
In Kraus, maestro della satira grottesca e della risata amara, l'ironia sferzante e lo spirito anticonformista si traducono in articoli provocatori e dissacranti sulla società umana e le sue imperfezioni. Questa antologia originale curata e tradotta da Simone Buttazzi raccoglie satire, lettere e aforismi di grande attualità, nei temi e nella forza dirompente. Tra gli inediti troviamo "Le voci di corridoio" e "Il necrologio", il caustico testo autobiografico "Io e l'esilarante. Quando la sezione austriaca del club internazionale degli scrittori avrebbe dovuto accettarmi tra le sue fila". La penna pungente e sottile dell'autore austriaco, il suo "bisturi tagliente" secondo la definizione di Walter Benjamin, permette a Kraus di cogliere e distinguere ogni frammento della propria epoca - della nostra epoca - con incredibile attualità: la parodia del militarismo e del nazionalismo, i guasti della classe politica, la schizofrenia dell'opinione pubblica e del giornalismo, le storture della giustizia e le ipocrisie morali dei contemporanei.
A soli tredici anni Dita viene deportata ad Auschwitz insieme alla madre e rinchiusa nel settore denominato Campo per famiglie (tenuto in piedi dalle SS per dimostrare al resto del mondo che quello non fosse un campo di sterminio): quello che conteneva il Blocco 31, supervisionato dal famigerato "Angelo della morte", il dottor Mengele. Qui Dita accetta di prendersi cura di alcuni libri contrabbandati dai prigionieri. Si tratta di un incarico pericoloso, perché gli aguzzini delle SS non esiterebbero a punirla duramente, una volta scoperta. Dita descrive con parole di una straordinaria forza e senza mezzi termini le condizioni dei campi di concentramento, i soprusi, la paura e le prevaricazioni a cui erano sottoposti tutti i giorni gli internati. Racconta di come decise di diventare la custode di pochi preziosissimi libri: uno straordinario simbolo di speranza, nel momento più buio dell'umanità. Bellissime e commoventi, infine, le pagine sulla liberazione dei campi e del suo incontro casuale con Otto B Kraus, divenuto suo marito dopo la guerra. Parte della storia di Dita è stata raccontata in forma romanzata nel bestseller internazionale "La biblioteca più piccola del mondo", di Antonio Iturbe, ma finalmente possiamo conoscerla per intero, dalla sua vera voce. La vera storia di Dita Kraus, la giovanissima bibliotecaria di Auschwitz, diventata un simbolo della ribellione, finalmente raccontata da lei stessa.
Tre ragazzini di dodici anni: James, schiacciato dalle aspettative dei genitori e voglioso di fare il bravo ragazzo; Reggie, uno sbandato senza padre e con una madre che passa da un fidanzato all'altro; e Willie, debole e sognatore. In un'estate da incubo Willie è investito da un camion e perde un braccio. Subito dopo sorte ancora peggiore tocca a un altro ragazzino, investito e ucciso. Si diffonde la sindrome del camionista serial killer, e viene decretato il coprifuoco: per Reggie, James e Willie, l'occasione ideale per lanciarsi in esaltanti scorribande notturne, spedizioni proibite nelle quali tireranno fuori il meglio e il peggio di sé. Fino a uno scioglimento drammatico, che li costringerà a crescere e segnerà a fondo le loro vite.
Su un ponte ferroviario un uomo è circondato da sette derubarlo. L'uomo è György Korin, che inizia a parlare in tono disperato, quasi folle, nella speranza di distrarli e insieme di consolare sé stesso. Korin racconta di aver scoperto in un piccolo villaggio ungherese un antico manoscritto di incredibile bellezza: la storia epica di un gruppo di soldati che deve affrontare il ritorno a casa dopo una guerra disastrosa. Il valore del libro è tale che Korin decide di portarlo a New York e una volta lì riversarlo tutto in Rete per concedergli l'eternità. Guerra e guerra è la storia di questa missione, dei molti incontri del protagonista lungo il suo cammino, in un mondo diviso tra brutalità e bellezza. Un romanzo segnato da un realismo tale che la sua esistenza non si limita alle pagine, ma già durante la stesura ha vissuto altre vite - sotto forma di messaggi dell'autore ai suoi lettori e di un racconto - fino a invadere la realtà con una targa: nell'ultimo capitolo infatti il protagonista chiede che l'epilogo della sua vita venga fissato in un'unica frase su una targa commemorativa, e che questa targa venga collocata nei pressi di una scultura di Mario Merz, sul muro di un museo svizzero. E così è stato: la targa è stata a tutti gli effetti inaugurata il 27 giugno 1999, una domenica, alle ore 11 di mattina, alla presenza di tutte queste persone; per l'occasione sono stati invitati anche lo scrittore e Mario Merz. Per l'edizione italiana l'autore ha raccolto tutti questi elementi perché i lettori possano ripercorre l'intera esistenza di Guerra e guerra dalla prima all'ultima parola.
Giunto ormai al capitolo decisivo della vita, il barone Béla Wenckheim torna nel paese natio in una sperduta provincia ungherese. La sua è una figura avvolta nel mistero: chi lo incrocia lo descrive come inverosimilmente pallido, magro e alto come un grattacielo, occhi neri, sguardo trasognato. A causa dei debiti di gioco è fuggito da Buenos Aires, dove viveva in esilio, e non desidera altro che riunirsi al grande amore di gioventù, la sua Marietta o Marika: lui la chiama Marietta, ma per tutti gli altri è Marika. Il viaggio del barone si intreccia con quello del Professore, uno dei massimi esperti mondiali in muschi e licheni, che a sua volta si ritira dagli allori accademici per rinchiudersi in un selvatico eremitaggio e dedicarsi a faticosi esercizi di esenzione dal pensiero nelle immediate vicinanze della città di Béla Wenckheim. Il ritorno del barone, che nella tensione dell’attesa è foriero di ricchezza per tutti, è ammantato da un rincorrersi di voci e da un turbine di pettegolezzi; attraverso le pagine graffianti dei giornali scandalistici ci immergiamo nella realtà del mondo ungherese e nella condizione di precarietà non solo economica in cui versa. Ma cosa succede se il Messia tanto atteso non porta con sé la salvazione ma anzi il giudizio universale? Un romanzo visionario che racconta l’assurdità del presente al ritmo di una marcia funebre.
I protagonisti di questi memorabili racconti vivono lontano da casa: spesso sono immigrati russi da poco in America, altri in Russia hanno fatto ritorno per trovarvi un paese che a malapena riconoscono. Quasi tutti sperano che l’amore possa dare un senso alle loro vite. E se l’amore non c’è, ci provano lo stesso con una sua pallida imitazione. Anya ha 22 anni e riesce a farsi aiutare dalla legge per proteggersi dalle violenze del marito americano, lui spera nel perdono, ma Anya capisce che un futuro con Ryan sarebbe come ritornare in Russia: un compromesso che sa di sconfitta. Un immigrato georgiano riceve la visita del figlio adolescente e tra i due le tensioni sono feroci e palpabili. Victor cerca di dialogare con la figlia, ormai perfettamente americanizzata, di un suo vecchio amore di quando viveva in Russia. Un uomo torna a Mosca dalla moglie e cerca di applicare sul mercato azionario russo alcuni trucchi che ha imparato a Wall Street... L’eccezionale debutto di una scrittrice che sa quanto nella vita sia necessario fare compromessi e sperare.
Nel luglio del 1941 i nazisti arrivano nella piccola cittadina di Zolkiew, in Polonia, e la vita per la giovane Clara cambia per sempre. Mentre nei mesi successivi molte delle famiglie ebree intorno a lei vengono uccise o deportate, Clara e i suoi riescono a nascondersi insieme ad altri in una fossa scavata sotto la casa di una famiglia tedesca, i Beck. Il signor Beck, ubriacone, donnaiolo e antisemita dichiarato, è un uomo imprevedibile e le sue azioni mettono in pericolo le famiglie nascoste sotto casa sua ogni singolo giorno. Eppure, rischierà la vita per quasi due anni pur di salvarle... Per tutto il periodo della guerra Clara ha tenuto un diario. Ora, sessantenni dopo, ha trovato la forza per riprendere i fili della memoria e ripercorrere quei giorni spietati e duri, vissuti tra la crudeltà e la viltà, senza mai arrendersi alla disperazione e all'ingiustizia. "La guerra di Clara" trasporta il lettore in un ambiente affollato e buio, gelido d'inverno e soffocante d'estate, e lo costringe a trattenere il fiato con le persone che temono per la propria esistenza, giorno dopo giorno, per diciotto lunghi mesi.
L’Everest o Dea del Cielo è sempre stato oggetto di fascinazione, ossessione e desiderio sia per gli alpinisti sia per i sognatori. Ormai, se si ha il denaro necessario, è alla portata di tutti. Basta prenotarsi in una delle poche agenzie turistiche specializzate in emozioni estreme e firmare l’assegno. Quando nel maggio del 1996 Krakauer fu inviato dalla prestigiosa rivista Outside a partecipare a una spedizione sull’Everest per scrivere un articolo sulla proliferazione delle scalate a pagamento condotte da guide professioniste, sembrò il logico coronamento di una carriera che era riuscita a combinare le sue due passioni: l’alpinismo e la scrittura. Il 10 maggio, però, una tempesta colse di sorpresa le quattro spedizioni che si trovavano sulla cima. Alla fine della giornata nove alpinisti erano morti, incluse due delle migliori guide. Krakauer è tra i fortunati che sono riusciti a ridiscendere «la Montagna». Aria sottile è molto più che la cronaca di quella tragedia; oltre ad offrire un punto di vista privilegiato – quello della prima persona – su una vicenda che a distanza di quasi vent’anni fa ancora discutere, offre soprattutto un esame provocatorio delle motivazioni che stanno dietro alle ascensioni ad alta quota e una drammatica testimonianza del perché quella tragedia si poteva evitare. Krakauer descrive in modo indimenticabile la fatica di esistere e ancor più di muoversi a 8000 metri. È un acuto esaminatore dell’ascetismo masochistico che spinge gli alpinisti; sa che per voler salire sull’Everest bisogna avere una buona dose di follia. La sua storia contiene quella che deve essere l’essenza dell’inferno: l’infinita capacità delle cose di divenire peggiori di quello che temi. Grazie alla sua straordinaria capacità narrativa che rende vivido il racconto di ogni passo sulla montagna e alla feroce critica delle decisioni prese lassù quel 10 maggio, Krakauer ha scritto un bestseller che è diventato ormai il classico indiscusso della letteratura di montagna.
In questa raccolta di articoli Krakauer descrive esperienze mozzafiato proprie ed altrui sulle pareti delle più ambite e difficili montagne del mondo. La sua attenzione però è rivolta più all'analisi della passione per il rischio che non al risultato. Scopo del libro è sfrondare la mistica che circonda l'alpinismo e dimostrare che "di fatto gli scalatori non sono, per la maggior parte, degli squilibrati, ma solo persone soggette a una forma particolarmente acuta della Condizione Umana".
Nell'aprile del 1992 Chris McCandless si incamminò da solo negli immensi spazi selvaggi dell'Alaska. Due anni prima, terminati gli studi, aveva abbandonato tutti i suoi averi e donato i suoi risparmi in beneficenza: voleva lasciare la civiltà per immergersi nella natura. Non adeguatamente equipaggiato, senza alcuna preparazione alle condizioni estreme che avrebbe incontrato, venne ritrovato morto da un cacciatore, quattro mesi dopo la sua partenza per le terre a nord del Monte McKinley. Accanto al cadavere fu rinvenuto un diario che Chris aveva inaugurato al suo arrivo in Alaska e che ha permesso di ricostruire le sue ultime settimane. Jon Krakauer si imbattè quasi per caso in questa vicenda, rimanendone quasi ossessionato, e scrisse un lungo articolo sulla rivista "Outside" che suscitò enorme interesse. In seguito, con l'aiuto della famiglia di Chris, si è dedicato alla ricostruzione del lungo viaggio del ragazzo: due anni attraverso l'America all'inseguimento di un sogno. Questo libro, in cui Krakauer cerca di capire cosa può aver spinto Chris a ricercare uno stato di purezza assoluta a contatto con una natura incontaminata, è il risultato di tre anni di ricerche.
Nell'inverno del 1927 Breslavia rabbrividisce alla notizia di una serie di delitti che insanguinano la città. Nel giro di pochi giorni vengono rinvenuti i corpi di un musicista murato vivo, di un operaio fatto a pezzi e di un consigliere comunale impiccato con una corda di violino. Sul luogo del delitto, immancabilmente, si ritrova la pagina strappata di un calendario. Le indagini, di cui viene incaricato l'ispettore della polizia Eberhard Mock, sempre in coppia col solito Herbert Anwaldt, parrebbero evocare un antico passato. Ma Mock, oltre agli omicidi, ha varie gatte da pelare, specie da quando la giovane moglie lo ha lasciato scappando a Berlino.
Può un mostro essere uno strumento nelle mani di Dio? Questo arriva a chiedersi Eberhard Mock, al culmine di quella che crede essere l'ultima indagine della sua vita. E quanti sono i giusti che hanno diritto a lasciare Breslavia, la città-fortezza condannata, con gli invasori sovietici che ormai stanno spezzando ogni resistenza, e con i potenti del regime consumati tra orge e violenze? A sessantadue anni Mock è stato rimosso dal suo incarico nella Kriminalpolizei. Ma non resiste all'impulso di lanciarsi a capofitto in un'ardua indagine privata: chi ha ucciso e orribilmente violentato la giovane nipote della contessa antinazista Gertrude von Mogmitz? Sono stati i sovietici? Un gerarca nazista impazzito per lussuria? Mock si addentra nei labirinti della sterminata città sotterranea dove si sono rifugiati i difensori di Breslavia, tra ratti, polvere, macerie, cadaveri e sangue, guidato solo dalla luce di un vangelo molto privato che si oppone a ogni paganesimo. E si addentra nell'abisso sempre più cupo dell'animo umano: fino alle acque più profonde, da dove è difficile risalire. Anche per chi, come Mock, "ha fame e sete della giustizia".

