
Si può chiudere l’infinito in una bottiglia, in una scatola, in un recinto? No, ma lo si può sciogliere, celebrare, cantare, intrappolare e consegnare al futuro in 15 endecasillabi. Immortali. Per celebrare i 200 anni dalla composizione, in una preziosa edizione di “L’infinito”, la più celebre lirica di Giacomo Leopardi, con le illustrazioni di Marco Somà e un testo inedito di Daniele Aristarco, un commento per accompagnare i giovani lettori lungo i versi di questo capolavoro della poesia.
Sono rare le opportunità nelle quali fermarsi e riflettere non diventi un richiamo del fare e del dire di luoghi comuni. La raccolta di pensieri di questa opera apre in modo originale e semplice una porta trasparente, quella di una coscienza dove il grande spirito e il piccolo uomo s'incontrano al di là dell'afflizione e della morte, sia fisica che interiore. Sono orme che tracciano confini per essere nei luoghi del sorriso, dell'ironia dove risplende il sole e rispecchia la luna, di chi non si accontenta delle briciole, né tanto meno del potere della ricchezza materiale o culturale.
In occasione del VI centenario della nascita di Pio II (2005), sono state evidenziate numerose prospettive tese a sottolineare i molteplici aspetti ecclesiali, politici, sociali e culturali che sono sorti attorno alla figura di Enea Silvio Piccolomini. In concomitanza con i 550 anni della morte (2014) altre iniziative culturali contribuiscono a sottolineare la figura di Pio II che ha saputo incoraggiare persone valide come Giovanni Pietro Arrivabene. La presente pubblicazione è una primizia, in quanto per la prima volta il testo è affidato alla stampa; inoltre l'edizione offre un contributo per comprendere meglio quella pagina di letteratura umanistica che caratterizza il sec. XV e che permane anche per l'oggi un punto di riferimento. È il periodo in cui la cultura continua ad essere affidata ad un'espressione latina secondo uno stile per alcuni aspetti ridondante, ma per altri ancorato al bisogno di rifarsi a quella classicità che cerca di permeare le menti più sensibili. Il rapporto di cittadinanza che intercorre tra l'Arrivabene e Virgilio, ambedue di Mantova, permette di cogliere una sintonia che traspare in modo variegato attraverso il ritmo della poesia.
Uno sguardo, quello che l'autrice ci invita a condividere, capace ancora di lasciarsi sorprendere, interrogare da quanto di inspiegabile, di non manipolabile, di straordinariamente misterioso la vita manifesta disattendendo ogni nostra previsione...
L'elegante volumetto ripropone la raccolta di liriche concepite e scritte a Pasturo dalla poetessa Antonia Pozzi, pubblicate postume per la prima volta nel 1954 e oggi arricchite con altre poesie e una serie di fotografie scattate dalla stessa Pozzi. Il coordinamento editoriale dell'opera è di Onorina Dino, custode dei manoscritti della poetessa e sua maggiore interprete. La raccolta è stata impreziosita da una cura particolare dei caratteri grafici e tipografici (progetto di Paolo Vallara), per una veste estetica essenziale ed elegante: alle liriche raccolte nelle pagine corrisponde così la poesia insita nell'oggetto-libro stesso.
"Rileggendo queste poesie mi sono accorto con sorpresa di avere avuto una storia sentimentale e non soltanto un amore. La differenza è piuttosto grande: un amore nasce, ha un'intensità, sfiorisce, muore, può e non può dare un colore a tutto il resto. La storia sentimentale rimane invece anche dopo la fine, e l'uomo, il mondo, la parola, i vigili urbani, le prostitute, i sassi vivono in funzione di quella speranza prima, di quel ricordo poi; non solo, ma si trasformano. Ogni valore, ogni sensazione nasce, ha un'intensità, muore nella speranza prima, nel ricordo poi. Le poesie qui contenute sono state composte per la maggior parte nel '62-'63, altre nel '61, poche nel '60 e nel '64. Seguendole cronologicamente si può afferrare l'accavallarsi e il prevalere ora di questo ora di quel motivo, secondo una logica (o più spesso secondo una non-logica) che è di tutte le manifestazioni umane. La tecnica non è essenziale. Quello che vale, oltre ogni altra considerazione, è non la musicalità, questo o quel tema, la poesia stessa; ma proprio il lungo viaggio, quella coscienza di diventare uomo acquistata gradualmente, soffrendo (come tutti d'altronde), quella consapevolezza di un distacco continuo da alcuni momenti per altre stagioni. E questa umanità, profonda, la raggiungo appunto attraverso un amore sfortunato, un lento incontro che si trascina a morire nella sua propria, semplice, esclusiva poesia, nel suo concetto troppo spirituale e idealizzato per essere realtà."
Con la sua poesia a un tempo gentile e arguta, umoristica e commovente, lieve e meditabonda, Billy Collins è stato dopo Robert Frost il primo poeta americano capace di ottenere il consenso della critica e di un vasto numero di lettori. Poeta laureato degli Stati Uniti dal 2001 al 2003, voce nota per le sue letture di poesia alla National Public Radio, insegnante di letteratura nei college americani, Collins conosce le difficoltà che i giovani e i lettori meno iniziati incontrano quando affrontano un testo poetico, ma conosce bene anche il loro bisogno di poesia. I suoi versi, come quelli di Prévert, di Lorca, di Neruda, rispondono a questo bisogno e ci conducono al centro di un mondo guardato spesso con sospetto. La poesia di Collins, con ironia e leggerezza, manda in pensione le formule vuote della poesia di maniera, le allegorie pesanti e concettose, le oscurità fini a se stesse, e osserva, con uno sguardo disposto alla sorpresa, gli oggetti quotidiani, facendoli parlare in modo nuovo con parole discrete, medie, in un registro piano e defilato, con un ritmo e un tono vicini alla lingua americana parlata. E quegli oggetti quotidiani diventano il pretesto per una calma, godibilissima e lirica meditazione sulla vita, e non solo.
La poesia d'amore orientale presenta, come caratteri peculiari e distintivi, un distacco dalla soggettività, una leggerezza, un sereno tono impersonale, una ritualità reiterata che l'Occidente cristiano, drammatico, tormentato dall'idea di peccato e teso alla ricerca di tutto ciò che è interiore, ha intravisto solo in rarissimi casi. Perché il poeta orientale è sempre anche un mistico, un saggio, un veggente; e l'Amore di cui parla è la sintesi suprema di Amante e Amato, qualcosa di vicino a Dio, o Dio stesso.
Il Pervigilium Veneris, un componimento adespoto e non datato in 93 settenari trocaici, descrive la veglia di una festa religiosa, che si terrà in Sicilia, a Ibla, in onore di Venere, la dea che promuove l'amore concorde e della quale si tessono gli elogi. Il carme si apre con l'esaltazione della primavera e dell'amore e il poeta, con soave abbandono, canta le gioie della primavera congiunte con le gioie dell'amore: il verso che proclama l'imminenza e l'universalità dell'amore, cras amet qui numquam amauit quique amauit cras amet, apre e sigilla il carme, scandendo anche le dieci strofe che segnano i tempi del rito e del mito; ma nella chiusa il poeta, con malinconica sensibilità, oppone alle immagini di amore totalizzante la propria condizione di persona esclusa, negata alle feste dell'amore e del canto, che non sa farsi rondine e recuperare la gioia del canto. Con sottile malinconia, che lo rende incredibilmente attuale, si chiede quando verrà per lui 'primavera', quando potrà anche lui porre fine al suo silenzio. Il carme, in cui si mescolano temi popolari ed erudizione letteraria, elementi linguistici del sermo vulgaris e preziosismi lessicali, è stato attribuito agli autori più diversi, da Catullo (I sec. a. C.) a Lussorio (VI sec. d. C.): forse nessuna opera, alla ricerca del suo autore, ha mai oscillato per sette secoli. Del Pervigilium Veneris si fornisce qui l'edizione critica con introduzione, traduzione e commento.

