
"La poesia di Péguy è mistica e popolare. Lo si vede anche in queste pagine apparentemente 'minori' e invece capaci di accensioni di brio, di sperdutezza. Voce che parla di qualcosa che riguarda tutti...". (Dalla prefazione di Davide Rondoni)
Più famoso come romanziere, fin dal fortunato esordio con “Cercando l’Imperatore” - uscito da Marietti nel 1985 e poi ripubblicato da Garzanti e nella Tea - Roberto Pazzi è anche poeta, avendo iniziato la sua carriera letteraria con la prefazione di Vittorio Sereni alle sue prime poesie, nel 1970. Lo scrittore ferrarese - tradotto in venti lingue, vincitore di alcuni dei più prestigiosi premi, come il Grinzane Cavour con Vangelo di Giuda, il SuperFlaiano e il Comisso con Conclave, due volte premio Selezione Campiello con Cercando l’Imperatore e Incerti di viaggio e due volte finalista allo Strega con La principessa e il drago e La città volante - non ha mai abbandonato la poesia e, nel 1987, ha vinto il premio E. Montale, con un volume uscito da Garzanti, Calma di vento.
Nato a Navacchio [Pisa] nel 1914. Professore di letteratura moderna e contemporanea nell'Università di Firenze, ha pubblicato numerosi saggi critici, tra cui: Il senso della lirica italiana (1952), Leopardi (1962), Poesia italiana del Novecento (1965), La poesia come funzione simbolica del linguaggio (1972). E' stato un poeta, maturato nel clima dell'ermetismo fiorentino: La figlia di Babilonia (1942), Il corvo bianco (1955), Torre di Arnolfo (1964), Stato di cose (1968), Antimateria (1972).
Libro intenso e inquieto, la raccolta di poesie un tempo disseminate, il canzoniere di al-Hallaj offre al lettore l’occasione per entrare nel difficle mondo della mistica sufi. L’autore fu un mistico martire, una personalità affascinante e strana. I tratti del suo rapporto con la Divinità richiamano in molti punti il Mistero che si era compiuto in Cristo. I versi sono una tensione estrema al vero, indicibile e nominato in Allah. Sono versi di una preghiera che si fa viaggio di conoscenza, offerta amorosa, chiamata al finale disegno della Unità. La forza poetica del testo, analogamente a quanto avviene per l’altro grande poeta mistico dell’Isalm, Jalal ad-din Rumi, sta nella ripetizione che è avvolgimento, nella durezza che è decisione, e nella documentazione scabra e alta di un rapporto personale con l’Altissimo. Un autore, dunque, la cui “autorevolezza” non consiste nella letteratura e nei suoi percorsi, ma nella forza esistenzale di una esperienza, accesa di una religiosità estrema e con una particolare e straziante dolcezza.
Qui lampeggiano, nella foschia veneta e nel ricordo di molti viaggi, i frammenti di una vicenda personalissima. E però il mondo, le città, i tasselli luminescenti di una società tra deriva e desiderio, entrano, eccome, nella trama di pena individuale. Così il libro di Broggiato, fedele alle note lanciate dalle migliori voci della poesia novecentesca italiana e non solo, ci consegna da un lato il ritratto di un uomo che non ha pudore a dire “io” e a mettere in scena i suoi strappi, i pentimenti e le ferite, dall’altro una mappa del presente colto in alcune città emblematiche nei diversi angoli del mondo, e nel viaggio che le unisce. Non aspettatevi cose strane da Broggiato, ma seguite questa voce che azzarda con la sola nuda poesia a ricomprendere se stessi e le strade del mondo. C’è una volontà narrativa. Le favole antiche a cui ogni tanto ricorre Broggiato confermano che qui siamo via da una idea breve di lirica. Ma il verso misurato, le sapienti fratture del testo, il corpo slogato confermano che c’è della musica, la ricerca di una canzone, di una voce a cui consegnare i giorni, nelle foschie e nei silenzi in cui si vela il mondo, e si rivela. (Davide Rondoni)
Della voce di questo poeta colpisce il riuscito amalgama tra sincerità e visione. Il curvarsi e ricurvarsi sui fatti e sui dettagli di una intensa autobiografia non porta mai lo sguardo del poeta – e il nostro con lui – a un vano indugio, o peggio a certa diffusa compiacenza. Poesia confessionale, direbbero gli americani, riferendosi alla urgenza di confidare traumi, dolcezze e minime epifanie di una sofferta quotidianità. Ma qui c’è di più. Come indica il titolo, il cosmo intero qui comunica il proprio allarme per un destino singolo e però esemplare. L’allarme per che fine può fare un uomo che si sente gettato nella vita senza la coscienza chiara di una paternità e di una crescita affettiva verso il mondo. Agisce, a livello testuale e sotto la vitalità esperta e sommovente dei versi di Fossati, un cortocircuito tra voci apparentemente lontane, come Sereni o Quinzio. Ne viene uno spettacolo intenso, una voce che chiede la nostra corrisposta sofferenza, e la nostra febbre di gioia. E che obbliga la nostra inquietudine a farsi viva, dai luoghi anche letterari dove amiamo spesso tenerla separata. (Davide Rondoni)
GLI AUTORI
VALENTINO FOSSATI (Genova 1974) vive a Chieri, vicino a Torino. Si è laureato al DAMS di Bologna con una tesi sulle antologie di poesia italiana dell'ultimo Novecento. Sue poesie e scritti sono apparsi su varie riviste. Ha lavorato per il Centro di poesia contemporanea dell'Università di Bologna e, nell'ambito della ricerca sociale, per l'Università di Torino. Gli allarmi delle stelle è la sua opera prima.
Un libro che parla di cartoni animati e di miti antichi, di amore e di Dio, di esaltanti minuzie e di grandiosi segreti. Insomma di poesia. In questo libro il colloquio procede gentile, e sprofondando. Oppure mostrando improvvisamente rupi e vaste mareggiate. Provocato, e a volte sapientemente braccato da Marco Dell'Oro, Roberto Mussapi attinge alle cavità e agli incanti da cui nasce la sua poesia per trarre materia di riflessione e di acquisizione. Tessendo con fili a volte sorprendenti i legami tra millenario lavoro dei poeti e le questioni attualissime del vivere e della cultura. Legando, con percorsi mai scontati, le grandi domande sul sacro e le scoperte e le inquietudini dell'uomo contemporaneo. Così entriamo in un colloquio che qui si realizza tra il poeta e l'osservatore, i cui frammenti però vivono e urgono intorno a noi. Ancora una volta i poeti parlano autenticamente di quanto nella nostra vita vorrebbe aver più voce, meno dispersa. A ciò che segretamente splende. Davide Rondoni
Poesie che nascono da una dolce ossessione, da un dialogo, da una specie di follia. Claudio Damiani è uno dei più importanti poeti italiani e qui compie un gesto rischioso e forte. E compie, al tempo stesso, il gesto alto e umile della grande poesia: metter la propria voce a disposizione di altre voci, di altri uomini. Affascinato fin da ragazzo dalla poesia cinese incontrata sulla traduzione del sinologo Martin Benedikter, il poeta romano ha sentito crescere in questi decenni la forza di quella letteratura così remota e pur consona a certi classici della nostra latinità. Così queste pagine, che colgono in testi stupefatti e profondi gli elementi minimi e vitali dell'esistenza, ci giungono come frutto speciale di un dialogo naturale tra ere e uomini, tra cuori antichi e contemporanei. Una prova d'autore, nel senso più duraturo del termine, meno legata all'enfasi individualistica della firma e ricca invece della personale scoperta delle dimensioni del tempo.
Davide Rondoni
«Ho amato la poesia cinese come qualcosa che mi spingeva oltre il mio tempo, in un futuro antico che m’appariva come un sogno, che m’avvicinava i giganti della poesia cinese (Po chu-i, Li Po, Tu Fu) ai calmi, sereni giganti dell’elegia latina ( Properzio, Catullo, Tibullo). Ho visto nella poesia cinese una poesia della terra, perfettamente oggettiva, senza il bisogno di nessuna metafora. Grande poesia della terra, della sua calma, della sua gloria».
Dalla premessa dell’autore
GLI AUTORI
CLAUDIO DAMIANI è nato nel 1957 a San Giovanni Rotondo da padre toscano dell'isola d'Elba e da madre romana. Vive a Roma dall'infanzia. Ha pubblicato le raccolte poetiche Fraturno (1987), La mia casa (Firenze, 1994, Premio Dario Bellezza), La miniera (Roma 1997, Premio Metauro), Eroi (Roma, 2000, Premio Aleramo, Premio Montale, Premio Frascati), e Attorno al fuoco (Roma, 2006, finalista Premio Viareggio, Premio Mario Luzi, Premio Violani Landi, Premio Unione Scrittori). Sue poesie sono apparse su varie antologie italiane e straniere. Ha curato i volumi: Almanacco di Primavera. Arte e poesia (1992); Orazio, Arte poetica, con interventi di autori contemporanei (Roma, 1995); Le più belle poesie di Trilussa (Milano, 2000). È stato tra i fondatori della rivista letteraria “Braci” (1980-84). Collabora con vari giornali tra cui la cronaca di Roma di "Repubblica".
Pierre Oster, nato nel 1933 a Nogent-sur-Marne, vive ed opera a Parigi. Nel 1954 pubblica Premier poème in Mercure de France. Inizia molto presto la sua collaborazione alla Nouvelle Revue Française. Le sue prime raccolte di poesie: Le Champ de mai (‘55); Solitude de la lumière (‘57); Un nom toujours nouveau (‘60); La grande année (‘64); Les dieux (’70) Paysage du Tout 1951-2000 pubblicato da Gallimard, è il titolo della recente antologia.
Prefazione di Franco Buzzi Presentazione di Mario Furlan «Apro questo libro di poesie e mi trovo immediatamente immerso nel mondo della natura e dei sentimenti umani più genuini. Il poeta abita “sotto il cielo“ che contiene tutto: colori, nuvole, venti, voli d’uccelli, montagne, foglie, fiori e farfalle, spiagge, mari, il sole radioso e la bianca luna con le stelle, piogge torrenziali, tempeste e neve, albe e tramonti. Ma il poeta senza fissa dimora conosce bene anche la disperazione di chi si lascia andare e cerca evasione sulla strada senza ritorno della droga che uccide: pieno di umana compassione contempla quel corpo esanime che viene raccolto – quasi come spazzatura – dal marciapiede, quel giovane volto rinchiuso nella sua giacca a vento e portato via, in silenzio, tra l’indifferenza di tutti. Il pensiero corre al sordo dolore di una famiglia. Tra l’altro, in tutti questi testi poetici, gli affetti familiari restano sempre saldi e fanno da solida cornice a tutti i drammi dei protagonisti». (dalla prefazione di Franco Buzzi)
«Sono nato a Calosso, in provincia di Asti, nel 1937. Terminate le elementari sono andato a studiare nel collegio dei Domenicani a Carmagnola: volevo diventare sacerdote. A quindici anni ho ricevuto l'abito di frate... Ma l'anno 1955... Ero abituato che a metà settembre i miei genitori venivano a trovarmi... una piccola festa. Ma quell'anno, anziché la loro visita, arrivò verso fine settembre una lettera di mio padre, con due parole sibilline terribili: è destino che la mamma non possa venire. Più tardi venne lui, da solo, a portarmi la realtà, tremenda: la mamma ha un cancro allo stomaco. Aveva quarantacinque anni. Di mia madre mi rimanevano le lettere, poche: quelle di quell'anno, e le successive. Il contenuto delle pagine che seguono è costituito principalmente da queste lettere e dalla vicenda che esse scandiscono. Vicenda che a sua volta racconta come è possibile e cosa significa soffrire con amore». (dalla presentazione di Pier Paolo Ruffinengo) «Parole sussurrate. Parole di pianto urlate, oppure taciute; pronunciate o scritte, contro le quali nessun transito estremo nulla potrà. Forse ancora segrete; o smarrite. Esse custodiscono: sempre. Ritrovarle. Donarle a mani aperte. Conobbero. Hanno il sapore della terra. La nudità della terra che le nutriva le rivestì della sua forza. Questa terra dai colori dell'uva moscato, bella, che sembra un mezzogiorno d'agosto». (dall'Invito di Fernardo Bibollet)
"Gli haiku saettano come smussate freccioline che c da un mondo simile a quello di Alice, ma dotato di una sottile, intricata coerenza che non è soltanto il rovescio dello specchio delle nostre coerenze. Sono spiragli da cui filtra qualcosa di accecante e insieme di carezzevole, sono cuspidi elastiche di qualcosa che deve restare sommerso, per noi (e forse per tutti), ma che pure sentiamo necessariamente nostro. (...) Gli haiku hanno quasi l'aria di "scusarsi" dell'esserci, se l'esserci comporti una qualche violenza sull'essere-puro e sul lettore-puro, se comporti una seduzione troppo viscosa per darsi come eleganza, un giro logico che voglia catturare, vincolare, piuttosto che aprirsi appena in sollecitante enunciato, in ammiccante moto di palpebra." (Dalla presentazione di Andrea Zanzotto)

