
In che modo vivere il cristianesimo? Per Michael Lonsdale, attore di fama internazionale, la domanda ha una risposta semplice: come amici di Gesù. Stare alla sua presenza ricolma di gioia e pace i giorni di questo attore ottantenne, noto anche per aver recitato in "Uomini di Dio", lo splendido film sui sette monaci uccisi in Algeria.C on disarmante genuinità Lonsdale racconta la propria esperienza cristiana, facendoci gustare la bellezza di una vita dedicata all'arte, una delle vie per incontrare l'Assoluto. Ha lavorato con Ermanno Olmi e Steven Spielberg, è stato Frère Luc nel film "Uomini di dio" sui monaci martiri di Tibhirine. Qui Michael Lonsdale racconta il suo cammino di fede.
"Mi considero un poeta religioso e politico, una categoria pericolosa: quegli uomini che, se individuano un obiettivo, fanno un gran casino e coinvolgono tutti quelli che avvicinano per raggiungere il sogno". Quello di Gino Girolomoni (1946-2012), contadino e mistico, marito e "monaco", è stato ritornare alla terra, rivivere l'affetto per il lavoro agricolo come contatto vivo e vivificante con il creato. Grazie a tale passione, scaturita da un cristianesimo radicale, Girolomoni ha costruito un'esistenza intessuta di opere e incontri: la rinascita di un monastero abbandonato, Montebello, ancor oggi luogo di spirito e silenzio per tanti e tante in ricerca: "Alce Nero" (oggi "Girolomoni"), la prima cooperativa agricola biologica in Italia; i dialoghi con gli amici Guido Ceronetti, Massimo Cacciari, Sergio Quinzio, Vittorio e Rosanna Messori. E, in tempi più recenti, la lotta contro gli Ogm, "la prova vivente che esiste il diavolo". Ermanno Olmi definisce "sacrale" la missione di impegno civile ed ecologico di Girolomoni. Massimo Orlandi ci guida nella conoscenza di un autentico profeta del nostro tempo, capace di ritornare alla terra per trovare il Cielo. Un uomo che chiedeva ai suoi sodali "di smettere di esistere per cominciare a vivere". E che nel cuore portava una certezza antica: "Vedi, amico, il grano è come Gesù Cristo. Non ti tradisce mai". Prefazione di Vandana Shiva.
"Nella casa del missionario ci vive il regno animale e il regno vegetale, scarseggia il regno minerale, come il platino, l'oro, l'argento. C'è però una perla. Ci credete? La perla sono io". Così si presentava il Beato Clemente in un articolo pubblicato negli anni venti del Novecento, quando viveva a Monglin in un capannone di fango e paglia, abitato da legioni di insetti, lucertole, granchi, topi e l'erba cresceva nel pavimento di terra battuta, persino sotto la sua branda militare. Ecco, questo libro tenta di penetrare nella personalità di un tipo così originale; e nella sua "spiritualità", anche questa originale e quasi all'opposto di come altri santi vivevano il cammino verso l'unico modello, il Signore Gesù Cristo. La Chiesa ha proclamato Beato Clemente Vismara, ma com'era possibile quando sia nel seminario diocesano di Milano, che in quello teologico del Pime, i superiori volevano mandarlo via perché era "indisciplinato" e "non adatto ai sacrifici di un sacerdote"? Quando poi aveva 86 anni, padre Clemente diceva: "E pensare che nella mia vita missionario ho fatto tanti sacrifici che bastano per una decina di preti". Il messaggio di Clemente è questo: "La vita missionaria è bella, solo se la si dona". Questo libro è scritto specialmente per i giovani alla ricerca di un ideale per spendere bene la propria vita. Come Clemente Vismara, se il Signore vi chiama, non ditegli di no: avrete una vita faticosa ma piena di gioia, per aver fatto "felici gli infelici".
Una raccolta di dialoghi "immaginari" ma anche molto reali tra l'autore e 33 testimoni per raccontare le loro esistenze dedicate a Dio e al prossimo, leggendo nella loro testimonianza l'urgenza dell'annuncio cristiano per l'oggi. Si va da San Paolo a Charles de Foucauld, da Martino di Porres a Edith Stein, da Cirillo e Metodio fino a mons. Romero.
Gaetano Pollio, arcivescovo di Keifeng, nella Cina centrale, viene arrestato perché "controrivoluzionario". Accadrà lo stesso, negli anni successivi, agli altri tre protagonisti di questo libro: un documento eccezionale sul maoismo, scritto da testimoni diretti che hanno subìto lunghi anni di prigionia nei laogai. Considerati pericolosi "nemici del popolo" solo perché cristiani. La violenza del comunismo maoista contro il cristianesimo è una pagina di storia troppo a lungo dimenticata. Queste voci costituiscono una testimonianza di fede preziosa ancor oggi.
Dalla natìa Val Badia alla Cina lontana; da un'iniziale diffidenza verso una cultura "altra" - i cinesi da lui definiti "poveri pagani" - all'adesione totale al popolo cui Dio lo aveva inviato: "Desidero essere cinese anche in paradiso". San Giuseppe Freinademetz (1852-1908), prete verbita che affascinò anche Divo Barsotti, è stato un uomo afferrato dal compito di portare Cristo a tutti. Quando nel 1882 arrivò nello Shandong, i battezzati erano 158; alla sua morte, 26 anni dopo, oltre 40mila. Da queste pagine emerge un cristiano "normale" e a contempo eroico. Un missionario che per annunciare Gesù si è immerso in un mondo totalmente altro, protagonista di un'esistenza avventurosa (viaggi, pericoli, fame, persecuzioni...) in nome del Vangelo. Questo libro permette di scoprire un cristiano dalla fede bella e rocciosa come le sue Dolomiti. È l'occasione per conoscere 'un santo di grandissima attualità'. (Benedetto XVI)
"Carissimi genitori, vi racconto una storia succeduta ad un missionario qui. Un nuovo cristiano fu battutto terribilmente dal mandarino per nessun'altra colpa che per essere cristiano. Il missionario andò subito dal mandarino per liberare il cristiano. Il mandarino mandò dei manigoldi che con grandi bastoni hanno battuto quel missionario, l'hanno tirato fuori di casa, gettato a terra, gli hanno lordato la faccia con sporchezze schifosissime e l'hanno strascinato per la città, beffeggiato da una folla grandissima; minacciarono di gettarlo nell'acqua, di ucciderlo e così via. Arrivati fuori città l'hanno gettato legato per terra. Là sdraiato predicò loro per mezz'ora, poi l'hanno lasciato andar via. Non aveva scarpe né cappello, gli fu rubato tutto, il carro fatto in pezzi. Il poveretto se ne andò, camminò qua e là tutta la notte, non sapeva dove andare, la mattina arrivò mezzo morto in un luogo ove erano dei cristiani. Adesso quel missionario è guarito e sta allegro e ringrazia il Signore di averlo degnato di poter patire un po' per amor di Dio e dei cinesi. Questo missionario, che vi saluta di cuore e vi prega delle vostre orazioni, non è nessun altro che Vostro figlio Giuseppe." (Cina, 27 giugno 1889)
"La spiritualità di Freinademetz ha come fulcro i dogmi basilari del cristianesimo; per questo ha la semplicità delle cose veramente essenziali." (Divo Barsotti)
"La grazia suppone la cultura, e il dono di Dio si incarna nella cultura di chi lo riceve". Questa centrale affermazione nella Evangelii gaudium di Francesco ha un'origine precisa: Rafael Tello, nome autorevole della "teologia del popolo" e pensatore apprezzato da Bergoglio. Per la prima volta ne viene qui presentato in italiano il pensiero attraverso i suoi scritti. Tello (1917-2002) fu consulente dei vescovi argentini tra il 1966 e il 1973, consigliere del Movimiento de Sacerdotes para el Tercer Mundo e dei curas villeros, i preti - appoggiati da Bergoglio - che vivono nelle baraccopoli di Buenos Aires. Evangelizzare il popolo a partire dal popolo mediante la sua cultura, cioè i suoi linguaggi, i suoi costumi, i suoi modi di interpretare la vita e la storia. È questo uno dei punti nevralgici del pensiero di Tello, un tomista sui generis che Bianchi ci fa conoscere e apprezzare, aiutandoci a comprendere ancor meglio il magistero del papa venuto "dalla fine del mondo".
Chi era il beato Óscar Arnulfo Romero? Perché la sua vita e la sua opera sono ancora fonte d'ispirazione e impegno per tanti? A tali domande rispondono queste intense pagine di Jon Sobrino. Grazie alla conoscenza personale che egli ebbe del vescovo assassinato, attraverso lo studio dei suoi scritti e la cronaca dei tre anni (1977-1980) in cui Romero fu pastore di San Salvador, l'autore traccia un eccezionale ritratto del Monseñor Sobrino individua alcune caratteristiche che lo hanno reso unico: la sua granitica fede in Dio, la convinzione della centralità dei poveri, l'accettazione del martirio come conseguenza della difesa degli emarginati, la profezia della verità. "Romero è stato un profeta ineguagliabile - scrive Sobrino -,in lui la parola di Dio fluiva come acqua trasparente e smascherava i cuori come spada affilata, denunciava con rigore gli oppressori e difendeva teneramente gli oppressi". Queste pagine fanno conoscere e apprezzare una grandiosa figura del nostro tempo, "un uomo di Dio", come l'ha definito Francesco, il pontefice che ha finalmente riconosciuto in via ufficiale la santità di Romero.
L'esperienza della Chiesa d'Algeria negli ultimi cinquant'anni - ovvero dopo l'indipendenza del paese - ha molto da dire, nella sua singolarità, a chiunque si interroghi sulla testimonianza del Vangelo nel mondo contemporaneo, in particolare dove i cristiani si trovano in forte minoranza. La diocesi di Laghouat-Ghardaïa, nel Sahara, misura 2,5 milioni di kmq, ma conta poche decine di cattolici. Abitato come fosse una cattedrale, il deserto, al centro del racconto autobiografico di mons. Rault, diviene luogo santo di preghiera e di incontro spirituale con il fratello musulmano. Era lo stile dei monaci martiri di Tibhirine e del loro priore Christian de Chergé, al quale mons. Rault è stato legato da lunga e intensa amicizia e con il quale ha condiviso dalle origini il progetto della Ribât Essalâm, il "Legame della pace".
Padre Ezechiele Ramin non aveva ancora 33 anni quando sparse il suo sangue nel corso di una missione di pace. Lo colpirono i pistoleiros di un latifondista in Amazzonia: il prete si era spinto troppo in là nella difesa dei contadini senza terra. Era il 1985, ma oggi, a distanza di decenni, la sua memoria non si è per nulla affievolita nella Chiesa brasiliana e nei movimenti popolari di lotta per la giustizia. E neppure in Italia, dove la sua figura amica è divenuta familiare e ispiratrice per molti in cerca di un impegno evangelico di vita.
Per «Lele», missionario comboniano originario di Padova, è stata di recente aperta la causa di beatificazione.
«Sono venuto tra di voi con semplicità e amicizia, ma, prima di porre i piedi sul suolo brasiliano, avevo fatto la mia scelta preferenziale: i poveri e gli indigeni, le due categorie più sfruttate di questa terra»

