
Non sempre i tempi che scandiscono la fortuna pubblica di uno scrittore coincidono con quelli della sua officina segreta, basti pensare a Morselli, morto suicida la notte del 31 luglio 1973, quando i lettori cominciavano a conoscerlo e ad amarlo. Oggi Adelphi propone una raccolta dei suoi romanzi per imparare a riscoprire e ad apprezzare questo scrittore.
"Due sorelle" si presenta come racconto di nobili amicizie. Anzitutto quella tra Otto, il giovane protagonista, un tempo sognatore e ora ereditiere e illuminato agricoltore, e Franz, un uomo infelice e allampanato, che tutti chiamano Paganini. Iniziato in un albergo di Vienna, il sodalizio condurrà Otto in Italia, alla ricerca dell'amico. E, in una casa sul lago di Garda, Otto incontra le due figlie dell'amico: Maria, forte e generosa creatura di terra che la terra sa far fruttificare, Camilla, minata nell'anima da un cruccio segreto e, nel fisico, dall'arte cui sacrifica se stessa. Elemento catalizzatore in questo gioco delle passioni e delle intelligenze è Alfred Mussar, prezioso amico e consigliere di famiglia.
Londra 1940. Mentre nel cielo incrociano gli aerei tedeschi, il dottor Haggard riceve la visita di James Vaughan, un giovane aviatore che gli si presenta con una frase letale: "Credo che lei conoscesse mia madre". Strappato di colpo alle sue fiale di morfina e al culto feticistico di una donna perduta per sempre, Haggard intraprende una lunga, tormentosa confessione, raccontando per la prima volta la vicenda che tre anni prima ha distrutto la sua vita.
Di questo romanzo breve sulla mafia, apparso per la prima volta nel 1961, ha scritto Leonardo Sciascia: "... ho impiegato addirittura un anno, da un'estate all'altra, per far più corto questo racconto. Ma il risultato cui questo mio lavoro di 'cavare' voleva giungere era rivolto più che a dare misura, essenzialità e ritmo, al racconto, a parare le eventuali e possibili intolleranze di coloro che dalla mia rappresentazione potessero ritenersi, più o meno direttamente, colpiti. Perché in Italia, si sa, non si può scherzare né coi santi né coi fanti: e figuriamoci se, invece che scherzare, si vuole fare sul serio".
Dove potè mai fuggire la donna di nome Wang, rea di adulterio, prima di venire assassinata dal marito? Sicuramente lungo strade infestate da briganti, battute da nercanti di tè, monaci Taoisti, cantastorie itineranti. E sopratttutto lontano dalla legislazione labirintica e spietata che, nella Cina del Seicento, stringeva la donna in una morsa. Ripercorrendo vicende rimaste impigliate in opache complilazioni di storia locale o convenzionali trattati destinati alla formazione dei burocrati, e servendosi del contrappunto di uno dei maggiori scrittori del tempo, P'u Sung-ling, Spence resuscita una società devastata da cataclismi e carestie, in cui un sistema feudale fondato su un complesso apparato vessatorio deve far fronte a razzie e ribellioni.
Ormai quasi trent'anni fa Londra fu scossa da un feroce delitto che si scoprì avvenuto per sbaglio (invece della moglie l'assassino aveva ucciso la bambinaia di casa). Il colpevole era una figura di spicco dell'aristocrazia inglese, Lord Lucan. Ma la polizia non riuscì mai ad arrestarlo. Da allora si sono accumulati allarmi e improbabili cronache sul latitante, avvistato nei più remoti angoli del mondo e, a quanto pare, protetto da una possente omertà di classe. Sulla base di questo canovaccio terribilmente vero Muriel Spark ha costruito il suo romanzo, una sorta di supplemento di indagini dove Lord Lucan si sdoppia e incorre in avventure macabre ed esilaranti.
Chi era veramente Ferdinando Tartaglia, protagonista dell'esperienza religiosa forse più radicale ed estrema del Novecento? Che cosa ha scritto? Una risposta ci è offerta dal ritratto che a Tartaglia ha dedicato Giulio Cattaneo. Scorrono davanti ai nostri occhi le frequentazioni di Tartaglia; il ventaglio delle sue letture; il contesto socio-politico. Emergono così i nessi tra la vita di Tartaglia e la sua opera, dove si stagliano scritti provocatori come la "Tesi per la fine del problema di Dio" o il "Manifesto" per il Movimento di Religione; o tra quei crepuscoli collinari e una filosofia notturna e cameristica come la sua prosa, rischiarata solo dalle irruzioni di un "azzurro subacqueo".
Quattro sorelle legatissime, un matrimonio imminente e un segreto atroce, che qualcuno ha sussurrato. Una conversazione a più voci dove tutto è divertente e terribile in pari misura, e quanto più si accende il divertimento, tanto più affiora un orrore che tutti sapremo riconoscere.
In questo quinto volume vengono affrontati quegli aspetti della vita spirituale che il giovane Valéry aveva respinto bollandoli come irrazionali, ma che vediamo assumere un'importanza sempre maggiore a mano a mano che l'autore avanza nella maturità. In particolare, nei due capitoli centrali, "Eros" e "Theta", dedicati all'amore e alla religione, troviamo passi di grande intensità, in cui viene rivelato a che punto Valéry fosse consapevole dell'intima tensione, della inestinguibile inquietudine che provocavano in lui le due esperienze più estreme: l'esperienza erotica e l'esperienza mistica.
A più di vent'anni di distanza, un Maigret ormai pensionato intende con le sue memorie ristabilire la verità. E comincia proprio dal giorno in cui il personaggio aveva incontrato il suo autore; continua con il racconto della sua infanzia e adolescenza, del suo arrivo a Parigi, della sua decisione di entrare nella polizia, e dell'incontro con quella che diventerà sua moglie; e passa poi a fare un quadro "veritiero" della vita di un giovane poliziotto nella Parigi degli anni Venti. Le memorie si chiudono con la nomina di Maigret a ispettore.
Disteso lungo l'arco di un ventennio (dal 1950 ai primi anni Settanta) e costruito avendo negli occhi i luoghi e i volti di tanti viaggi, il "Diario" brulica di pensieri che sperimentano tutte le forme possibili del rapporto tra la mente e la realtà. Vi troviamo velenosi "calembour" concentrati come saggi, aforismi e massime perforanti e definitivi, microritratti di taglio, apologhi surreali e corrosivi, sequenze in zapping, tra incanto e sarcasmo. L'irrefrenabile tendenza all'autodistruzione della specie umana pervade "Diario degli errori" come un malinconico Leitmotiv: ma la crudele esattezza della tassonomia è in Flaiano venata dalla "pietas" del moralista disilluso.
Gli effetti personali della vittima: una ventiquattrore con dentro solo un panino raffermo e una pistola, un vestito con il marchio di un campo profughi, una stilografica acquistata nel New Jersey. Un noto commediografo inglese che per sfida al proprio mestiere ha accettato di scrivere il resoconto giornalistico di un grande processo politico d'Oltrecortina. Come sempre accade nel mondo delle spie, il disegno che fra delitti, depistaggi e smascheramenti sembra emergere ne nasconde un altro e un altro ancora.