
"Scrivo questa storia perché le persone che ho amato sono morte. Scrivo questa storia perché quando ero giovane avevo una grande capacità di amare, e ora questa capacità di amare sta morendo. Ma io non voglio morire." Inizia così il racconto in prima persona di Hannah, una trentenne israeliana, studentessa di letteratura ebraica, sposata ad un geologo, Michael Gonen, che ha conosciuto all'università e da cui poi si allontana fino a concludere che "qualcosa è cambiato in questi tristi anni".
La Cambogia è stato uno dei grandi amori di Tiziano Terzani. La storia di questo piccolo regno, che custodisce al suo interno i misteriosi templi di Angkor, divenne per lui emblematica della storia dei paesi dell'Asia travolti nel corso del XX secolo dai giochi delle grandi potenze (USA, Cina, URSS). Terzani visitò più volte il Paese tra il 1972 e il 1994, divenne amico del suo re e nemico indignato degli assassini khmer rossi, per denunciare infine come ipocrita e immorale anche l'operato di pace da parte delle Nazioni Unite. Il libro, fondato sui reportage di Terzani dalla Cambogia, contiene anche il racconto scritto in prima persona della sua cattura da parte di combattenti ragazzini, dell'attimo in cui si salvò la vita con una risata - come amava raccontare - e circa cinquanta fotografie originali, scattate spesso da lui stesso.
Cinico impietoso grottesco struggente autoritratto di un John Fante alle soglie della maturità. Quattro figli scansafatiche dediti alla marjuana e alla musica di Frank Zappa, una moglie annoiata, una gloriosa casa a forma di ipsilon sulla costa dell'oceano: la vita di Henry Molise, scrittore cinquantenne in crisi di ispirazione sembra destinata a una quotidianità prevedibile fatta di litigi e rappacificazioni domestiche, quando una sorpresa, un vero dono dal cielo, si unisce alla sgangherata famiglia: un gigantesco cane testardo, ottuso e frocio, il cui nome è un'iscrizione sepolcrale: STUPIDO. Con lui il tran tran di Molise scivola verso una allegra tenerissima catastrofe.
Nella vita di una vedova insoddisfatta e della bella figlia adolescente, in una torpida cittadina americana senza nome e senza tempo, fa irruzione l'eccentrico e affascinante erpetologo Mitchell Flach. Porta con sé una passione insolita, un irridente anticonformismo, e un piccolo serpente selvatico. E ogni equilibrio minaccia di esplodere. Partito dagli Stati Uniti per l'Europa, T. M. Rives ha viaggiato tra Francia, Spagna, Romania e Danimarca, imparando molti mestieri e molte lingue, non ha più fatto ritorno in America e questo suo primo romanzo è stato pubblicato per la prima volta in Francia.
Le donne che tessono la trama di questi otto racconti sono spesso osservate nel punto di svolta della loro vita. Avvenimenti dimenticati, sogni ad occhi aperti, incontri fortuiti squarciano all'improvviso l'orizzonte e ci conducono in territori lontani e di frequente ignorati. Il sogno d'amore che Louisa vive in tempo di guerra e viene infranto quando la vita riprende il pacato ritmo quotidiano riaffiorerà con forza in un momento inaspettato. L'intraprendente Gail assume una nuova identità per scoprire cosa le ha sottratto un rapporto che credeva assai radicato. Durante una gita, una delle ragazze di un college femminile scompare misteriosamente. Non verrà più trovata, ma qualcuno sarà in grado di decifrare l'enigma legato alla sua sparizione. Così le emozioni profonde annidate nell'animo dei personaggi cercano la loro strada sotterranea, nella complessità dei rapporti umani, per emergere alla coscienza in improvvisi lampi di luce e diventare segreti svelati.
Tutti i grandi temi della ricerca letteraria di Mishima sono rappresentati in questi racconti: il mito della bellezza, l'equazione violenza-bellezza e bellezza-morte, l'erotismo, il rifiuto della decadenza spirituale del Giappone moderno, il rimpianto per un mondo tradizionale puro ed eroico che trova nel samurai la sua espressione spirituale più alta, l'orrore per la decadenza fisica, il rifiuto di vivere in un mondo privo di valori che non siano quelli del benessere materiale e del successo.
È la fine degli anni Sessanta e Mark ha preso la sua decisione. Partire per costruirsi con le sue mani il mondo in cui vuole vivere. Via, verso le distese del Canada, la Columbia Britannica, con la sua compagna Virginia, il cane Zeke e Car Car, il suo maggiolone Volkswagen. Lontano, per realizzare quello che è il sogno di molti suoi coetanei: fondare una comune-fattoria. Lentamente, con l'aiuto degli amici e degli ospiti di passaggio, il desiderio prende forma, e la fattoria diventa un piccolo Eden, distante da tutto e da tutti, a venti chilometri di barca dalla strada più vicina e dalla modernità della corrente elettrica. Ma poco per volta la realtà comincia a confondersi con il sogno, con l'immaginazione, con l'incubo. Mark perde sempre più il controllo dei propri pensieri e viene sopraffatto da sensazioni e paure irrazionali. Fino a entrare in un mondo confuso, incomprensibile. Schizofrenia. Un mondo distorto che lo attira a sé e lo respinge, che lo rapisce e lo illude.
Forse non tutti sanno che Maurizio Maggiani è anche un valente fotografo. In questo libro dedicato a Genova, Maggiani esplora con il suo obiettivo i luoghi che coincidono con la memoria della città e al contempo con la memoria che lo scrittore ha del suo rapporto con la città. Lo scrittore parla di una visione quasi onirica di Genova, parla di una città che gli è comparsa davanti progressivamente quando da bambino è arrivato da Levante con i genitori per un periodo di degenza in ospedale. Quella visione segna molta parte della sua maniera di "guardare" alla città e di raccontarla. Non ci sono molti monumenti in questo volume. O almeno non i monumenti canonici. Ci sono Sampierdarena e le sue fabbriche, ci sono i vicoli che salgono dal porto, ci sono l'area collinare e il mare-operaio. La stessa cosa accade un po' per la parte narrata, costituita da una serie di segmenti narrativi che "cercano" la città attraverso prospettive sghembe: quella dell'infanzia, certo, ma anche quella di certi personaggi misteriosi che disseminano Genova di scritte, o trovano pertugi di conforto.
Carlo e Alice sono compagni di scuola: stessa classe, stessi professori e, a volte, lo stesso banco. Nei cinque anni che hanno passato assieme hanno condiviso una silenziosa amicizia, fatta di sguardi e sorrisi. Carlo è "naturalmente" imbranato, senza modelli da incarnare, senza maschere. Alice si sente diversa, non omologata, è uno spirito critico e, al contempo, una sognatrice. Entrambi si consumano pensando all'amore ma hanno un cuore ancora poco addestrato e - come vuole l'adolescenza - "sbagliano".
La protagonista, che racconta in prima persona, sta conducendo una ricerca sul campo sulle cooperative di lavoro andaluse. Scopre di aspettare un bambino e torna in Germania, dove vive. Mentre il bambino cresce dentro di lei, è quasi automatico fare i conti con il proprio passato familiare. Torna con la memoria all'amore fra il severo padre siciliano e la bellissima madre piemontese; alla sua infanzia e alle sue difficoltà di adolescente; e infine alla malattia della madre, tremenda e distruttiva. E, per rievocare, affila la scrittura, la rende tagliente, appassionata, senza barriere, senza scampo per il lettore, che non può far altro che seguirne la corrente. Così veniamo travolti dalla eroica quotidianità di una donna che vive in un paese non suo, che parla una lingua non sua, dove deve conciliare speranze, esigenze, sentimenti e aspirazioni, progetti e fantasmi del passato. Per ricavarsi uno spazio privato la protagonista affitta un appartamentino in Grünes Gässchen, una strada poco frequentata. La tranquillità del luogo fa passare in secondo piano il freddo degli spifferi e quel libro sulle cooperative andaluse che non ne vuol proprio sapere di essere completato. Il figlio è nato, cresce, richiede sempre più attenzioni, e arriverà l'eredità della madre: un tumore al seno. Come e quanto si ripeterà il calvario materno? Con quali prospettive? Per i sentieri della malattia la protagonista risale fra ombre e luce verso una difficile e più piena maturità di donna.
Una donna. O novantasette differenti creature? Il libro si direbbe un inno all'eterno femminino nella sua inarrestabile e travolgente ricchezza di caratterizzazioni, in un continuo ondeggiare fra il sublime, il divino, il comico, il grottesco, l'ovvio e il volgare del quotidiano. Ognuna di queste donne è un'anti-Barbie: ora dea arrogante e inavvicinabile, ora amante capricciosa e passionale, ora moglie e madre detestabile, sa di Chanel n. 5 o di cipolle, ma è sempre irresistibile in tutte le sue metamorfosi. Travolto dalla vitalità di lei, il maschio narratore e personaggio di queste storie si tormenta nel desiderio, languendo nella propria inabilità e soggezione di eterno bambino-adolescente. Un balletto irregolare, in questa galleria di figure femminili con le quali i lettori non possono non entrare in un ambiguo rapporto di fascinazione, avvinti da opposte emozioni di repulsione e attrazione.
Enrico Metz ha deciso di tornare a vivere nella casa di famiglia, di ridurre il lavoro a poche consulenze (è stato fino ad allora il legale di operazioni di portata planetaria, è stato al fianco di tutti gli uomini che contano) e di rimodellare la propria esistenza borghese intorno ad alcuni amici ritrovati, alla famiglia, alla memoria ritrovata. Coinvolto in uno dei più rovinosi crack finanziari del paese, quello dell'ingegner Marani, Metz è stato sotto la luce dei riflettori, ma, grazie alla lungimiranza dell'uomo di cui è stato fedele braccio destro, ha salvato la propria posizione. Ora l'ingegner Marani lo chiama per accertarsi che la "nuova vita" sia cominciata, in realtà per accomiatarsi. Il giorno seguente arriva la notizia della sua morte. Intanto Metz, esperto di legislazione internazionale, è riuscito a ottenere un manipolo di clienti locali, forti, interessanti. Ma il suo ritorno in città non è passato inosservato presso gli altri studi che ne temono la concorrenza. I suoi nuovi nemici, sconcertati e sospettosi, scatenano una campagna denigratoria che lo induce a ritrarsi più drasticamente. Il rumore del mondo svanisce e Metz comincia un lento abbandono di sé a se stesso, una progressiva cancellazione di atti ed emozioni, che non ha nulla di remissivo ma semmai è l'estremo omaggio alla vita, alla bellezza, a quel che poteva essere e non è stato.