
Questa è la storia di Jacques Rainier, cinquantanove anni, industriale, habitué dei salotti mondani internazionali, un uomo di successo che si accompagna senza alcuna remora a una giovanissima bellezza brasiliana. Un giorno Jacques si imbatte al Gritti a Venezia in Jim Dooley, un affascinante e ricco uomo d'affari della sua età, un texano da lui sempre ammirato e incontrato per la prima volta a Saint Moritz, ai campionati di bob, dove Dooley aveva vinto naturalmente. Quando, a Saint Moritz, aveva visto la figura alta dell'aitante texano in pullover rosso che si toglieva il casco all'arrivo della corsa e si voltava poi verso gli spettatori con un riso che pareva dar per scontato il possesso del mondo, Jacques non era riuscito a vincere una sensazione di inferiorità. Che delusione, perciò, rivederlo ora con i capelli grigi e i riccioli ormai incongrui su un volto pesantemente manomesso dal tempo. Lo sguardo azzurro diventato ormai vitreo. E quei discorsi, quelle confidenze, sugli acciacchi della vecchiaia. Dopo l'incontro con Jim Dooley la paura del declino fisico e sessuale si insinua in Jacques, lo pervade, lo distrugge, non lo abbandona più tra visite per il controllo della prostata e inattesi fallimenti con la giovane e ricca fidanzata brasiliana.
Eroe di guerra, diplomatico, cineasta, Romain Gary si suicidò il 3 dicembre 1980. La sua scomparsa fece scalpore ma il vero colpo di scena arrivò quando, pochi mesi dopo la morte, si scoprì che Gary ed Emile Ajar, autore del romanzo "La vita davanti a sé", erano in realtà la stessa persona. Il libro, che narra le vicende di Momo, ragazzo arabo nella banlieu di Belleville, figlio di nessuno, accudito da una vecchia prostituta ebrea, vinse il Goncourt inaugurando uno stile gergale da banlieu e da emigrazione, cantore di quella Francia multietnica che cominciava a cambiare il volto di Parigi.
A tutti è dato a un certo punto di dover fare i conti con le proprie ambizioni, i propri sogni e le proprie realizzazioni. A coloro, tuttavia, per i quali sogni, ambizioni e realizzazioni hanno il compito di tenere a bada o celare una natura fragile, una sensibilità eccessiva o un'origine sconveniente, questi momenti critici si danno spesso sotto forma di naufragi definitivi, catastrofi ineludibili, vergogne inappellabili. In queste storie, contenute in "Les oiseaux vont mourìr au Pérou", un'opera più ampia scritta nel 1960, subito dopo aver lasciato la diplomazia, Romain Gary tratta con ironia e tono scanzonato di queste catastrofi e di queste inappellabili, sublimi vergogne. C'è, ad esempio, il conte di N., ambasciatore di stanza a Istanbul, la città in cui le civiltà vengono a morire in bellezza. Alto, sottile, con un'eleganza che ben si accompagna a mani lunghe e delicate, il conte vagheggia di essere nominato a Roma. In realtà, un segreto struggimento lo rode, una fragilità che le buone maniere non sempre bastano a proteggere, e che lui attribuisce a un temperamento artistico inappagato. Il tono scanzonato con cui Gary tratta di questi destini non deve ingannare. Come lui stesso ebbe modo di dichiarare, al centro di questi racconti è "le phénomène humain", qualcosa che non cessava di sconcertarlo al punto da "farlo esitare tra la speranza di una qualche rivoluzione biologica o di una rivoluzione in quanto tale".
Pubblicato per la prima volta nel 1975, "La vita davanti a sé" fu subito accolto con grande favore dalla critica e dal pubblico francesi. L'opera vinse il Goncourt, il più prestigioso premio letterario francese, ed Émile Ajar, il suo misterioso autore, divenne di colpo il romanziere più promettente degli anni Settanta, l'inventore di un gergo da banlieue e da emigrazione, il cantore di quella Francia multietnica che cominciava a cambiare il volto di Parigi. Nel 1980, il colpo di scena. La comparsa nelle librerie di "Vita e morte di Émile Ajar", un libretto-confessione di Romain Gary dato alle stampe pochi mesi dopo la sua morte, rivelò al mondo letterario francese una verità inaspettata: l'autore di quelle pagine osannate da pubblico e critica cinque anni prima altri non era che Gary stesso, l'eroe di guerra, il diplomatico, il tombeur de femmes, già vincitore di un Goncourt con "Le radici del cielo", considerato da molti un sopravvissuto, un romanziere a fine corsa. Sono trascorsi molti anni da quelle vicende. "La vita davanti a sé" continua ad essere una delle opere più lette e amate nel mondo e Romain Gary è al centro oggi di una travolgente riscoperta da parte della critica e dei lettori.
Un incontro fortuito nelle strade di Parigi. Michel, pilota di linea, è ubriaco di dolore e si comporta come un fuggiasco. Lydia, un'elegante signora ebrea di origine russa, gli presta dei soldi per pagare un taxi. I due protagonisti passeranno insieme un giorno e una notte in cui, tra ricevimenti mondani, squallidi night-club e lunghe discussioni in automobile, cercheranno di elaborare ricordi, dolori e assenze. Lui non accetta di lasciarsi alle spalle la felicità e vorrebbe rivivere con lei quella religione della coppia che lo legava a Yannik. Lydia, dal canto suo, si accorge che dal fondo della propria disperazione è ancora in grado di aiutare qualcuno.
Salomone Rubinstein, un ricco ebreo polacco che in Francia è diventato il re della confezione in serie di pantaloni, si ritira dagli affari e fonda la S.O.S. Benevoli. Si tratta di un'associazione umanitaria per alleviare le sofferenze del prossimo e che accoglie anche gli appelli telefonici di quanti hanno urgente bisogno di aiuto: perché versano in ristrettezze finanziarie o sono malati o si trovano in difficoltà di ordine morale. All'inizio gli angosciati sono due: il vecchio Salomone Rubinstein e il giovane Jean, dalla faccia, ma solo, poco raccomandabile, che si arrangia come può aggiustando di tutto. L'incontro tra i due è "storico": Jean viene assunto da Salomone per recarsi "sui luoghi", cioè in casa di coloro che, per i motivi più disparati, si rivolgono alla S.O.S. Benevoli. Ed ecco, tra costoro comparire Coro Lamenaire, un ex cantante di canzoni "realiste", e un tempo amica di Salomon; una signora sessantacinquenne, ma ancora pimpante, che non riesce a dimenticare il suo passato di donna amata e applaudita. Su questo triangolo, tra Salomone, Jean e Coro, si costruisce la storia fatta di umorismo e angoscia ma che tuttavia, nel finale, si apre a un dolce sorriso di speranza.
Ogni giorno vissuto come se fosse l'ultimo. Ogni incontro, ogni parola pronunciata, l'ultima occasione. "La prima volta che ho sentito il nome di Johann Rukeli Trollmann avevo appena finito di allenarmi al sacco. Con le mani ancora fasciate e i guantoni, appresi la vicenda del pugile a cui il nazismo aveva tolto il titolo di campione perché "zingaro". Per tutta risposta, la volta dopo Trollmann era salito sul ring con il corpo cosparso di farina, i capelli tinti di giallo, si era lasciato battere. Quell'uomo aveva messo in scena la sconfitta dello stesso fanatismo ariano che ora lo crocifiggeva; aveva avuto il coraggio di guardare dritto in faccia il grande male del Novecento. Mi resi conto che quella non era una storia qualsiasi, era una sfida. E dovevo seguirla". Mauro Garofalo racconta la storia del campione tedesco di pugilato degli anni Trenta Johann Trollman, detto Rukeli, fondendosi con il suo personaggio, assumendone lo sguardo e le emozioni e ci porta con lui nel momento più terribile della storia, facendoci vivere una vicenda umana e sportiva, tragica e bellissima.
Era il bandito più famoso di quelle terre. Lo avrebbero seguito tutti all'inferno. Perché la libertà si paga con la vita. 1862, tempi duri in Maremma. Mentre la guerra civile impazza e le giubbe rosse di Garibaldi sbarcano al centro e al sud, il Capitano Bosco aiuta i mezzadri in lotta contro i padroni. Per molti è un eroe. Ma per l'uomo con la bombetta è un pericoloso avversario, il potente politico sta infatti cacciando i contadini dalle terre per costruire la ferrovia, mascherando i suoi loschi affari in nome dell'Unità d'Italia. Forte dell'appoggio del nuovo Stato voluto dai Savoia, rapisce la bella Elena, giovane donna di cui è innamorato il Capitano Bosco, e scatena contro di lui un esercito di militari e la ferocia del sanguinario criminale Enrico Stoppa. Tra inseguimenti nelle foreste a picco sul mare, Bosco trova sulla sua strada un'improbabile banda di compagni d'avventure: un ex schiavo proveniente dalle colonie eritree; un esperto di esplosivi; un misterioso samurai arrivato in Occidente con il circo; un anziano colonnello tiratore scelto e un ragazzino scampato al massacro della sua famiglia. Insieme a loro, Bosco darà l'assalto finale al potere che vuole distruggere le sue terre selvagge.
Per il ventenne Stefano Guerra la violenza è bellezza e l'odio una legge nuovissima e antica. C'erano anche lui e i suoi camerati a combattere contro la polizia in un lontano giorno del 1968, in Italia, a Roma, a Valle Giulia. Da quel giorno la vita del giovanissimo neofascista coincide con l'illusione della rivoluzione e l'asservimento reale a ogni potere, fino alla strage. E mentre prosegue il suo percorso di carnefice, sempre più disilluso, intorno a lui si snoda una storia che non avevamo mai letto. La storia segreta delle trame nere in Italia negli anni dal 1969 al 1972. Una storia che si apre oggi a prospettive sconfinate e inquietanti.
Lena è giovane, bellissima e intelligente e accanto ha un marito che farebbe qualunque cosa pur di renderla felice. Ma lei non sa più dare né ricevere amore fin da quando - aveva nove anni - qualcuno le ha rubato l'innocenza, segnandola per sempre. Un segreto nascosto con cura, sepolto nell'anima, un fantasma di cui però non riesce a liberarsi e che a poco a poco sgretola il suo equilibrio. L'affetto e la dedizione di Lorenzo non bastano, e nemmeno la nascita di Prisca scalfisce la scorza di questa donna gelida, nemica, distante. C'era la guerra all'epoca in cui Lena aveva vissuto sulla propria pelle la follia degli adulti; da allora è trascorso molto tempo, eppure lei continua a combattere un'infinita battaglia dentro se stessa, contro i demoni che l'assediano. La sua bambina la teme e la respinge fino al punto di odiarla, di non volerla vicino, e la tragica scomparsa di Lorenzo accelera il distacco della figlia dalla madre. Un rapporto distruttivo, logorante, che lentamente intacca anche la psiche di Prisca, inducendola a difendersi con una straziante, terribile forma di rifiuto... Ambientata fra il 1939 e i giorni nostri, una storia di infanzia tradita, di sentimenti calpestati, di amori molesti, cui la scrittura limpida e affilata di Barbara Garlaschelli imprime un pathos e una drammaticità crescenti, che catturano il lettore sino al liberatorio finale.
Ai giardini ci sono solo loro due. Si fronteggiano da due panchine distanti. Poi la bambina si alza, e si muove decisa verso il ragazzino. "Ciao. Sono Alida". Le città della pianura padana, in estate, quando l'afa invade le strade deserte, hanno qualcosa di allucinato, immobili come sono sotto il loro cielo ingannevole. Silenziose, con quell'eco lontana di campagna che nessuno più riconosce. Desolate e vuote, salvo i pochi abitanti rimasti per forza: chi non è potuto partire, qualche anziano, le donne straniere che se ne prendono cura e certi ragazzini sperduti nella loro solitudine infantile. Come Giacomo, arrivato ai giardini a bordo della sua inseparabile bicicletta rossa. E come Alida, in compagnia dell'immancabile cellulare. Lui scappa da un funerale, quello del nonno terribile che nessuno amava e che ora tutti compiangono. Lei fugge dalle ossessioni di una madre che vorrebbe controllarle anche il respiro perché non subisca le sue stesse ferite del corpo e dell'anima. Lui è convinto di essere un assassino. Lei di essere la responsabile dell'infelicità materna. E con quella sintonia istintiva e naturale, che solo i bambini sono capaci di provare, decidono di andarsene insieme. La loro scomparsa, e la disperata ricerca che subito inizia, costringerà la famiglia di Giacomo e la madre di Alida a fare i conti con i fantasmi del loro passato, con le loro colpe e i loro errori. Li costringerà a essere adulti.
A Firenze c'è una sontuosa villa cinquecentesca, la Gagliarda, residenza dei Guidobaldi e sede dell'impresa di famiglia. È lì che vive Vasco, quattordici anni, un bullo impenitente abituato a maltrattare professori, compagni e famigliari. A scuola Vasco fa pena, in compenso è imbattibile a Fortnite, progetta di diventare un gamer professionista e ha già migliaia di follower. Perché Vasco è così, sa di essere in credito con la vita e di avere diritto a tutto. Finché un giorno, a sorpresa, viene battuto da un avversario che si fa chiamare Dante e indossa il classico copricapo del Poeta. "Oh Guidobaldi, becca Montaperti! Or mi conoscerai, vil ghibellino. Ben ti convien tenere gli occhi aperti" chatta il misterioso giocatore. Ma chi è? E perché parla in versi? Appena può, Vasco torna in postazione e cerca la rivincita per umiliarlo come solo lui sa fare, senza sapere che la più esaltante e rivoluzionaria sfida della sua vita è appena cominciata. Luigi Garlando dà vita a un romanzo pirotecnico dove, a colpi di endecasillabi e battaglie reali, un adolescente di oggi dovrà vedersela con il più illustre e scatenato dei maestri: Dante Alighieri. Età di lettura: da 10 anni.