
Un giovane medico al capezzale del suo padre spirituale, ormai in fin di vita. Di fronte alle finestre dell'ospedale si distende il campo profughi di Shatila, in Libano. Il vecchio militante in coma sognava di scrivere una storia senza inizio né fine, la storia del popolo palestinese. Una storia che ora, in una sorta di terapia, gli viene raccontata dal suo discepolo: la guerra civile in Libano, gli episodi significativi della sua vita e gli itinerari di un pugno di uomini e donne accerchiati dalla storia, a partire dall'espulsione dalla Galilea nel 1948. Attraverso il furore affabulante messo in atto per rianimare un corpo allo stato vegetativo, il narratore dà vita a un intero popolo, al suo esodo, a cinquant'anni di guerre.
Il 13 aprile 1980, nel centro di Beirut, viene rinvenuto tra le immondizie il cadavere di un uomo sulla cinquantina. Il corpo presenta segni di torture. Il narratore - un laureato in scienze politiche costretto dall'immanenza della guerra civile a riciclarsi in impiegato presso un'agenzia di viaggi - si improvvisa giornalista e decide di scoprire chi ha ucciso Khalil Ahmad Jàbir, un cittadino qualsiasi, e perché. Ognuno dei sei capitoli centrali dà voce a un personaggio diverso tra quanti hanno conosciuto o anche solo incontrato la vittima, ed è attraverso le loro parole che l'autore cerca di ricostruirne la personalità e le traversie (sono la moglie, la figlia, un vicino, la portiera, un miliziano e un netturbino). Ed è nell'incessante accumulo di storie che partono o si concludono con morti violente che l'assassinio di Khalil Jàbir perde di significato, da eccezionalità diventa quotidianità.
Daniel, che tutti chiamano Yalo, ha trent'anni quando viene arrestato per rapina, stupro e detenzione di esplosivi. Prima di essere processato trascorre due anni nelle mani dei Servizi segreti libanesi che, usando ogni possibile forma di tortura psichica e fisica, lo costringono a ripercorrere la propria vita e a definire la propria identità.
Mentre le confessioni di Yalo si succedono, incontriamo gli altri membri della sua famiglia: il nonno, Padre Efrem Abyad, cresciuto in ambiente curdo e di religione musulmana e divenuto poi sacerdote della Chiesa Ortodossa Siriaca a Beirut, e la madre, Gaby, che la guerra civile ha obbligato a lasciare Beirut Ovest per rifugiarsi nella parte cristiana della città, facendole perdere non solo la casa ma anche l'amore di tutta una vita.
Da tutto questo, Yalo si emancipa entrando nelle milizie delle Forze Libanesi nelle cui fila combatte per un decennio; poi emigra in Francia assieme a un commilitone e infine rientra in Libano grazie all'intervento di un ricco compatriota che lo assume come guardiano della propria villa nei dintorni di Beirut. Nel bosco che circonda la casa, Yalo, per due anni, vive in solitudine facendo la posta alle macchine delle coppiette che si appartano sotto i pini: è in una di queste occasioni che il destino gli fa incontrare Chirine, di cui si innamora perdutamente e che è la causa del suo arresto e della sua redenzione.
Mescolando sapientemente le gioie della sensualità con l'orrore della violenza cieca, la passione con il sangue, il potere della memoria con le insidie dell'oblio, Elias Khuri ci conduce al cuore degli abusi di potere e fa di Yalo il simbolo di tutte le vicende individuali che la Storia vuole cancellare
Beirut, gennaio 1990, notte fonda. È il giorno del suo quarantesimo compleanno e Karim Shammas sta aspettando il taxi che lo porterà all'aeroporto a prendere il volo per tornare a Montpellier, dove vivono sua moglie e i suoi figli. Per la seconda volta, a distanza di più di un decennio, si lascerà alle spalle il Libano, Beirut, una società che in quindici anni di guerra civile ha perso tutti i suoi valori di riferimento. Karim Shammas celebra il suo compleanno da solo, in una città al buio, percorsa dalle raffiche di kalashnikov e dai colpi di mortaio a cui, di lì a pochi mesi, si imporrà di partorire la pace. Verrà a raggiungerlo, nella notte, almeno una delle donne che lo hanno accompagnato nei mesi beirutini? Verrà la giovane Ghazaleh, dalla sessualità dirompente? Verrà Muna, la borghese che non vuol sentire parole d'amore banali? Verrà Hind, la fidanzata di gioventù ora moglie di suo fratello? Quel che è certo è che verranno i ricordi. Verranno gli anni dorati dell'infanzia, verrà la sicurezza di un rapporto osmotico con il fratello quasi gemello, verrà l'afflato sessantottino della giovinezza, verrà il cameratismo della militanza. E verranno la paura, la fuga, il ritorno in un paese che non è più il suo paese, verrà la disillusione di chi, non solo in Libano, ha creduto nella giustizia sociale. Tornerà davvero a Montpellier, Karim Shammas?
1995, campo profughi di Shatìla, Libano. All'ospedale Galilea viene portato, in coma, un anziano combattente per la liberazione della Palestina che in gioventù aveva fatto da padre putativo al medico-infermiere che ora lo assiste, il dottor Khalìl. Rifiutandosi di lasciarlo morire, Khalìl decide di curarlo con la terapia della parola e si lancia in un lungo racconto che, coprendo un arco temporale di oltre cinquant'anni, ripercorre la vita dei due uomini ora chiusi nella stanza d'ospedale. Alle tappe del leggendario amore che ha unito Yùnis il fedayin alla moglie rimasta in Galilea e diventata cittadina israeliana "La porta del sole" affianca le vicende di tutta un'umanità che ha subito la Storia senza lasciare traccia di sé. "Bisogna riconoscere ad ognuno il diritto di raccontare la propria storia," scriveva il grande poeta Mahmùd Darwìsh e a quest'imperativo, con mano ferma, "La porta del sole" risponde. Denunciando ogni forma di vittimismo, abbandonando ogni retorica volta a mitizzare eroismo e martirio e ammettendo le debolezze della sua gente senza per questo screditarla, Elias Khoury riesce nella difficile impresa di raccontare i palestinesi in quanto individui e non soltanto la loro causa. Dal romanzo nel 2004 il regista egiziano Yousri Nasrallah ha tratto il film che porta lo stesso titolo.
Durante il calvario degli armeni negli anni della prima guerra mondiale, attraverso la sua personale odissea, la bambina diventa adolescente, diventa donna, e forma il suo carattere e il suo destino affrontando la fatica insensata di continuare a percorrerla, quella strada infinita che porta verso il nulla, verso un destino ignoto che non è più nelle sue mani: eppure esiste, chiude nel fondo del cuore le ferite e i ricordi che più fanno male, e riesce a misurarsi con ogni disavventura.
«Sono nata ricca, ma ho visto la mia fortuna involarsi come uno stormo d’uccelli. Soltanto i miei ricordi mi appartengono, sono tante fragili tracce impresse dentro di me. Certi giorni, il sole le illumina; certe notti, rimangono intrappolate in una tempesta di ghiaccio.
Vivevamo a Marache, in Turchia, al confine con la Siria. È lì che sono venuta al mondo nel 1901. Mio nonno, Joseph Kerkorian, era armeno. Un uomo importante e saggio, solido come una roccia. Se, dopo l’inferno che ho conosciuto, dentro di me è rimasta una particella di fiducia nell’umanità, è grazie a lui.
Avevamo una casa magnifica, e un immenso giardino dai fiori di mille colori. Sono stata amata da mio padre, dalla mamma dai baci di lavanda, dalla sorellina Marie, dal mio impetuoso fratello Pierre e da Prescott, il nostro gatto armeno con un nome da lord inglese. E da Gil, il piccolo orfano ribelle che un giorno, sotto il salice piangente, mi ha dato il mio primo bacio. Erano giorni immensi, eppure non potevano contenerci tutti.
Nell’aprile 1915, il governo turco ha preso la decisione che ha precipitato le nostre vite nell’orrore: gli armeni dovevano sparire.
Può un cuore dilaniato continuare a battere? E un giardino devastato dare nuovi fiori? Come posso donare ancora, proprio io, a cui hanno tolto tutto?
Ascolta Joraya, mia adorata nipote, il racconto di una vita mille volte dispersa.»
C’è qualcosa che non torna nel mondo degli adulti. Passano il tempo a sgridare noi bambini, a dirci che dobbiamo fare così e cosà, e poi basta vedere il telegiornale per capire che dovrebbero solo stare muti e lasciare comandare noi.
Un giorno ho sentito in una trasmissione che lo Stato deve proteggere i bambini, ma quando sono arrivato a casa da scuola e mio padre, ubriaco come sempre, ha picchiato mia madre, Maxence e me, mi è proprio venuta voglia di telefonargli, allo Stato. Solo che non sapevo chi chiamare.
Il mio nome è Slimane, Maxence è mio fratello, ha tredici anni, solo due più di me, ma sembra molto più grande. Lui è la mia roccia, mi protegge dal Demone, come chiamiamo nostro padre, e riesce sempre a rassicurarmi. Mi ha anche fatto delle ali d’angelo, e quando le cose si mettono proprio male, ne infiliamo una ciascuno e immaginiamo di volare via.
La vita è davvero fatta male. Tutti lo sanno, ma nessuno sa dove fare denuncia. Dunque si fa finta che tutto sia normale. Ma io dico che non è affatto così. È solo una grande fregatura.
Per questo Maxence un giorno ha deciso di andare nel paese senza adulti, e mi ha lasciato qui da solo. Io ho provato a raggiungerlo, ma devo aver sbagliato strada. O forse no.
Il giorno in cui, in uno scavo archeologico in Pakistan, Amal, una bambina di otto anni, trova un importante fossile in compagnia del nonno Zahoor, la sua sorellina Mehwish diventa cieca, probabilmente per aver guardato troppo il sole. Zahoor, un archeologo il cui darwinismo è sottoposto a un attacco violento da parte degli islamici radicali, incoraggia la curiosità di Amal e la ragazzina diventa una valente studiosa e, al tempo stesso, la protettrice di Mehwish.
Il nonno è pieno di consigli e di riguardi anche per Mehwish che, crescendo, si afferma come un'eccellente poetessa, capace di creare un linguaggio lirico tutto suo dall'unione di inglese e urdu.
Anni dopo l'incidente accorso a Mehwish, durante una delle conferenze di Zahoor, le due ragazze si imbattono in Noman, un giovane spedito dal padre, membro del partito islamico della creazione del generale Zia, a spiare l'anziano e rispettabile archeologo. Il tormentato ma, ad un tempo, deferente Noman ha abbandonato le sue ambizioni di studioso di matematica per scrivere articoli in difesa della Sharia e della più stretta osservanza della Legge coranica, benché ceda di tanto in tanto alla marijuana e all'alcol in compagnia dei suoi amici nichilisti.
L'incontro con il laico e illuminato Zahoor muta completamente la vita di Noman che si ritrova combattuto tra la sua lealtà alla famiglia e il suo risveglio intellettuale.
Quando Zahoor è tratto in arresto, Noman incolpa se stesso, rompe con il padre e si dà all'insegnamento della matematica.
Benché sia poi attratto da Amal, Noman si innamora, nella maniera più pura e spirituale, di Mehwish, un amore immediatamente corrisposto. Con conseguenze tragiche sulla vita delle due sorelle e di Noman stesso.
Siria, 1980. Il regime di Hafez al-Assad reprime ferocemente i tentativi di insurrezione, sfociati anche in un fallito attentato contro di lui, organizzati dalla leadership sunnita. Le famiglie siriane, famiglie normali, con i loro amori, speranze e tradimenti, sono strette tra il fondamentalismo e un regime poliziesco e corrotto. Una giovane universitaria, cresciuta in un'antica casa tradizionale nel cuore di Aleppo sotto l'influenza conservatrice dello zio Bakr, aderisce alla causa per la caduta del regime e diviene un'attivista convinta. La sua famiglia vive prigioniera delle proprie passioni e ossessioni, nel ricordo del suo antico splendore derivante dal commercio di preziosi tappeti, difeso con i denti dalla bigotta, ma infine tenera, zia Maryam. E poi ci sono il vecchio servitore cieco Radwan; zia Marwa, che disonora la famiglia per il suo amore verso un ufficiale del Baath; il misterioso Abdallah, marito di zia Safa, che dallo Yemen all'Afghanistan sposa la causa della creazione di uno stato islamico; e tanti altri. E infine la giovane protagonista che narra l'intera vicenda mentre si appresta -a subire la reazione violenta del regime. Khaled Khalifa compone la sua personalissima geografia dell'odio, senza moralismi, con uno sguardo lucido, in questo "Cento anni di solitudine" del mondo arabo che ha sfidato le leggi della censura e scosso in profondità la coscienza di un intero popolo.
Sullo sfondo di una città messa a ferro e fuoco da vent'anni di guerre Yasmina Khadra ambienta questa storia che mette i brividi, una vicenda che sembra uscire da una tragedia classica, con quattro protagonisti colti in un momento cruciale della loro esistenza: Atiq, il guardiano del carcere che non riesce più a sostenere il ritmo delle esecuzioni, sua moglie Mussarat, condannata da un male incurabile, Mohsen, un borghese decaduto, e sua moglie Zunaira, un tempo avvocato e sostenitrice della causa femminista. Ognuno di loro incarna un modo diverso di rispondere all'integralismo: la resistenza, la pazzia, la sottomissione, la fuga nell'illusione. Ma per tutti e quattro viene il momento di dare un senso alla propria vita, attraverso l'amore e il sacrificio. Yasmina Khadra scaraventa il lettore nel cuore di una follia in cui si perdono i confini tra vita, amore, morte e sopravvivenza. Un bagno al vetriolo da cui si esce sconvolti, un romanzo straordinario, che è anche un grandioso inno alla donna, da una delle più importanti voci del mondo arabo.
In seguito a un terribile lutto famigliare e allo scopo di superare il suo dolore, il dottor Kurt Krausmann accetta di accompagnare un amico in un viaggio alle isole Comore. La loro barca viene attaccata dai pirati al largo della Somalia, e il viaggio "terapeutico" del medico si trasforma in un incubo. Preso in ostaggio, picchiato, umiliato, Kurt scopre un'Africa traboccante di violenza e intollerabile miseria, dove "gli dèi non hanno più pelle sulle dita a furia di lavarsene le mani". Insieme al suo amico Hans e a un compagno di sventura francese, Kurt troverà la forza per superare questa prova? Yasmina Khadra ci guida in un viaggio vivido e realistico che, dalla Somalia al Sudan, ci mostra un'Africa orientale di volta in volta selvaggia, irrazionale, saggia, fiera e infinitamente coraggiosa. "L'equazione africana" descrive la trasformazione lenta e irreversibile di un europeo i cui occhi si apriranno a poco a poco alla realtà di un mondo fino ad allora sconosciuto.