, che offre spunti di riflessione di grande spessore.
Molto spesso una biografia non riesce a far emergere tutto lo spessore del personaggio la cui esistenza viene raccontata. Questo perché ci sono aspetti che sfuggono alla logica di una narrazione cronologica, aspetti umani e personali che non possono splendere adeguatamente semplicemente enunciandoli. "Malato di infinito", un volume che riesce a fare emergere appieno la straordinaria figura umana e spirituale di don Carlo Gnocchi mettendone in luce le virtù. Una vita, quella di don Gnocchi, spesa interamente al servizio dei più bisognosi e dei più fragili, raccontata dallo stesso don Carlo e da chi ha avuto il privilegio di essergli a fianco. Le testimonianze mettono in luce un sacerdote che il Cardinal Martini ebbe a definire un "imprenditore della carità", il cui agire creativo, lungimirante, coraggioso e profetico ne ha fatto un modello di umanità cristiana. Impreziosito da una prefazione del Card. Dionigi Tettamanzi.
San Pier Giuliano Eymard (1811-1868), fondatore dei padri sacramentini, occupa un posto speciale in quello che egli chiama «il secolo dell’Eucaristia». In un’epoca segnata dall’indifferenza e dalla perdita della fede, egli apre una strada per il rinnovamento della Chiesa e della società a partire dall’Eucaristia, sorgente inesauribile della sua opera apostolica.
Questa è ora la biografia più autorevole ed esaustiva per conoscere «L’Apostolo dell’Eucaristia».
André Guitton, religioso sacramentino, è il maggiore specialista sul p. Eymard e ha dato un contributo fondamentale alla realizzazione dell’edizione integrale dei suoi scritti (Pierre-Julien Eymard, Œuvres complètes, 17 voll., Centro Eucaristico – Nouvelle Cité, Ponteranica 2008).
Terza ristampa di un'opera che fa capire nel profondo l'esperienza dei poveri e il carisma della carita nella vita di S. Vincenzo de' Paoli. Il popolo muore di fame e si danna". E' questo il grido costante che san Vincenzo ha levato per tutto il corso della sua vita. Per i poveri. Per le vittime delle ingiustizie. Per chi non ha voce, risorse, coraggio, speranza. Per chi non ha piu nemmeno le lacrime da versare. "
Il libro è una biografia del P. Salvatore Micalizzi, missionario vincenziano. Presentazione di G. Gregory Gay CM.
In questo saggio viene affrontato uno dei testi migliori della letteratura riformistica del '400, rimasto finora inedito, il 'Tractatus de reformationibus Romanae Curiae (1458) di Domenico de' Domenichi, vescovo di Torcello e, poi, di Brescia.
Memorie autobiografiche di Mons. Bugnini nelle quali lo stesso ribadisce di essere stato umile e fedele servitore" della Chiesa, del Papa, del Concilio e dei poveri. "
Nel passato la missione voleva dire portare il Vangelo ai pagani. Ma l'Abissinia era terra cristiana fin dal IV secolo come Roma. San Giustino de Jacobis comprese che prima d'insegnare doveva imparare. Invece che imporre il rito latino, si fece insegnare a pregare nel rito gee'z. È venerato come il Padre di quelle genti. La sua missione fu, come il volo della fenice, un ritorno alle sorgenti perenni del Cristianesimo.
Questo piccolo volume vuole far conoscere un testo molto speciale sul tema dei poveri: quello del grande oratore J. Bénigne Bossuet. Abbiamo così la possibilità di scoprire quanto l'autore abbia saputo interpretare bene il messaggio della Scrittura e le intuizioni di S. Vincenzo, riuscendo a precorrere le sensibilità e le attenzioni della Chiesa del nostro tempo.