
Vince Corso è un biblioterapeuta. Precario più per nascita e per vocazione esistenziale che per condizione sociale, un giorno ha scoperto le doti curative, per l'anima e per il corpo, dei libri e ne ha fatto la propria professione. Si rivolge a lui una bella sessantenne: ha un fratello malato di Alzheimer che, nel marasma della sua mente, da qualche tempo ripete delle frasi spezzate, sempre le stesse, senza alcun legame tra di loro. Era stato uno studioso di fama e un lettore vorace, un amante delle lingue, un ricco collezionista di volumi, quelle parole potrebbero essere citazioni da un romanzo. «E solo un'ipotesi, ma se questo libro esiste, ci terrei a sapere qual è. E se lei lo trovasse, potrei leggerglielo a voce alta, qualche pagina al giorno». Il biblioterapeuta si mette al lavoro, con una domanda che lo assilla: se avessi perso tutto, e ti venisse concesso di salvare un solo ricordo, quale sceglieresti? Ha diversi enigmi da risolvere, mediante tecniche per decifrare e interpretare i testi, attraverso psicologie di identificazione con possibili autori, ricerche di biblioteca in biblioteca, incontri fortuiti e rivelatori. Un'avventura che lo guida a una soluzione che proprio innocente, come all'inizio appariva, non sarà. Intanto scruta i luoghi, fa sedute di biblioterapia con pazienti nuovi e inaspettati, scopre l'odio che è tornato ad attraversare i quartieri e la società. Ed è come una ricerca nella ricerca, un romanzo nel romanzo. Perché Vince è un camminatore, un esploratore di spazi e di persone: itinerari, spazi e persone che lo rimandano senza tregua a coincidenze con i momenti della letteratura di cui è vittima e complice, quasi come un prigioniero felice. Ma dominato da un bisogno inesauribile: trovare la linea di confine tra la vita e i libri e forse superarla, perché sempre di più è attratto dalle passioni, dalle paure e dalle gioie di uomini e donne in carne e ossa.
Un nuovo mistero tra le mani dell’ispettore Morse, una giovane, attraente donna è morta, uccisa con un colpo di pistola esploso attraverso la finestra del soggiorno di casa sua. Due indizi lo instradano inizialmente: un criptico messaggio che cela data, ora e luogo di un appuntamento, e una foto con uno sconosciuto dai capelli grigi.
«“Non mi ha ancora detto che cosa pensa di questo Owens, il vicino della donna assassinata”. “La morte ci è sempre vicina” disse Morse con espressione seria. “Ma adesso lasci perdere e pensi a guidare, Lewis”».
Una giovane, attraente donna è morta, uccisa con un colpo di pistola esploso attraverso la finestra del soggiorno di casa sua, una delle poche costruzioni di un breve viale in cui i vicini si conoscono tutti e sanno tutto di tutti. Due indizi instradano inizialmente l’ispettore capo Morse: un criptico messaggio che cela data, ora e luogo di un appuntamento, e una foto con uno sconosciuto dai capelli grigi. Un terzo indizio che si aggiunge in seguito appare più promettente: un possibile errore di percorso dell’assassino. Poiché tutto è vago e fuori posto in questo nuovo mistero tra le mani dell’ispettore della Thames Valley Police. Non sembra esserci un motivo solo per cui Rachel James, la vittima, sia stata eliminata. Il modo in cui è stato fatto è distorto e sproporzionato ma sembra quello di un professionista. L’indiziato numero uno manca del movente e i suoi tempi non si incastrano con quelli del delitto. I testimoni sono drammaticamente reticenti in quel breve viale, quasi un cortile, della morte. E tutto, soprattutto, sembra perdere i propri chiari contorni dentro la melassa di buone maniere, ipocrisie, complotti e trappole della upper class intellettuale di Oxford: il vecchio rettore di uno dei maggiori college sta, infatti, per «appendere la toga al chiodo» e deve essere eletto il suo successore, così le mogli, gli amici, le amanti e i sostenitori dei due candidati non si negano colpi micidiali. Che stia nascosta in quel nido di serpenti la verità?
Naturalmente, Morse alla prima non ci prende. Ma «quasi sempre la mente di Morse raggiungeva l’apice della creatività quando una delle sue ipotesi astruse e improvvisate veniva rasa al suolo». Inoltre sempre vigile a sostenerlo c’è il suo vice Lewis. Il rapporto tra i due è il motore dell’azione: Morse è un persecutore inventivo e malinconico, Lewis è paziente e dotato di un robustissimo principio di realtà.
Colin Dexter è il maestro del poliziesco inglese di stampo classico, cioè deduttivo. Alla tipicità del genere e alla caratteristica intelligenza dell’intrico, aggiunge un andamento del racconto fatto di ironie eleganti e sottintesi che rendono complice il lettore e lo divertono, il più delle volte alle spalle del principale bersaglio dell’umorismo dell’autore: la classe agiata e le sue maniere.
Per la prima volta insieme questi racconti, già apparsi in varie antologie a tema, ci restituiscono un ritratto del vicequestore Rocco Schiavone. Sono cinque tessere che contribuiscono a definire il personaggio per chi già lo conosce e servono come una presentazione per chi non l’ha mai letto: un poliziotto scontroso, trasgressivo, ruvido, spesso ai limiti della brutalità, conosce però il cuore degli uomini e sa sempre da che parte stare.
Un ritratto del vicequestore Rocco Schiavone. Cinque tessere che contribuiscono a definire il personaggio per chi già lo conosce e servono come una presentazione per chi non l’ha mai letto. Racconti già pubblicati in varie antologie che questo volume mette insieme per la prima volta. Il primo – che dà il nome all’intera raccolta ed è ampio poco meno che un romanzo breve – ha un inizio macabro, quasi horror: al cimitero, dentro una cappella gentilizia, viene trovato un cadavere sconosciuto disteso sopra la bara di un’altra; unico indizio uno strano anello nuziale. Ma presto la storia prende le vie tipiche che ispirano Antonio Manzini: innestare su un’indagine poliziesca misteriosa disagi esistenziali, denuncia sociale, sentimenti profondi; il tutto narrato con un umorismo ironico che sfiora il sarcasmo, fatto di battute rapide e paradossi, che nella misura breve dei racconti sembra persino accentuarsi per concentrazione. Le altre storie che seguono – tre amici in gita alpinistica finita con il morto; una partita di calcio truffaldina tra uomini di legge; un delitto nella «camera chiusa» di un treno; un innocuo eremita ucciso in una chiesetta abbandonata – sono indagini che portano, secondo l’umor nero che non lascia mai Schiavone, a «una conclusione scomoda, squallida, triste, più del cielo di questa città». Lui, il protagonista indiscusso, è un poliziotto non integerrimo, spesso ai limiti della brutalità, ma che sa riconoscere una persona vera ovunque e comunque si presenti. Un uomo che non sopporta il tempo in cui vive, per tanti motivi, ma soprattutto perché gli ha strappato la cosa più importante della vita.
Il cielo è grigio su Bruxelles, si avvicina l’anniversario dei cinquant’anni dalla fondazione della Commissione europea e allo scopo di rilanciarne gli ideali alcuni funzionari della Direzione cultura avviano un curioso tentativo, un grande giubileo incentrato su Auschwitz mobilitando gli ultimi sopravvissuti ai campi di concentramento come testimoni dei proponimenti che sono all’origine della UE, nata dalle ceneri delle atrocità naziste. L’idea scatena l’anima rissosa ed egoista dei paesi membri e insieme esalta gli interessi personali dei burocrati. Nel frattempo le strade della città sono affollate di allevatori che protestano con i forconi in mano, di mandrie di turisti con i selfie stick, e 22.000 funzionari, uomini e donne, solitari avamposti delle loro società e tradizioni, si adoperano senza sosta per favorire il dialogo tra le culture e gli interessi del loro paese di origine, e la notte restano seduti sul bordo del letto a bere un ultimo bicchiere di vino. Tutto alimenta un ingranaggio di bizantina complessità, crocevia del potere e dell’economia internazionale, babele di lingue diverse, mentalità incompatibili e interessi particolari: un caos sempre sul punto di esplodere.
Robert Menasse, dopo un lungo soggiorno di ricerca e due saggi sull’argomento, racconta una città e un luogo simbolico della storia e della cronaca contemporanea, il cuore politico e amministrativo dell’Europa unita, la capitale scelta perché il Belgio era il primo paese in ordine alfabetico tra le sei nazioni fondatrici e da allora in attesa, come Godot, di una rotazione che non avverrà mai. Il suo è un romanzo di sfrenata ingegnosità, un labirinto di invenzioni e umorismo, un castello gotico di sentimenti e potere, passioni e paure. Tra un maiale che corre libero per le strade e un omicidio che sembra passare inosservato prende forma un panorama di grandi emozioni e grigia amministrazione, costellato di eroi tragici, di ambiziosi perdenti, di scaltri manipolatori. Ne scaturisce un ritratto letterario sarcastico e provocatorio, capace di miscelare generi diversi, di tratteggiare l’assurdo, di irridere il male. E soprattutto di raccontare l’Europa.
Servire Dio e vendicarsi. Questo è nel cervello di un ragazzo che si prepara a commettere un attentato, e che ha deciso di donare la propria vita per una causa più alta. In fondo chi sono i criminali, quelli che si fanno esplodere o coloro che le loro azioni, le loro parole inopportune, hanno reso possibile, e magari necessaria, la carneficina? Khalil e Rayan sono di origini marocchine, cresciuti insieme in Belgio. Rayan si è integrato senza problemi mentre Khalil è preda di un furore disordinato, e litiga costantemente con la sua famiglia. Frequentando la moschea incontra dei nuovi amici, e il suo pensiero, la sua determinazione, iniziano a cambiare. Un sentimento ispirato e tragico lo spinge all'azione, e lo prepara a commettere l'impensabile. Fin quando a Parigi, su un vagone gremito della metropolitana all'uscita dello stadio di Saint-Denis, Khalil recita un'ultima preghiera e preme il detonatore della sua cintura esplosiva. Chi è Khalil? Quali passioni lo muovono, quali visioni lo portano verso il suo destino? Il romanzo di Yasmina Khadra scruta nella mente di un terrorista seguendone ogni percorso e sfumatura, dall'indottrinamento carico di odio alla presa di coscienza, costringendo chi legge a sospendere ogni giudizio morale, a riconsiderare ogni parere e convinzione. È tra le poche opere letterarie contemporanee ad offrire una riflessione approfondita sul concetto di multiculturalismo, di islamofobia, che sappia raccontare la ghettizzazione, l'intolleranza religiosa, il fascino per la violenza. Khadra nel corso degli anni non ha mai smesso di denunciare il terrorismo islamico e le menzogne del fanatismo religioso, con prese di posizione costanti e decise. Con questo romanzo, attraverso Khalil, Rayan e gli altri personaggi, apre una porta sul mondo dell'integrazione e del suo rifiuto, sulle difficoltà che si incontrano per mantenere viva e vitale la propria cultura, per plasmare la propria identità.
«Non ci abbiamo capito niente, Deruta. Forza, al lavoro». Due coltellate hanno spento la vita di Romano Favre, un pensionato del casinò di Saint-Vincent, dove lavorava da «ispettore di gioco». Il cadavere è stato ritrovato nella sua abitazione dai pochi vicini di casa dell'elegante palazzina, e serra in mano una fiche, però di un altro casinò. Rocco Schiavone capisce subito che si tratta «di un morto che parla» e cerca di decifrare il suo messaggio. Si inoltra nel mondo della ludopatia, interroga disperati strozzati dai debiti, affaristi e lucratori del vizio, amici e colleghi di quel vedovo mite e ordinato. Individua un traffico che potrebbe spiegare tutto; mentre l'ombra del sospetto sfiora la sua casa e i suoi affetti. Ed è ricostruendo con la sua professionalità la tecnica dell'omicidio, la scena del delitto, che alla fine può incastrare l'autore. Ma il morto è riuscito a farsi capire? Forse non basta scavare nel passato: «Favre ha perso la vita per un fatto che deve ancora accadere». Il successo dei libri di Antonio Manzini deve probabilmente molto al loro andare oltre la semplice connessione narrativa tra una cosa (il delitto) un chi (il colpevole) e un perché (il movente). Con le inchieste del suo ruvido vice-questore, Manzini stringe il sentire del lettore a una vicenda umana complessa e completa. Così i suoi noir sono in senso pieno romanzi, racconto delle peripezie di un personaggio che vale la pena di conoscere, sentieri esistenziali. Sono, messi uno dietro l'altro, la storia di una vita: Rocco Schiavone, un coriaceo malinconico che evolve e cambia nel tempo, mentre lavora, ricorda, prova pietà e rabbia, sistema conti privati e un paio di affari. Sicché, in "Fate il vostro gioco", il vice-questore riconosce apertamente un semifallimento: ha smascherato il criminale ma troppe cose non tornano. Resta un buco nella sua consapevolezza che gli rimorde come una colpa, e deve colmarlo. Lo farà, si ripromette, la prossima volta e, per il lettore, nella prossima avventura.
Una nuova detective Mina Settembre. L'assistente sociale che indaga nei Quartieri Spagnoli di Napoli affronterà il misterioso Assassino delle Rose.
«Mi chiamo Flor, ho undici anni, e sono qui perché penso che mio padre ammazzerà mia madre».
Gelsomina Settembre detta Mina, assistente sociale di un consultorio sottofinanziato nei Quartieri Spagnoli di Napoli, è costretta a occuparsi di casi senza giustizia.
La affiancano alcuni tipi caratteristici con cui forma un improvvisato, e un po’ buffo, gruppo di intervento in ambienti dominati da regole diverse dall’ordine ufficiale. Domenico Gammardella «chiamami Mimmo», bello come Robert Redford, con un fascino del tutto involontario e una buona volontà spesso frustrata; «Rudy» Trapanese, il portiere dello stabile che si sente irresistibile e quando parla sembra rivolgersi con lo sguardo solo alle belle forme di Mina; e, più di lato, il magistrato De Carolis, antipatico presuntuoso ma quello che alla fine prova a conciliare le leggi con la giustizia.
Vengono trascinati in due corse contro il tempo più o meno parallele. Ma di una sola di esse sono consapevoli. Mentre Mina, a cui non mancano i problemi personali, si dedica a una rischiosa avventura per salvare due vite, un vendicatore, che segue uno schema incomprensibile, stringe intorno a lei una spirale di sangue. La causa è qualcosa di sepolto nel passato remoto.
Il magistrato De Carolis deve capire tutto prima che arrivi l’ultima delle dodici rose rosse che, un giorno dopo l’altro, uno sconosciuto invia.
Mina Settembre e gli altri sono figure che Maurizio de Giovanni ha già messo alla prova in un paio di racconti. In Dodici rose a Settembre compaiono per la prima volta in un romanzo. Sono maschere farsesche sullo sfondo chiassoso di una città amara e stanca di tragedie. Un mondo di fatica del vivere che de Giovanni riesce a far immaginare, oltre all’intreccio delle storie, già solo con il linguaggio parlato dai vari personaggi di ogni strato sociale: ironico, idiomatico, paradossale, immaginoso.
1984. È l'anno di Bettino Craxi, quando il primo governo a guida socialista raggiunge i maggiori successi. Sandro Pertini, un altro socialista, è il Presidente della Repubblica. È anche l'anno della morte di Enrico Berlinguer, il popolarissimo segretario del più grande partito della sinistra. A Milano un sindaco del Psi amministra la città in alleanza con i cugini comunisti, ed è questa una situazione delicata viste le tensioni tra i due partiti, del tutto divisi riguardo alla figura di Craxi: se la giunta proseguisse spedita nel suo cammino sarebbe una conferma dell'egemonia di quest'ultimo, se invece cadesse sarebbe una sconfitta e l'approfondimento della frattura tra due sinistre. In questo quadro generale, l'omicidio in città di un importante funzionario all'urbanistica del Comune, iscritto al Pci, sembra fatto apposta per sfasciare un precario equilibrio. A cercare di capirci qualcosa è chiamato Mario Cavenaghi, responsabile di quella specie di intelligence interna che era la Commissione dei probiviri del partito di via delle Botteghe Oscure. Un'inchiesta che conduce un po' di malavoglia, perché è un uomo in crisi, ma che lo porta a scandagliare la città di allora, a cercare la polvere sotto il tappeto: i nuovi impresari edili tra affarismo e innovazione; il mondo dei grandi studi di progettazione, le future archistar; la rivoluzione delle televisioni, nuovo potere che sconvolge e crea; la vita, tra passione e cinismo, dei partiti; la mondanità rampante; e, dietro tutto, l'affanno dei ceti legati alla vecchia industria tradizionale in crisi. Muovendosi veloce per i luoghi dove ferve più intensità, Mario riesce a scoprire cosa cova dietro quell'omicidio. E dal suo punto di osservazione, per così dire intimo, non può fare a meno di intravedere il lento tramonto della Prima Repubblica. Questo è un romanzo fortemente politico impiantato su una struttura di giallo, cosa come il primo di Lodovico Festa, "La provvidenza rossa". L'effetto realistico che dà, come un osservatore nascosto dentro le stanze che contano, si fonda sul fatto che l'autore fu uno dei protagonisti di quegli ambienti e situazioni. Lo scopo è quello di restituire ai lettori lo spirito del tempo. E in esso testimoniare, nella finzione romanzesca, soprattutto di un trauma fondamentale della storia d'Italia: la decadenza piena di pathos di un modo di essere, dell'essenza, oltre che civile, umana di una grande fetta d'italiani. Quella parte che si riconosceva nel Partito comunista.
Uno strano silenzio avvolge la casa di ringhiera, vuoto l’appartamento di Amedeo Consonni, vittima di uno scontro fatale nel cortile; lontana Angela Mattioli, legata all’ex tappezziere, che di stare in quella casa non ha voluto saperne più; alle terme la signorina Mattei-Ferri, che dalla sua finestra sul cortile registra entrate e uscite dal condominio; assente anche il De Angelis che si è allontanato non si sa bene per dove. Solo l’appartamento n. 15 è abitato regolarmente dalla famiglia Giorgi, anzi da Donatella con i precoci e inquietanti figli Gianmarco e Margherita, mentre il marito Claudio, ormai disintossicato dall’alcol, non è comunque ritornato in famiglia. Donatella ha scovato nella camera di Margherita il suo diario segreto. Trovarlo e leggerlo per la madre è un tutt’uno, scopre così un mondo che mai avrebbe potuto immaginare: dov’è la sua bambina in quelle pagine smaliziate ed esperte? Chi sono quelle compagne che sul sesso la sanno così lunga, e quegli accenni a panetti di droga cosa vorranno dire? Margherita si destreggia molto bene con la scrittura, ci sono i riassunti di libri che ha letto, osservazioni acute sulle prof, lettere al padre disinvolte e le risposte di Claudio. E poi c’è un segreto che aleggia, un segreto che Margherita non può affidare neanche al suo diario, qualcosa che ha a che fare con la casa di ringhiera e Amedeo Consonni… Donatella sente di dovere intervenire, di doversi vendicare di quelle compagne che stanno traviando la sua piccola innocente, e lo fa nel modo più incredibile, aiutandosi con la rete e il web ai quali proprio i suoi figli l’hanno iniziata.
Il giornalista (e detective per caso) Saverio Lamanna ha avuto l’incarico di scrivere per un giornale on-line alcuni articoli sui siti siciliani dichiarati dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Parte, non a caso, dalla Valle dei Templi di Agrigento; proprio in quei giorni, infatti, la sua fidanzata Suleima che ora vive a Milano sarà in quella zona della Sicilia per accompagnare il titolare dello studio di architettura dove lavora. Lamanna, alle prese con qualche problema di gelosia, viaggia naturalmente in compagnia di Peppe Piccionello, sua spalla confidente e mentore, che deve svolgere una piccola indagine familiare. Giunti nella Valle si trovano nel bel mezzo di una contesa scientifica: sono infatti affiorate da uno scavo archeologico alcune pietre che sembrano indicare la presenza dell’antico Teatro greco. Ricercato da secoli, mai ritrovato, è uno dei rompicapo degli archeologi di tutto il mondo che si sono dati appuntamento proprio in quei giorni in un congresso per discutere della scoperta e accertare se quelle pietre siano davvero i resti di uno dei più grandi teatri dell’antichità. Ma nel corso del convegno la comunità di studiosi e ricercatori viene scossa dalla morte violenta del professor Demetrio Alù, docente emerito e autorità dell’archeologia siciliana. Un delitto inspiegabile, consumato in un angolo di paradiso, tra mandorli, rovine e ulivi saraceni, sotto lo sguardo del Tempio della Concordia. Toccherà a Lamanna e Piccionello risolvere questo mistero nel mistero, nell’unico modo in cui sanno farlo: irriverente e appassionato, icastico e dissacrante. L’indagine svagata e serrata di due investigatori involontari dotati solo delle armi dell’intelligenza e dell’ironia.
Nelle cucine di un ristorante di lusso a Zurigo lavora Maravan, un giovane tamil che viene dallo Sri Lanka. Come molti suoi connazionali è fuggito dalla guerra per giungere in Europa, sperando nell’asilo politico e con la responsabilità di aiutare la famiglia rimasta in patria. Nel ristorante gli vengono assegnati solo i compiti più umili e noiosi, ma lui non se la prende. Ha un carattere amabile e ottimista, possiede una fede devota, con i suoi riti e le sue divinità, e soprattutto è un cuoco dall’olfatto e dalle qualità straordinari.
La prima a scoprirlo è la disinibita Andrea, una cameriera dello stesso locale. Per lei Maravan cucina il vero curry, ispirato alla tradizione culinaria di famiglia con qualche personale innovazione. La ragazza, nel corso di una cena indimenticabile, avrà un’idea che cambierà il loro futuro: dovranno mettersi in proprio e aprire una ditta. Si chiamerà «Love Food» e proporrà un Love Menu, consegna a domicilio di raffinati manicaretti afrodisiaci capaci di stimolare il desiderio delle coppie annoiate. I primi clienti arrivano grazie a una terapista specializzata, ma la voce si sparge rapidamente. In un contesto che scopre con angosciato stupore la possibilità del fallimento, e che diviene sempre più instabile e ingiusto, i piaceri – del corpo, della mente, del palato – diventano merci preziose. Le sensuali ed efficaci ricette di Maravan sanno restituire gusto ed emozione alle serate di coppie abbienti, a personalità della politica, a uomini d’affari in cerca di sensazioni forti. Ma attraggono anche figure ambigue, che vivono ai margini del potere e della ricchezza…
Il talento del cuoco racconta con tono sagace, ironico e riflessivo l’aspra complessità di un ingranaggio sociale che rimescola il destino di persone lontane e diverse e le porta sullo stesso palcoscenico, in uno spazio in cui i gesti e le parole di ognuno riguardano e influenzano le vite degli altri. E allora tra noi e loro, tra gli abitanti di nazioni e città che si vogliono solide e antiche, e quei popoli che crediamo spuntare dal nulla per turbare il nostro ordine e il nostro benessere, nasce un legame profondo, che ha bisogno di una scoperta continua, di una curiosità che può svelare quei mondi quasi del tutto invisibili che convivono quotidianamente accanto a noi.
Un'intuizione, un'illuminazione o solo il colpo del fato e basta una giornata per risolvere un caso. Certo ci vuole una giornata particolare, che l'investigatore non potrà più dimenticare: lunga, avventurosa, paurosa e molto eccitante, che lo farà riflettere su quanto strano può essere il mondo del delitto. Ecco il tema su cui i nostri autori hanno ingaggiato i loro eroi (e antieroi) in questa nuova antologia del giallo. Il commissario Montalbano, in un giorno che sembrava di bonaccia, constata quanto è scomodo stare tra l'incudine dello Stato e il martello della mafia. Saverio Lamanna (racconta Gaetano Savatteri) a Gibellina, città d'arte, scopre una vendetta contro l'arte stessa. Tiziana la banconista del BarLume è ad Amsterdam, il suo autore Marco Malvaldi l'ha messa lì per inseguire un gioiello. Il giovane Daquin, il poliziotto di Dominique Manotti, è a Marsiglia nel 1973 in un giorno di caccia all'algerino. C'è una biscia ammaestrata, nel racconto di Piazzese, di cui trovare al più presto i padroni e scoprire un mistero. Al pensionato Consonni della Casa di Ringhiera (autore Francesco Recami) in un giorno succedono tante involontarie peripezie da incastrare un delinquente. La giovane poliziotta Angela Mazzola (creatura di Gian Mauro Costa) nel suo giorno di riposo si chiede perché si usino i kalashnikov per rubare dei carciofi. Petra Delicado (di Alicia Giménez-Bartlett) ha un giorno di ordinaria follia per sperimentare quanto per alcuni «l'infelicità è un destino».

