
"Faccio iniziare la storia della vita di Giuseppe, il primogenito della graziosa e bella Rachele, intorno al 1400 a.C, quando in Egitto regnavano i due più famosi Amenhotep, III e IV, da cui risulta che Giuseppe non era 'realmente' il pronipote dell'uomo che da Charran in Mesopotamia emigrò per primo nelle terre occidentali, perché Abramo era vissuto seicento anni prima, al tempo di Hammurapi, il legislatore. Ciò non impedisce che il grazioso e bel Giuseppe si ritenesse suo pronipote, perché la difficoltà, fonte di grandissimo diletto, consiste nel fatto che io racconto di uomini i quali non sanno precisamente chi sono, e perciò la coscienza del loro 'Io' si fonda molto meno sulla chiara distinzione del punto in cui, tra passato e futuro, si situa la loro esistenza che sulla identità col proprio 'tipo' mitico..." (Thomas Mann)
"Il terzo 'Giuseppe' per il suo contenuto erotico è la parte più romanzesca di un'opera che nella sua totalità richiedeva di fare del romanzo qualcosa di diverso rispetto a quanto s'intende comunemente. La variabilità di questa forma letteraria è sempre stata molto grande. Ma oggi sembra quasi che nell'ambito del romanzo rientri soltanto quel che non è più romanzo. Forse è sempre stato così. Per quanto riguarda 'Giuseppe in Egitto', nonostante tutta la psicologia, si troverà stilizzato in senso mitico anche l'elemento romanzesco-erotico, il che vale specialmente per la satira sessuale di invenzione fiabesca racchiusa nelle figure dei due nani. 'Giuseppe in Egitto' mi appariva senz'ombra di dubbio o quasi il culmine poetico dell'opera, anche per la riabilitazione in senso umano che mi ero proposto, l'umanizzazione della figura della moglie di Potifar, la storia dolorosa della sua passione per il maestro di palazzo cananeo al servizio del marito tale solo di nome." (Thomas Mann)
"'Giuseppe e i suoi fratelli' non è un romanzo sugli Ebrei, ma un canto allegro e serio al tempo stesso che celebra l'uomo e fa discendere la sua benedizione non solo sul pupillo di Giacobbe, trascinato dalla vita a compiere un apprendistato tanto severo quanto splendido, ma sull'umanità stessa. Ho avuto cura di caratterizzare Giuseppe come una natura d'artista ed è certamente una benedizione quale si conviene a un artista quella che egli riceve dal padre. Il fascino umano che emana la condizione di ogni artista consiste in questa doppia benedizione: quella che discende dall'alto e quella dell'abisso; è il fascino dei sensi che si fanno spirito e dello spirito che diviene corpo; è una dote che discende dal fondamento materno della vita, dalla sfera dell'istinto, del sentimento, del sogno, della passione; ed è dote che discende dalla sfera paterna della luce dello spirito, della ragione, dell'intelletto, del giudizio ordinatore." (Thomas Mann)
Nei quattro libri che compongono questo grande e appassionante romanzo del Novecento europeo, la materia biblica dà luogo a un emozionante racconto che accoglie al tempo stesso suggestioni dalla psicologia, dalla storia delle religioni e dal mito. Quale commento, nel volume è compresa, oltre a un ricco e preziosissimo corredo di note che ne chiariscono i riferimenti biblici e culturali, un'ampia sezione che raccoglie scritti manniani non reperibili altrove: riflessioni dell'autore sulla propria opera, nonché le lettere inviate, a partire dal 1934, da Mann a Károly Kerényi, grande studioso del mito e delle religioni, e riguardanti appunto la genesi e l'elaborazione del romanzo. La traduzione è quella, storica, di Bruno Arzeni, accuratamente rivista per questa nuova edizione. Arricchisce il volume un inserto iconografico che presenta immagini tratte dai testi su cui Mann si documentò per la descrizione, assolutamente fedele, di personaggi e luoghi dell'Egitto.
È questo il secondo atto dell'impresa di ritraduzione della narrativa di Mann, avviata nel 2007 dal Meridiano "Romanzi" ("I Buddenbrook" e "Altezza reale"). Con il titolo "La montagna incantata", il capolavoro di Mann, uscito a Berlino nel 1924, venne tradotto in Italia nel 1932 e poi da Ervino Pocar nel 1965. Con questa pubblicazione, il romanzo di Mann - una vera e propria "opera-mondo" - ritorna in libreria in una nuova traduzione corredata da un vasto commento analitico, viatico per penetrarne la complessità anche filosofica. La traduzione di Renata Colorni - traghettatrice dell'opera di Freud presso il pubblico italiano a partire dagli anni Settanta, oltre che traduttrice di numerose e importanti opere della narrativa tedesca - grazie all'attenzione verso i suoi caratteri linguistici distintivi, restituisce al dettato manniano la sua caleidoscopica unicità. La curatela è del germanista Luca Crescenzi, che oltre al commento firma anche una introduzione che si affianca allo scritto dello studioso tedesco Michael Neumann.
Scelti e pubblicati da Mondadori nel 1947, a cura di Lavinia Mazzucchetti, i testi etici e politici raccolti in questo libro furono scritti da Thomas Mann tra il 1922 e il 1945. La silloge si apre con il grande discorso berlinese del 1922 «Della repubblica tedesca» che segna l'approdo di Mann al pensiero democratico, e comprende tra l'altro la lettera al preside dell'università di Bonn che gli aveva tolto la laurea honoris causa, e i cinquantacinque radiomessaggi violentemente antinazisti inviati dall'America al popolo tedesco durante la guerra. Come scrive Giorgio Napolitano nella sua Introduzione, «la riflessione di Mann resta incancellabile - al di là dell'influenza che poté esercitare nel suo Paese prima e dopo essere stato costretto all'esilio -, riflessione che di certo non poté essere tale da salvare la Germania da quindici anni di regressione barbarica. È una lezione che torna ad ammonirci e illuminarci, nelle crisi sociali, culturali e politiche di questo inizio del XXI secolo in Europa».
Il primo grande romanzo di Thomas Mann racconta la storia di una famiglia tedesca dell'Ottocento che dopo anni di prosperità è esposta a una tragica decadenza: le basi di un patrimonio e di una potenza che sembravano incrollabili sono sgretolate da una forza ostinata e segreta. Opera di ispirazione autobiografica, questo romanzo, capolavoro della letteratura europea, esprime compiutamente la concezione estetica e politica dello scrittore tedesco, il suo rimpianto per una mitica e solida borghesia, la coscienza della crisi di un mondo e di valori destinati inesorabilmente a scomparire.
Una Venezia estiva ammorbata da una peste incombente ospita l'inquieto Gustav Aschenbach, famoso scrittore tedesco che ha costruito vita e opera sulla più ostinata fedeltà ai canoni classici dell'etica e dell'estetica. Un sottile impulso lo scuote nel momento in cui compare sulla spiaggia del Lido la spietata bellezza di Tadzio, un ragazzo polacco. Un unico gioco di sguardi, la vergogna della propria decrepitezza, la scelta di imbellettarsi per nasconderla, sono i passi che scandiscono la vicenda. In pieno Novecento, Thomas Mann ha colto e rappresentato la grande cultura borghese in via di dissoluzione, in un'opera emblematica che fonde la perfezione formale con la rappresentazione degli aspetti patologici di quella crisi.
"«La montagna incantata è un fedele, complesso, esauriente ritratto della civiltà occidentale dei primi decenni del Novecento e, nella sua incantata fusione di prosa e poesia, di vastità scientifica e di arte raffinata, è il libro, forse, più grandioso che sia stato scritto nella prima metà del secolo.» Con queste parole, un entusiasta Ervino Pocar concludeva l’introduzione all’edizione della Montagna incantata da lui tradotta nel 1965 e salutata come esemplare e capace di trasmettere appieno lo stile e lo spirito dell’opera. Edizione che è stata poi ripresa nella collana degli Scrittori di tutto il mondo nel 1992 e che da allora ha fatto conoscere e apprezzare ai lettori italiani questo Bildungsroman straordinariamente complesso ambientato in un sanatorio svizzero, il celebre Berghof di Davos.
Quando il protagonista, il giovane Hans Castorp, vi arriva, è il tipico tedesco settentrionale, un solido e rispettabile borghese; ha però le sue curiosità spirituali ed è intellettualmente aperto all’avventura. A contatto con il microcosmo del sanatorio, vero e proprio panorama di tutte le correnti di pensiero dell’epoca, il suo carattere subisce un’evoluzione e un incremento: passa attraverso la malattia (Behrens e Krokowski), l’amore (la signora Chauchat), il razionalismo e la gioia di vivere (Settembrini), il pessimismo irrazionale (Naphta), senza che nessuna di queste posizioni lo converta. Ma in mezzo a tante forze contrastanti, Castorp trova il proprio equilibrio. Nel mondo della «montagna magica» dove il tempo si dissolve e il ritmo narrativo si snoda in sequenze di ore, giorni, mesi e anni resi tutti indistinti dalla routine quotidiana, egli può liberamente crescere. Paradossalmente (l’umorismo di Mann), dopo essere stato convertito alla vita Castorp tornerà alla pianura per perdersi nell’inutile strage della «grande» guerra.
«Il Graal che egli, anche se non lo trova, intuisce nel suo sogno quasi mortale prima di essere trascinato dalla sua altezza nella catastrofe europea», disse Mann, parlando agli studenti di Princeton nel 1939, alla vigilia di un’altra strage, «è l’idea dell’uomo, la concezione di un’umanità futura, passata attraverso la più profonda conoscenza della malattia e della morte. Il Graal è un mistero, ma tale è anche l’umanità: poiché l’uomo stesso è un mistero, e ogni umanità è fondata sul rispetto del mistero umano... Fate il favore di leggere il libro sotto questo angolo visuale: troverete allora che cosa sia il Graal, il sapere, l’iniziazione, quel 'supremo' che non solo l’ingenuo protagonista, ma anche il libro stesso va cercando.»
Un romanzo profetico (il nazismo è lì, in trasparenza) che delinea con crudo e grottesco sarcasmo il ritratto del perfetto suddito tedesco. Il protagonista, Diederich Essling, viene seguito a partire dall'infanzia segnata dalle prussiane frustate del padre fino al trionfo politico e sociale. Tutte le tappe della sua "maturazione" sono delineate e scandite con ritmica ferocia: la vita dissipata e gaglioffa delle associazioni studentesche con annessi duelli, tragiche bevute, vergognosi amorazzi, quella militare (che in sostanza ne è il doppione), l'assunzione di responsabilità nell'azienda paterna (condita di tante piccole e meno piccole malversazioni) e in famiglia (dove si atteggia a capofamiglia retto e irreprensibile)... Un capitolo a parte sono le sue vicende sentimentali, sempre dettate oltre che da una sordida sensualità, da una smania di "crescita" sociale. E poi, sopra tutto: la politica, nella quale si butta con goffaggine stolida ma vincente... Fantastica la conclusione quando, ottenuto il ruolo di conferenziere ufficiale nell'inaugurazione del monumento a Guglielmo II da lui fortemente voluto, la cerimonia viene rovinata da una tremenda tempesta. Tempesta che prefigura la devastante incipiente guerra. Perché, giova ricordarlo, il libro è stato scritto nel 1914 (ma pubblicato solo nel 1918, dopo molte esitazioni dell'editore). Prefazione di Luigi Forte.
In una fredda giornata d'inverno, Hakan von Enke, alto ufficiale di marina ora in pensione, scompare durante la sua abituale passeggiata mattutina a Stoccolma. Un caso che tocca da vicino il commissario Wallander. Von Enke è il futuro suocero di sua figlia Linda, il nonno della sua nipotina, e di recente gli aveva confidato aspetti soprendenti di un dramma politico-militare risalente a più di due decenni prima, quando sottomarini sovietici erano stati avvistati in acque territoriali svedesi. Kurt Wallander è vicino a un grande segreto della storia del dopoguerra. La sua lotta incessante alla ricerca della verità è ora l'impegno di un uomo che sta facendo i conti con la propria vita assediata da ombre minacciose, e che, talvolta deluso dai colleghi e dal sistema, ritrova il calore e gli affetti della sua famiglia. Con questo ultimo episodio che chiude definitivamente la serie poliziesca che l'ha reso celebre in tutto il mondo, Mankell è riuscito per la critica a creare un pezzo di grande letteratura sul tema della vecchiaia rivestendolo abilmente delle spoglie del giallo. Kurt Wallander, come scrisse Le Monde "uno dei più bei personaggi tra i romanzi polizieschi contemporanei", è stato per molti tra le figure più riuscite e affascinanti della narrativa di genere dei nostri giorni, aprendo la strada al fenomeno del giallo dalla Scandinavia.

