
Disteso lungo l'arco di un ventennio (dal 1950 ai primi anni Settanta) e costruito avendo negli occhi i luoghi e i volti di tanti viaggi, il "Diario" brulica di pensieri che sperimentano tutte le forme possibili del rapporto tra la mente e la realtà. Vi troviamo velenosi "calembour" concentrati come saggi, aforismi e massime perforanti e definitivi, microritratti di taglio, apologhi surreali e corrosivi, sequenze in zapping, tra incanto e sarcasmo. L'irrefrenabile tendenza all'autodistruzione della specie umana pervade "Diario degli errori" come un malinconico Leitmotiv: ma la crudele esattezza della tassonomia è in Flaiano venata dalla "pietas" del moralista disilluso.
Gli effetti personali della vittima: una ventiquattrore con dentro solo un panino raffermo e una pistola, un vestito con il marchio di un campo profughi, una stilografica acquistata nel New Jersey. Un noto commediografo inglese che per sfida al proprio mestiere ha accettato di scrivere il resoconto giornalistico di un grande processo politico d'Oltrecortina. Come sempre accade nel mondo delle spie, il disegno che fra delitti, depistaggi e smascheramenti sembra emergere ne nasconde un altro e un altro ancora.
"Scritto intorno agli anni Trenta da un genio, questo breve capolavoro è il romanzo della polizia, del controllo, dell'annullamento totale dell'uomo sotto la più potente, importante e demiurgica dittatura poliziesca che l'uomo moderno abbia mai conosciuto. Ha un predecessore altrettanto profetico: Franz Kafka... Simenon con pochi tratti, come un grande pittore appunto, costruisce scene, costumi e nomi e personaggi che paiono coperti dalla cipria bianca della pittura surrealista e metafisica. La sua semplice chiara prosa di umile scrittore di gialli è percorsa dal vento dei Balcani, evoca, con la sola parola Mar Nero, un mare nero, descrive gli uomini a due dimensioni: una di faccia e l'altra di profilo." (Goffredo Parise)
In questo romanzo W. Somerset Maugham mette in scena, come sempre o quasi, se stesso, ma stavolta nella doppia veste di Strickland, un agente di cambio che per amore della pittura lascia il solido mondo della City per quello assai meno rassicurante di Parigi prima e di Tahiti poi, distruggendo lungo il cammino la vita di due donne, e del suo involontario biografo, un giovane deciso a indagare sugli oscuri, brutali, inaccettabili moventi di ogni vero artista. Celebre per decenni soprattutto come evocazione di Paul Gauguin, questo romanzo oggi ci appare finalmente per quello che è: un'inchiesta conturbante sull'attrazione fisica e totale per il bello, enigma "che in comune con l'universo ha il merito di essere senza risposta".
Più volte nel corso della sua esistenza Naipaul è tornato con la memoria a quando, ancora bambino a Trinidad, sognava di diventare un grande scrittore. Ma non ci aveva mai raccontato come si accostò alla scrittura e, prima ancora, alla lettura; come riuscì a crearsi, in una colonia alla periferia dell'impero britannico, un mondo soltanto suo, affatto estraneo alla letteratura della madrepatria sulla quale si era formato. Né ci aveva mai confessato in che misura il legame con l'India abbia agito in profondità nella sua vita. A poco a poco, Naipaul si è reso conto che compito della sua opera letteraria sarebbe stata una tenace esplorazione di quelle "aree di tenebra" che gli erano apparse sin dall'infanzia.
Sul finire degli anni Venti, in un indolente pomeriggio di primavera, una giovane ereditiera americana, che ospita nella sua casa di campagna in Francia un amico, scrittore fallito e io narrante, riceve la visita dei Cullen, perfetti esemplari, si direbbe, "di quella agiata genia britannica che infesta il mondo intero col suo eccesso di energia e di toni pacati". Sofisticati, blasé, gelidamente socievoli, i Cullen sembrano nutrire per se stessi e per ciò che li riguarda una passione debordante. Sul polso, Mrs Cullen regge un falcone incappucciato. Ieratico e solitario, feroce e insieme minato da una brama tormentosa, il falcone diviene il catalizzatore degli eventi di un pomeriggio brioso che inclina ben presto alla tragedia e alla catastrofe.
"Pianura proibita" è un libro che racconta una storia personale, e può essere letto come un diario nato da occasioni esteriori, ma illuminato da un sistema coerente d'idee e attraversato da lucide confessioni. E' la storia di un letterato che non ama i libri ma non può farne a meno. La storia di uno che cerca nei libri quel che non si trova, e non si può trovare, nella carta stampata. Per questa ragione l'autore di "Pianura proibita" - dove figurano Roberto Longhi e Benedetto Croce, Mario Soldati, Italo Calvino e Goffredo Parise - ha spesso e volentieri abbandonato le pagine dei filosofi e degli scrittori per inoltrarsi rapito e felice in tutt'altre esperienze.
I solitari deliri e le tortuose riflessioni di un giovane scrittore errante nella vita urbana, accompagnato dalla sua inesorabile antagonista, la fame. Un romanzo che sta sulla soglia della grande letteratura del Novecento.
Convinto che il biliardo sia un gioco troppo serio per lasciarlo ai cronisti sportivi, Richler ne tesse qui un'elegia che sembra il colpo da maestro di un grande giocatore, con la palla che finisce in buca dopo un gioco di sponde imprevedibile. Così la penna che sembrava prepararsi a incidere il cammeo di un fuoriclasse devia di colpo verso i locali fumosi della Montreal del secondo dopoguerra, da lì rimbalza in un confronto a distanza con le pagine dedicate allo sport da grandi scrittori, poi colpisce il calcio, il football e l'hockey.
Una passione breve e bruciante dalle immani conseguenze. Le vicende di un'intera famiglia, tra incesti e santità, delitti e prostituzione, atrocità e meraviglie, su un fondo che sembra avere la sostanza terribile e raggiante dei sogni.
E' il destino, ancora una volta, a dare le carte: proprio al giudice Kristóf Kómives, cittadino integerrimo, tocca sciogliere dal vincolo matrimoniale Imre Greiner, un medico che è stato suo compagno di collegio e Anna Fazekas, che Komives aveva incontrato qualche volta, molti anni prima. Ma la sera che precede l'udienza Kómives, rincasando a tarda ora, trova ad aspettarlo Greiner, e da lui apprende che un evento atroce è sopravvenuto a rendere inutile la sentenza. Nel corso di un tormentato faccia a faccia Greiner racconterà a Kómives la sua storia con Anna e soprattutto pretenderà da lui una risposta, prima che sia tutto finito. A sua volta Kómives scoprirà le verità che i sogni della notte svelano e le luci del giorno occultano.
Questa di Pericle è un noir, girato come un buon film americano degli anni Quaranta, con un ritmo secco, un plot che non perde un colpo e personaggi che hanno uno spessore del tutto ignoto ai cliché imposti dal genere: Pericle, l'uomo-cane che diventa uomo e acquisisce consapevolezza di sé attraverso il rifiuto delle regole del suo mondo e l'incontro con una strana donna; e questa donna, Nastasia, la polacca finita a lavorare a Pescara in una fabbrica di copertoni, che se lo porta a casa e se lo porterà, forse, anche più lontano.