
"... Si sa del resto come era nato 'Il Piccolo Principe'. Nel 1942, Saint-Ex disegnava sulla tovaglia bianca, in un ristorante di New York, sorvegliato severamente dal cameriere. 'Cos'è?' aveva chiesto l'editore. 'Un bambino che porto nel cuore' rispose Antoine. 'Facciamone un libro per l'infanzia' propose l'editore, più che altro 'per svagare quel gigante triste'. 'The Little Prince' e 'Le Petit Prince'uscirono contemporaneamente in America il 6 aprile 1943. In Francia fu pubblicato solo nel '46, postumo: perché Saint-Exupéry il 31 luglio 1944 era stato abbattuto da un caccia tedesco. Per questo i grandi dicono che 'Il Piccolo Principe' è anche un testamento. Ai bambini e a tutti resta da ricordare che se i rapporti umani sono così difficili è anche perché l'essere amato, una volta addomesticato con prolungati legami, deve anche essere, un po', perduto". Nella Nota che chiude il volume, Daria Galateria raccoglie in un "abbecedario" i temi principali del "Piccolo Principe"; e, tra le pieghe della vita e le combinazioni di pagine e disegni inediti di Saint-Exupéry, indaga su figure e simboli ricorrenti. Sul mistero della "favola più bella del Novecento".
"A diciassette anni - rivela Manuel Vázquez Montalbán - avevo letto la storia di questo personaggio basco arrestato a New York, torturato e poi fatto sparire perché aveva scritto una tesi di dottorato sul dittatore Trujillo. E mi pareva terribile che queste cose potessero essere successe in piena Fifth Avenue. Per questo, molti anni dopo scrissi questo libro che tratta soprattutto dell'impunità del potere". Jesús Galíndez fu visto per l'ultima volta alle 10 del 12 marzo del 1956 a Manhattan, mentre entrava nella metropolitana della Quinta Strada. Lì scomparve, rapito - come poi risultò - torturato e ucciso dagli agenti di Rafael Trujillo, dittatore della Repubblica di Santo Domingo. A New York era giunto come rappresentante negli Usa del Partito nazionale basco in esilio, insegnava alla Columbia University, ed operava con la Lega per i diritti umani oltre che con associazioni di scrittori. Prima degli Stati Uniti, aveva insegnato a Santo Domingo. Aveva combattuto nella guerra civile spagnola dalla parte dei repubblicani, e forse collaborato con i servizi segreti americani fino alla Guerra fredda e al riconoscimento da parte americana del governo franchista. Dopo, i suoi rapporti con il governo americano erano cambiati. Vázquez Montalbán non seguì la via della ricostruzione storica, preferì ricorrere al romanzo.
C'è un'azione parallela, in questa inchiesta del vicequestore Rocco Schiavone, che affianca la storia principale. È perché il passato dell'ispido poliziotto è segnato da una zona oscura e si ripresenta a ogni richiamo. Come un debito non riscattato. Come una ferita condannata a riaprirsi. E anche quando un'indagine che lo accora gli fa sentire il palpito di una vita salvata, da quel fondo mai scandagliato c'è uno spettro che spunta a ricordargli che a Rocco Schiavone la vita non può sorridere. I Berguet, ricca famiglia di industriali valdostani, hanno un segreto, Rocco Schiavone lo intuisce per caso. Gli sembra di avvertire nei precordi un grido disperato. È scomparsa Chiara Berguet, figlia di famiglia, studentessa molto popolare tra i coetanei. Inizia così per il vicequestore una partita giocata su più tavoli: scoprire cosa si cela dietro la facciata irreprensibile di un ambiente privilegiato, sfidare il tempo in una corsa per la vita, illuminare l'area grigia dove il racket e gli affari si incontrano. Intanto cade la neve ad Aosta, ed è maggio: un fuori stagione che nutre il malumore di Rocco. E come venuta da quell'umor nero, un'ombra lo insegue per colpirlo dove è più doloroso.
"Era come se a un drammaturgo inesperto fosse stata affidata una trama che prevedeva un omicidio, e quello si fosse buttato a scrivere pagine e pagine di dialoghi inappropriati, fuorvianti e a tratti contraddittori". Capita per le mani dell'ispettore capo Morse, costretto in ospedale, un libretto "Assassinio sul canale di Oxford". È una memoria, la minuziosa microstoria di un delitto avvenuto nel 1859, ricerca di una vita dell'anziano colonnello del letto vicino appena spirato che lo ha lasciato al poliziotto come ricordo. Morse legge e, dalla prosa ordinata del colonnello, apprende con ricchezza di particolari dello stupro e annegamento di Joanna Franks, un'avvenente signora in viaggio da sola lungo il canale, passeggera di una chiatta da trasporto di alcolici. L'incubo di una donna per giorni in mano a degli ubriaconi che ai tempi aveva impressionato l'opinione pubblica. Incolpati del delitto furono i tre barcaioli, due dei quali giustiziati e uno deportato dopo due accurati processi. Ma ci sono discrepanze, strani vuoti e sproporzioni che allertano i sensi annoiati dell'ispettore, che non può evitare di applicare la sua mente enigmistica a costruire trame alternative. Aiutato in questo dalle ricerche sul campo del fido agente Lewis e della affascinante bibliotecaria Christine. La soluzione finale è sorprendente e ineccepibile.
"Chiamerò questo stile: rappresentazione multipla della realtà", scrive Roberto Scarpa nell'introduzione a questi testi teatrali, interrogandosi su ciò che unisce Camilleri romanziere e drammaturgo: è il teatro, con il suo raccontare "dal vivo" e "nel vivo" la complessità umana, che ha aiutato il creatore del commissario Montalbano a rappresentare simultaneamente le storie, i personaggi e le ipotesi che i personaggi stessi si formano delle proprie vicende. La teatralità, grazie alla quale ha potuto sviluppare la sua arte della rappresentazione multipla che avvince nel suo raccontare. "Perciò, insofferente davanti ai metodi che riducono la complessità dell'umano, annoiato a morte dal pessimismo, quand'ancora era giovane, Camilleri, proprio come Stevenson, 'ebbe uno scatto improvviso di impaziente desiderio di salute: come una scossa di scetticismo riguardo allo scetticismo'. Si rese conto che 'non c'è proprio niente da fare con il nulla: non ci si ricava niente...' Avvenne così che, per gran parte della sua vita, e comunque per quella parte che gli fu necessaria a costruire il proprio talento, Andrea si installò felicemente nel teatro: fu quello il luogo dove, proprio perché non c'è niente, poteva accadere tutto: 'anything goes'. Così il teatro, luogo della ricerca perenne e inesausta, della curiosità e del gioco, lo ripagò diventando la sua casa. Quella fu la sua evasione: un'evasione riuscita che, come era inevitabile, lo condusse a inoltrarsi nel territorio infinito delle storie..."
Protagonista di questo giallo, che miscela ad arte tensione, amore e ironia, e racconta anche di una rinfrancante cospirazione della solidarietà umana, è Milano. La città di Expo 2015, che "accoglie 20 milioni di visitatori", dove gli architetti sono archistar, le sedie "sistemi di seduta" e le feste sono eventi. E contrapposta a questa metropoli, la Milano delle periferie multietniche dove la disperazione sa ancora lasciare spiragli alla speranza, cioè alla vita vera. Due città che sono due mondi, e un involontario, scanzonato protagonista che li percorre in lungo e in largo da preda e cacciatore insieme. Carlo Monterossi è il fortunato autore di una trasmissione tivù di genere piagnucoloso, "Crazy Love", un grande successo commerciale di cui non va per nulla fiero. A casa sua, nella baraonda di una festa, finisce un giovane orientale in stato confusionale. Somiglia in modo impressionante a un architetto giapponese acclamato come una star all'Expo, ma non ricorda nemmeno il proprio nome e non vuole che si chiami la polizia. Il giorno dopo, il giovane orientale sparisce e Carlo Monterossi trova il suo appartamento devastato da una perquisizione. Di colpo la sua esistenza agiata e tranquilla è sconvolta da eventi che gli paiono inspiegabili ma evidenti: qualcuno cerca qualcosa ed è abbastanza determinato da seminare cadaveri, anche il suo, per trovarla.
Così raccontava Fernando Pessoa parlando dei suoi eteronimi, le sue voci di dentro, i suoi "altri da sé" a cui aveva attribuito una biografia e un'opera letteraria: "Ricordo quello che mi sembra sia stato il mio primo eteronimo o, meglio, il mio primo conoscente inesistente: un certo Chevalier de Pas di quando avevo sei anni, attraverso il quale scrivevo lettere a me stesso. [...] Un giorno mi venne in mente di fare uno scherzo a Sa-Carneiro: di inventare un poeta bucolico e di presentarglielo come se fosse reale. Passai qualche giorno a elaborare il poeta ma non ne venne niente. Alla fine, un giorno in cui avevo desistito mi avvicinai a un alto comò e cominciai a scrivere, in piedi. E scrissi oltre trenta poesie, in una specie di estasi. [...] E quanto seguì fu la comparsa in me di qualcuno a cui subito diedi il nome di Alberto Caeiro. Era apparso in me il mio Maestro. Tanto che, non appena scritte le trenta e passa poesie, afferrai un altro foglio di carta e scrissi, di seguito, le sei poesie che costituiscono Pioggia obliqua di Fernando Pessoa. [...] Fu la reazione di Fernando Pessoa alla propria inesistenza come Alberto Caeiro". Queste conferenze, tenute da Antonio Tabucchi a Parigi nel 1994, sono frutto di un lungo e profondo dialogo con l'opera del grande poeta portoghese e toccano aspetti fondamentali e inediti della poetica pessoana: il rapporto con il Tempo e la Nostalgia; le avanguardie storiche rivisitate attraverso l'ironia; il confronto con grandi poeti del passato...
Non abbagli la luce matta che, sugli schermi delle pagine, proietta comiche a rapidi scatti: una schermaglia rodomontesca con due mosche fastidiose; una rissa con attori che sbaccanano e come palla si involvono e rotolano, con braccia e gambe che si agitano, tra pugni e morsi, e lampi di lama; un commissario con un occhio pesto e un orecchio morsicato, che per "scangio" viene arrestato dai carabinieri; una servente che prende a padellate e fa prigioniero un intruso, che l'ha distolta dalle occupazioni culinarie; un signore ben curato e ben vestito, che più volte va a un appuntamento: a vuoto sempre, e deluso. E c'è anche il remake di una scenetta antica e surreale (dal "Libro mio" di Pontormo passata a "Il contesto" di Sciascia) di chi, con la mente scardinata, sta chiuso in casa, e a chi bussa risponde di non esserci. In così lunatica atmosfera sembra che i dettagli creino digressioni. Ma è negli interstizi che il mistero prospera, insondabile; e lento scivola, dilatatorio, deviando gli aghi di qualsivoglia bussola e decorando di apparenze ingannevoli le sue trame da brivido. Il romanzo è un pantanoso labirinto del malamore, di un tenebroso malessere: geloso oppure ossessivo. Nel dedalo di meandri, giravolte, gomiti d'ombra, nasconde una "camera della morte": l'ultima, la più segreta, come quella delle mattanze nelle tonnare. A Vigàta i notturni sono di leopardiana bellezza. Non assolvono però il fruscio di invisibili ali di tenebra. Montalbano si è svegliato con una premonizione.
Un noir che disturba e sorprende, una tensione che sale piano come la marea. La storia di un amore che lentamente si trasforma in veleno, di un vuoto intimo che trasfigura una ragazza meravigliosa. In questo senso "Cosa resta di noi" fa pensare ai romanzi di Patricia Highsmith. Guia, la protagonista, chiama "morte vista al contrario" la sua impossibilità di avere un figlio: "una vita che non solo non inizia ma non riesce nemmeno ad essere concepita". Eppure è una ragazza nata per essere felice, di antica famiglia, scrittrice indirizzata al successo, sposata con un uomo che ama ed è pazzo di lei. Ma è in questa unione di felici che si infiltra il "lutto al contrario" del figlio mancato, come una crepa che si allarga e non si può fermare. Edo, il marito, il Narratore, segue le scene da questo matrimonio che si sta suicidando, nel letargo dorato degli inverni in Versilia, mentre Guia riversa in un prossimo romanzo tutta la sua disperazione e scrive di un tempo diverso da quello che stanno vivendo. Intorno le quiete banalità di coloro che "hanno tempo, soldi ed energie in surplus". Ma ad un tratto lo scenario cambia. Nella vita di Edo appare un'altra donna che però, pochi giorni dopo, svanisce nel nulla inspiegabilmente. La sua scomparsa diventa il caso del momento, segna l'irrompere di una realtà cieca e distruttiva nella crisi che Edo e Guia stanno cercando di affrontare.
Davanti alle sorprese del destino e agli scherzi della fortuna si può reagire e combattere, sentendosi ebbri e frastornati come una vespa in un bicchiere di vino. Oppure ci si può arrendere, lasciando che la vita faccia il suo corso, scegliendo, magari in modo avventato, di essere pronti a tutto. C'è un termine russo che descrive questo abbandono, "pofigismo": esprime una rassegnazione disperata ma assieme gioiosa di fronte agli avvenimenti imprevedibili che scaturiscono dall'assurdità del mondo. E con questo sentimento che i protagonisti dei racconti di Sylvain Tesson si mettono in cammino. Sono marinai, amanti, guerrieri, artisti, viaggiatori, borghesi, vivono a Parigi, Zermatt o Riga, in Afghanistan, nella Jacuzia, nel Sahara. E in uno di quei giorni in cui tutto cambia, quando la vita decide di fare di testa propria, hanno scelto di accogliere e sfidare il fato. Ma forse avrebbero fatto meglio a guardare da un'altra parte. In "L'eremita" un ingegnere francese su una piattaforma petrolifera si appassiona alla storia del Beato Costantino, che seguendo l'esempio di un famoso eremita aveva vissuto in solitudine e nella fede. "L'esilio" racconta l'emigrazione di Idriss, un giovane nigeriano che cerca di raggiungere l'Europa. Assieme alla famiglia ha messo da parte 5.000 dollari per pagare Yussef, che gli ha promesso di portarlo in Francia, il paese della felicità, o forse del rimpianto del passato.
Amato e rispettato da scrittori, critici e lettori, "Un amore senza fine" è una potente, viscerale meditazione sulla passione che diventa l'unico motore di una vita. Tradotto in venti lingue, ha ispirato due dei film meno riusciti della storia del cinema (secondo alcuni commentatori), di cui il più noto è quello di Franco Zeffirelli. Al centro del romanzo è la discesa negli inferi di un sentimento assoluto, la storia trascinante, furiosa, di forte ed esplicito erotismo di David Axelroad e Jade Butterfield, due ragazzi consumati dallo stupore dell'intimità e dell'attrazione reciproca. David e Jade non sembrano rendersi conto di quanto il loro rapporto, il desiderio, la sessualità, siano difficili da comprendere per chi sta loro attorno. Quando il padre di Jade allontana David dalla propria casa, il ragazzo immagina un piano per riguadagnare la fiducia dei genitori di lei. Ciò che segue è un incubo, l'immersione in un'oscurità in cui le emozioni di David sono un crimine e una malattia, un mondo di telefonate anonime, lettere folli e senza speranze, baratri e timori, alla ricerca costante, inevitabile, quasi punitiva dell'unica cosa che davvero conti per David: l'amore della sua ragazza e della sua famiglia.