
Esistono ancora luoghi veramente selvaggi? Luoghi sconfinati, isolati, elementari, splendidi e feroci, che seguono leggi e ritmi propri, incuranti della presenza umana? E se mai sopravvivono, dove cercarli? Dopo aver fantasticato fin da bambino sui luoghi selvaggi della letteratura, Robert Macfarlane - appassionato alpinista, critico letterario e professore a Cambridge - intraprende una serie di viaggi alla ricerca della natura selvaggia ancora presente in Scozia, in Inghilterra e in Irlanda. E quella che traccia è una mappa della selvaticità che luogo dopo luogo - dalle isole Skelligs alla vetta del Ben Hope, dalla mitica Rannoch Moor alla spiaggia di Orford Ness - si trasforma sotto i suoi stessi occhi in un vero e proprio romanzo di formazione, segnato da incontri e addii, da scoperte e sorprese. Seguendo le orme dei padri del deserto, dell'epica nordica, dei grandi "narratori" dell'incanto della natura (Thoreau, Muir, Coleridge, ma anche Calvino, W. H Murray e l'amico Roger Deakin), degli scienziati affascinati dal mistero delle diversità e delle analogie, Macfarlane si avventura in prima persona fuori dagli angusti confini del noto e del domestico e traccia un nuovo itinerario, personale e profondo, in territori di pietra, di legno e di acqua, che scopriamo con lui straordinariamente vivi, sconosciuti e raggiungibili.
"Gli uomini sono animali, e come tutti gli animali anche noi quando ci spostiamo lasciamo impronte: segni di passaggio impressi nella neve, nella sabbia, nel fango, nell'erba, nella rugiada, nella terra, nel muschio. È facile tuttavia dimenticare questa nostra predisposizione naturale, dal momento che oggi i nostri viaggi si svolgono per lo più sull'asfalto e sul cemento, sostanze su cui è difficile imprimere una traccia. Molte regioni hanno ancora le loro antiche vie, che collegano luogo a luogo, che salgono ai valichi o aggirano i monti, che portano alla chiesa o alla cappella, al fiume o al mare". Robert Macfarlane è l'ultimo, celebrato poeta della natura, erede di una tradizione che da Chaucer fino a Chatwin e Sebald è capace di trasformare una strada in una storia, un sentiero su un altopiano in un viaggio nella memoria. Riallacciando l'ancestrale legame tra narratore e camminatore, Macfarlane compie il gesto più semplice, eppure oggi anche il più radicale: quello di uscire dalla sua casa di Cambridge e iniziare a camminare, a camminare e osservare, a osservare e raccontare. Battendo i sentieri dimenticati di Inghilterra e Scozia, l'antico "Camino" di Santiago, le strade della Palestina costellate di checkpoint e muri di contenimento, gli esoterici tracciati tibetani, Macfarlane riesce, come un autentico sciamano, a far parlare paesaggi resi muti dall'abitudine, a dare voce ai fantasmi che li abitano, a leggere i racconti con cui gli uomini hanno abitato il mondo.
«Scoprire» è togliere ciò che serve a nascondere alla vista, riscattare dalle profondità ciò a cui era negata la luce. Partire dall'oscurità, allora, per comprendere più chiaramente: è questo che si propone Robert Macfarlane quando decide di intraprendere i suoi viaggi di esplorazione nel sottosuolo. Girando il mondo alla ricerca dei luoghi più nascosti, inaccessibili, straordinari, l'autore si è affidato a scienziati e guide locali per scendere nel ventre della Terra, e alla pagina scritta per riemergerne con nuove consapevolezze. Perché qui, sotto i nostri piedi, la mappa delle relazioni tra gli esseri umani e la natura si fa complessa, ma anche più nitida e affascinante. E luoghi insospettabili si rivelano custodi di arcani segreti. Come le Mendip Hills - non troppo lontane da casa per Macfarlane - che sovrastano tumuli funerari dell'Età del bronzo, o Boulby, nello Yorkshire, dove in un laboratorio a quasi un chilometro sotto la superficie si registrano segnali della materia oscura dallo spazio. O la romantica Parigi che si sdoppia nell'inquietante città invisibile delle catacombe - in cui lo scrittore si cala sfidando coraggiosamente la claustrofobia -, oggi considerata meta di pellegrinaggio da chi pratica l'urban exploration. O l'altopiano del Carso, attraversato da fiumi sotterranei scavati nel calcare. O le remote isole Lofoten, animate da misteriosi danzatori rossi dipinti nelle grotte marine, o la Groenlandia, dove si può ascoltare il blu dei ghiacci sofferenti per i cambiamenti climatici. O ancora Olkiluoto, in Finlandia, dove i rifiuti nucleari vengono sepolti in un nascondiglio che potrebbe trasformarsi in un devastante vaso di Pandora per i posteri. Ogni avventura sotterranea di Macfarlane diventa un racconto speciale, affollato di personaggi autentici e appassionati e percorso dalle parole di poeti, scrittori, artisti, studiosi che hanno corteggiato le profondità della Terra prima di lui. E tra le stratificazioni del passato e del presente, Macfarlane scorge anche una speranza per il futuro: perché solo attraverso la conoscenza di ciò che è stato sarà possibile orientarsi negli abissi ignoti di ciò che verrà. E correggere la rotta prima che sia troppo tardi.
Portogallo, 1947. Nascono Pedro e Paula: sono due gemelli ma non si somigliano affatto, né fisicamente né per carattere. Dopo un'adolescenza trascorsa nel Mozambico coloniale al seguito del padre, Pedro diventa medico e tornerà a Lisbona solo alla morte del genitore. Paula, invece, fa la pittrice e partecipa al maggio francese, per poi raggiungere a Londra Gabriel, il suo padrino, e divenirne l'amante. Negli anni Ottanta i due gemelli avranno un violento litigio dalle conseguenze dolorosissime. Nel romanzo di Macedo cinquant'anni di politica portoghese rivivono attraverso la storia dei due gemelli.
Nelle prime pagine del libro Helen Macdonald riceve una telefonata: il padre, celebre fotoreporter, è morto all'improvviso d'infarto. Priva di legami e di un lavoro stabile (è ricercatrice associata part-time all'università di Cambridge), Helen si accorge bruscamente di non avere nulla che possa distrarla dal lutto e sprofonda in una violenta depressione. Passano i mesi: instaura una relazione sentimentale e poi la sabota, legge testi sul lutto, si isola, si trascina. Poi, d'improvviso, un sogno ricorrente sui falchi fa scattare in lei una sorta di epifania: per uscire dal gorgo che la soffoca addestrerà un falco, ma non un falco qualsiasi, piuttosto un astore, uno dei piú grossi e feroci rapaci che esistano, un animale del sottobosco, sanguinario e predatore. Cosí entra in scena Mabel, "un rettile. Un angelo caduto. Un grifone uscito dalle pagine miniate di un bestiario". Helen si ritira dalla comunità per dedicarsi esclusivamente all'addestramento dell'animale, in un isolamento ossessivo. Il racconto dell'addestramento, dell'osservazione del comportamento della giovane Mabel, della paura, della fascinazione e della strana tenerezza che prova per l'animale, s'intreccia con la rilettura del libro "The Goshawk" di T. S. White e quindi con la rievocazione della biografia di questo scrittore, autore tra le altre cose di un libro su Artú poi ripreso dalla Disney in La spada nella roccia...
Una passione breve e bruciante dalle immani conseguenze. Le vicende di un'intera famiglia, tra incesti e santità, delitti e prostituzione, atrocità e meraviglie, su un fondo che sembra avere la sostanza terribile e raggiante dei sogni.
Un'isola livida e crudele della Nuova Scozia sul finire dell'Ottocento, un giovane accordatore di pianoforti, una tredicenne libanese. I due si amano, e per sposarsi non esitano a fuggire. La loro passione sarà breve e bruciante, immani le conseguenze: giacché sulle loro figlie si abbatterà un destino di colpe indicibili e occulte menzogne che finirà per distruggerle.
«Non serve essere perfetti per diventare eroi.» Per Zelda MacLeish «il mondo è un posto dove le cose che contano di più sono il coraggio e far parte di una tribù, in cui siamo tutti vichinghi che remano insieme al ritmo dello stesso tamburo». Zelda adora i vichinghi: ne conosce a memoria tradizioni e miti, ne ammira il coraggio e la possibilità che offrivano a tutti di diventare eroi di una leggenda. Anche alle donne (le valchirie erano più forti di tutti). Anche alle persone quasi invisibili come lei. Zelda è invisibile perché è diversa, che, come è solita spiegare, «è un modo più carino per dire ritardata». È nata con un disturbo cognitivo per il quale gli altri non la ritengono in grado di decidere per se stessa, anche se ormai ha ventun anni e ha le idee molto chiare sulla vita, che organizza rigorosamente in liste da seguire. A prendersi cura di lei è Gert: il suo fratello, il suo guerriero, l'unica famiglia che le resti. Gert è bravissimo a sopravvivere alle battaglie della vita, ma anche a mettersi nei guai. Così, quando Zelda scopre che il fratello ha trovato un metodo discutibile e pericoloso per guadagnare i soldi necessari a mantenere entrambi, decide di prendere in mano la situazione. Ben presto, si ritroverà alle prese con una sfida che metterà a dura prova il suo coraggio vichingo e si scoprirà disposta a tutto pur di scrivere da sola la sua leggenda. Anche ad andare contro le regole, se si tratta di salvare la sua tribù. "Io sono Zelda" è il primo romanzo di Andrew MacDonald.
Appennino emiliano: dall'alto di uno sperone di roccia, Paese Nuovo sovrasta un lago. Sotto le sue acque si intravedono la chiesa e il campanile di un altro villaggio, Paese Annegato, che venne sommerso quando fu costruita la diga per imbrigliare le acque del fiume Cigolo. Nell'estate del 1930 il dottor Astorre si trasferisce qui come medico condotto. Lo accompagna la figlia Aladina, dieci anni, molto provata dalla perdita della madre, che è nata e cresciuta proprio a Paese Nuovo. Alcuni abitanti li accolgono con affetto: Cleonice, che si occupa della grande casa in cui vanno ad abitare; Tina, la rude ostessa; il Podestà, giovane socialista nominato nonostante il fascismo; il Professore, che conosce i segreti del paese e non svela a nessuno i suoi. Il primo impatto della bambina con la montagna è traumatico: si chiude in se stessa e la madre le manca sempre più. Dialoga con animali domestici; osserva il mondo impenetrabile della quercia secolare che svetta di fronte alla sua finestra; pare sia la sola in grado di aprire la porta della soffitta che custodisce gli oggetti della madre bambina. Fino a quando, di ritorno da una passeggiata, racconta di un concerto di campane sgorgato misteriosamente dalle acque del lago. Il padre, temendo per la sua salute, pensa di tornare in città. Lo dissuade il Professore: Aladina non è la prima a sostenere di aver sentito le campane e, come riporta una storia popolare, potrebbe essere una delle poche privilegiate a possedere "il seme della magia". Tutto cambia quando Aladina incontra Gufo, un bambino solitario come lei che ama scorrazzare per i boschi. Guidata da Gufo e dal Professore, conoscerà la montagna e i suoi misteri, gli animali veri e leggendari che la abitano. Grazie al suo sguardo di bambina, scoprirà, e ci farà scoprire, alcuni dei segreti protetti dal lago o tenuti nascosti da secoli di superstizione. "La bambina del lago" celebra l'immaginazione dei bambini e di tutti coloro che crescendo sono riusciti a conservare il superpotere di guardare oltre la superficie delle cose, di chi crede che al mondo ci sia posto anche per i fenomeni inspiegabili e di chi ogni tanto si concede il lusso di evadere dalle gabbie della razionalità e fare una passeggiata nei territori liberi della fantasia.
Ucciso da una pallottola dell'americano Mr. Smith nel 1987, il questurino Sarti Antonio risorge dalle proprie ceneri, quasi miracolosamente, sette anni dopo. I cinque testi qui riuniti, quattro racconti e un romanzo breve, tutti editi tra 1994 e 2001 su riviste e pubblicazioni ormai irreperibili, segnano appunto il ritorno dell'amatissimo sergente al suo pubblico. L'essere scampato alla P38 di Smith l'ha reso più duro, più diffidente, più smaliziato, più autonomo. Più deciso nell'affrontare i diversi frangenti, più capace di orientarsi con maggiore sicurezza in un mondo che dispiega a ogni passo orrori senza fine. Una nuova forza che, unita al pudico e profondo senso di pietà, all'onestà testarda di voler sempre capire, rendono questo Sarti Antonio "seconda maniera" un uomo più attrezzato per viaggiare lungo i molteplici inferni del presente.
Marcella Carlotti, per gli amici Rasputin, è una scaltra e imprendibile ladra. Mette a segno i suoi colpi a Bologna, rubando vetture di lusso che poi usa per rubare quel che più le interessa: opere d'arte. A indagare sul caso è Sarti Antonio, sergente della questura di Bologna, che si ritrova ad ascoltare le lamentele dell'ultima vittima, Giulio Messini, un imprenditore a cui è stata sottratta una jeep Grand Cherokee. Sarti sospetta di Rasputin da anni ma non è mai riuscito a incastrarla con le mani sul volante; tra i due ormai si è avviata una sorta di gara che somiglia quasi a un gioco di seduzione. Questa volta è proprio lei, però, ad aiutarlo a ritrovare la macchina, perché dopo averla rubata per compiere l'ennesimo furto di opere d'arte, si accorge che nel bagagliaio sono stati nascosti un cadavere e un ingente quantitativo di armi, del tipo utilizzato durante la Seconda guerra mondiale. Sarti è inevitabilmente coinvolto in una catena di misteri che lo porteranno a un doppio inseguimento mozzafiato tra le macerie dell'Aquila. Ombre di guerre passate tornano a rivivere, la voce di un misterioso prigioniero echeggia da una grotta: quale inquietante segreto è raffigurato nel quadro rubato da Rasputin?
Quando Raimondi Cesare, ispettore capo della Questura di Bologna, comincia dicendo: "Sarti Antonio è uno dei nostri più validi collaboratori, un poliziotto del quale ho la massima fiducia e stima", Sarti Antonio, sergente, sa che il seguito della storia sarà una fregatura. Infatti si impantana nella speculazione edilizia, è costretto a vagare nel freddo e nell'umidità delle stupende Valli di Comacchio alla ricerca dell'assassino della donna che doveva proteggere e che gli hanno ammazzato proprio sotto il naso mentre era nascosto, in agguato, nelle botti immerse nell'acqua delle valli... Situazione deprimente! Se non ci fosse una bella ragazza che vuole vederci chiaro e stimola in tutti i modi, leciti e illeciti, Sarti Antonio, sergente, affinché l'aiuti a capire. Che poi la legge trionfi, non è detto.