
Scritte tra il 1955 e il luglio del 1960 e pubblicate per la prima volta nel 1961, le poesie di "La religione del mio tempo" raccontano in versi un'intera società in fermento. Usando la frusta quando lo ritiene necessario, Pasolini non retrocede di fronte a nulla e utilizza ogni possibile materiale argomentativo: da quello metafisico a quello polemico, dal giornalistico al profetico, proponendo schemi e ideologie che - come spiegherà sul settimanale "Vie nuove" - "non sono solo opinioni politiche, ma sono, insieme, poetiche; hanno cioè subito quella trasformazione radicale di qualità che è il processo stilistico". In questa raccolta Pasolini riesce così a mettere poeticamente in azione tutta la sua incontenibile passione civile, un'insaziabile fame di vita e un irresistibile desiderio di capire e sentire. Prefazione di Franco Marcoaldi.
Compare, in questo volume morbido come un Notturno, una citazione di Attilio Bertolucci. Una volta tanto, i versi che poi disegnano il libro lo popolano di memorie e visioni quiete, preserali, dimostrano docilmente, per forza naturale, la loro discendenza dal quieto ed enigmatico Maestro, nella loro natura fluttuante, inafferrabile e dolcemente rievocante. Una volta tanto, perché Bertolucci è modello incompreso anzi frainteso da molti che si sentono onestamente nella sua scia, fermandosi poi al minimo della sensazione, al palpitare d'ala di farfalla, senza percepirne il ritmo lunare, la fintamente dimessa magia subliminale. Marco Vitale, che ha un background vasto, internazionale, è troppo sottilmente avveduto per non sapere che esiste una poesia apparentemente meditativa, crepuscolare, che invece dilata metafisicamente la dimensione dell'ombra, l'angoscia del tramonto, il sogno platonico della rinascita del sole, definitiva, oltre il flusso fenomenico e il triste divenire, domani, oltre, altrove: tre parole innominate in Canone semplice, quanto agognate. Morbido come velluto, il suo verso manifesta una vocazione poetica sicura e personale quanto sfuggente a ogni tentativo di catalogazione: non crepuscolare ma piena di attesa tremante, non meditativa ma immobilmente meditante: "E niente, niente che non avesse/ il peso di una neve/ benefica o una carezza/ tra il marciapiede e le stelle". (Roberto Mussapi)
Alessandro Rivali, poco più che trentenne, è già un poeta inconfondibile, importante. Intatta da ogni cedimento minimalista, o sentimentale, coraggiosa e imprudente, la sua poesia visionaria e sontuosa si staglia con la forza divampante del fuoco eracliteo: le sue visioni di Bisanzio, delle civiltà che sorgono e vengono mutate dal tempo in polvere, la ruota del destino contro cui stoicamente l’uomo combatte propongono una poesia epica, bronzea, dai bagliori poundiani, che pare attingere a certe grandi (e poco o nulla seguite) esperienze poetiche del Novecento, come quella dell’americano Hart Crane (inizio secolo) e del serbo Ivan Lalic (seconda metà del secolo). La poesia nel nodo agonico, amletico tra essere e non essere, lampeggiante di visioni e oscurata da presagi. Originario e presente il conflitto tra luce e buio, tra divenire e sospensione del tempo, appare in turbinose scene di lotta dell’uomo tra destino e divenire, travolto da un’energia spirituale spesso inafferrabile, o non percepita, o fraintesa, come un fuoco fuggente. Attingendo alle fonti della tradizione occidentale Rivali riscopre la storia (Historia), genere letterario e filosofico inventato in Occidente, come pelle, immagine del mito, come la stoffa di cui il mito è tessuto e da cui è tramato per assumere forma visibile. Ispirato dai tragici greci e dal cinema di Kurosawa, antico nella posizione morale ma mai anacronistico, il suo libro riporta nella poesia lirica il brivido dell’avventura e la tormentosa domanda sul destino del mondo, in una perenne ricerca di una luce ulteriore presente ma spesso, nel tempo terreno, inattingibile o offuscata dal turbine degli eventi.
(Roberto Mussapi)
"Nel 2003 pubblicavo in questa collana Istinto e spettri, di Annelisa Alleva, non a caso studiosa di poeti russi contemporanei, toccata anche dal magistero del più recente e grande, Iosif Brodskij. Quel libro svelava una poesia traboccante e naturale, una pienezza lirica felice e palpitante, e una cifra originale, quanto internazionale, della sua autrice. Una voce originale e inconfondibile, come conferma questo trascinante La casa rotta, una scorribanda poetica ebbra, una corsa sulla neve e in volo, rasoterra, un'esplosione dell'io lirico antico, che a volte, in molti autori, può essere convenzionale, mentre qui nulla è di convenzionale, l'io si appropria sempre e subito dell'altro, della persona a cui parla e si rivolge, da quella malata alle creature palpitanti vitalità. La voce poetica di Annelisa Alleva pare un'amplificazione della realtà psichica e sentimentale, un'amplificazione perfettamente fedele alla fonte, priva di ogni deformazione, ma capace di far suonare le corde segrete e inespresse dell'emozione. Per questo dolore e gioia si mescolano con la fulminea naturalezza con cui buio e luce si susseguono a ogni batter di ciglio. Per questo tale voce suona autentica e inconfondibile, e le sue parole dettate da necessità naturale" (R. Mussapi).
Lo Stilnovo è la prima, autentica rivoluzione culturale della letteratura italiana, pronta a sostituire alla passata interpretazione cortese e feudale dell'amore e della realtà un nuovo codice, creato da giovani intellettuali aperti a posizioni filosofiche d'avanguardia, e capaci di produrre per un nuovo pubblico una nuova poesia, paradossalmente democratica ed elitaria insieme. Questa raccolta propone un'ampia scelta antologica, da Dante stesso all'amico Guido Cavalcanti, da Guinizzelli a Cino da Pistoia, da Lapo Gianni a Dino Frescobaldi.
Con Federico Garcia Lorca, e con la sua arte colta e popolare insieme, la sua capacità di riunire in armonia la tradizione e l'avanguardia, il grande pubblico scoprì la poesia moderna, le invenzioni verbali, le analogie, gli scorci, gli impasti, le astrazioni. A settant'anni dalla sua tragica uccisione, per molti aspetti inspiegabile, escono in un unico volume tutte le poesie del massimo poeta spagnolo del Novecento. Canti che hanno raggiunto un successo popolare che soltanto l'epoca classica tributava ai poeti, elegie amorose e nostalgiche che colpiscono cuore e mente. Immagini ardite e soluzioni stilistiche innovative che impressionarono i contemporanei e che continuano a emozionare il lettore di oggi. Dal Libro di poesie al Poema del cante jondo, dal Romancero gitano a Poeta a New York o al celeberrimo Compianto per Ignacio Sànchez Mejtas, la raccolta completa degli indimenticabili versi di Federico Garcia Lorca nelle traduzioni di Lorenzo Blini, Renato Bruno e Norbert von Prellwitz che ha curato questa edizione e ne ha scritto l'introduzione, la bibliografia e la cronologia della vita e delle opere.
Questa antologia ripercorre sette secoli di poesia italiana nel solco dell'ispirazione amorosa. Gli esemplari poetici qui raccolti sono tratti dal corpus di novanta poeti, dalla scuola siciliana alla poesia simbolista e crepuscolare. Un'antologia che si presenta come uno scrigno per contenere una "scelta di fiori" della poesia d'amore. Composta secondo i più rigorosi criteri filologici, la raccolta privilegia tuttavia "l'ascolto" della parola poetica da parte del lettore e il piacere che saprà trame. Attraverso la lirica sono percorse le infinite sfaccettature del sentimento amoroso: dalla donna-angelo cara allo stilnovismo alla impudente aggressività di Cecco Angiolieri; dall'angoscia di Ariosto per un amore sempre più illusorio e precario al raffinato erotismo dei poeti barocchi; dallo sgomento di Leopardi alla segreta inquietudine di Carducci. Questo viaggio nella tensione del trasporto amoroso condurrà il lettore alla scoperta di piccoli capolavori nascosti e alla sorprendente rilettura di grandi classici della poesia italiana, fino alla "crisi" poetica del primo Novecento, alla "crisi" della donna fatale e dannunziana, all'amore di Guido Cozzano per cameriste e cocottes.
Goethe compose "Il divano occidentale orientale" tra il 1814 e il 1827, mentre affrontava la poesia persiana, la mistica islamica e la fluida ispirazione dell'Oriente. Lo definì "Incondizionato abbandono all'insondabile volontà di Dio, contemplazione serena della mobile attività terrena, che si ripete sempre in cerchio o a spirale, amore, inclinazione che ondeggia tra due mondi, tutto il reale spiegato e risolto nel simbolo." In apparenza nessun libro è più legato a questo mondo, ma poi tutto si perde nell'infinito e la storia si moltiplica nel bazar di un continuo presente. Testo originale a fronte.
In apparenza, i testi di Stella Sciacca non seguono una precisa geografia del cuore, né dell'anima. Può capitare che un paesaggio, una passeggiata, un viaggio, una stagione, un racconto origliato, un'emozione vissuta o l'amore diventino parole in versi. All'improvviso, come una urgenza. La poesia come rammendo, seguendo l'arte domestica del riparare e custodire ciò che appare logoro.
Alberto Cappi è da sempre legato ad una laboriosa esperienza della poesia come "scrittura". Come gesto, insomma, in cui il silenzio e le infinite possibilità della lingua danno vita a qualcosa di misterioso. Aprendo spazi di incontro e di conversazione profonda. La poesia come affioramento delle parole e contemporaneo inabissamento nelle avventure del significato. Pochi come lui in Italia hanno tanto viaggiato nell'esperienza dello scrivere, anche attraverso i territori del lavoro sui testi altrui, con traduzioni, scelte antologiche ed esercizio critico. In questa raccolta, dove a mio avviso spira un'aria più estrema, e se possibile brucia una concentrazione al tempo stesso più furiosa e però più abbandonata delle precedenti, troviamo il poeta impegnato nel suo decisivo corpo a corpo: con il tempo. E troviamo le figure, le presenze familiari o lontane, le icone e i fantasmi che si accalcano a un tale appassionato, suo e nostro apertissimo ring.
Un libro di spudorata bellezza, fatto di poesie "timide e scalze", che non seguono la critica alla moda e non sono pagate dai dollari del Nobel. Twardowski è riconosciuto nome di punta se pur meno noto (poichè la notorietà non era nei suoi interessi) della migliore poesia polacca, e quindi tra le migliori del mondo se consideriamo la fila che di là viene di poeti altissimi, da Herbert a Milosz, dalla Hartwig alla Szymborska. Le sue poesie hanno una forza prodigiosa e chiara. Sia che presentino un colloquio con le creature della natura, sia che sottointendano i tanti drammi normali di tutti noi a riguardo dell'amore, della morte, e delle domande che agitano i cuori umani, queste poesie vivono di una grazia violentissima e gentile. Esatte nelle loro illuminazioni straordinarie, a cui l'ironia da a tratti i bagliori di uno splendore feriale, le poesie di Twardowski si sono affermate come punto di riferimento per tanti lettori e gente comune. La sua fede bambina e potente, semplice e sensibilissima alle sfumature della vita, non è innanzitutto un tema, ma l'aria in cui vibra una voce carica di umanità e simpatia per la condizione di tutti noi. Così che questo libretto diviene quel che la poesia rivela d'essere quando è veramente grande: un dono inaspettato e preziono

