
Il corpo di una scrittrice, in apparenza integro eppure danneggiato, diventa lo specchio della fragilità umana e insieme della nostra inarrestabile pulsione di vita. Francesca Mannocchi guarda il mondo attraverso la lente della malattia per rivelare, con una voce letteraria nuda, luminosa, incandescente, tutto ciò che è inconfessabile. Quattro anni fa Francesca Mannocchi scopre di avere una patologia cronica per la quale non esiste cura. È una giornalista che lavora anche in zone di guerra, viaggia in luoghi dove morte e sofferenza sono all'ordine del giorno, ma questa nuova, personale convivenza con l'imponderabile cambia il suo modo di essere madre, figlia, compagna, cittadina. La spinge a indagare sé stessa e gli altri, a scavare nelle pieghe delle relazioni più intime, dei non detti più dolorosi, e a confrontarsi con un corpo diventato d'un tratto nemico. La spinge a domandarsi come crescere suo figlio correndo il rischio di diventare disabile all'improvviso e non potersi quindi occupare di lui come prima. Essere malata l'ha costretta a conoscere il Paese attraverso le maglie della sanità pubblica, e ad abitare una vergogna privata e collettiva che solo attraverso l'onestà senza sconti della letteratura lei ha trovato il coraggio di raccontare.
Francis Sable, secondogenito di un'aristocratica famiglia inglese, è giovane, ricco, brillante e poeta di talento. Perché allora non è felice? Perché la sua vita è percorsa da un'insoddisfazione che i balli, i divertimenti e le vacanze all'estero non riescono a placare? Solo la sorella Cathryn, pittrice di estremo rigore morale e grande spiritualità, sembra capire la sua inquietudine. Ma nel corso di una scalata su quelle montagne che sono la grande passione di entrambi, in Austria con l’amico Johann, una tragedia cambia per sempre le vite di questa “gioventù dorata”. E l’ateo Francis dovrà fare i conti con gli abissi della disperazione e affrontare la sterilità di quella che è stata, finora, la sua vita. In questo romanzo di formazione e conversione Ethel Mannin sviluppa una riflessione toccante e profonda sull’amicizia e sull’ambizione, sulle relazioni tra gli uomini e sul rapporto con Dio. Sullo sfondo l’Europa brillante e fragile tra le due guerre mondiali. Al centro, il dramma di una figura indimenticabile, un moderno Sant’Agostino che, come nella citazione dalle ""Confessioni"" che dà il titolo al libro, arriverà tardi all’incontro con la fede.
In Sardegna, nel paese di Gìtile, al confine di ogni cosa, del male e del bene, della ricchezza e della povertà, della civiltà e della barbarie, don Alvaro Manca, prete più di speranza che di fede, assiste preoccupato allo svolgersi di un piccolo e drammatico intrigo politico-giudiziario. La banalità del male, l’ineluttabile trascorrere della vita, la fragilità degli affetti e il conforto dell’amicizia, fanno da sfondo alla fatica con cui un gruppo di amici cerca di non soccombere alla facile tentazione di sprecare interamente l’esistenza, di affidarla alla rassegnazione o all’odio o alla violenza, come talvolta vorrebbe fare il professor Antonio Carreras, amico-rivale di don Alvaro. Nelle strade fredde di una piccola comunità che ribolle di attese mai compiute, agiscono, come attori che recitano una parte scritta per loro dal destino o dal temperamento, altri personaggi: la vedova Sanna-Porcu, il Sindaco, il disperato e vagabondo Kunfu, il terribile Mario Casula, ma soprattutto gli affetti di un circuito di persone che si sente assediato dal nulla e reagisce coltivando sacralmente la speranza di un compimento che dia senso alle cose.
Lo scambio epistolare tra i due fratelli Mann, testimonianza del legame fra la più singolare e illustre coppia di fratelli scrittori dell'età moderna, è uno strumento fondamentale per approfondire e analizzare il complesso rapporto che ha legato Thomas a Heinrich. Uniti dalla vocazione di scrittori, i Mann saranno sempre divisi dal diverso orientamento politico, di cui le lettere rispecchiano le varie fasi. Il conservatorismo apolitico di Thomas da una parte, l'evoluzione in senso democratico di Heinrich dall'altra, si fronteggiano negli anni 1914-18. Gli avvenimenti storici successivi faranno riavvicinare e convergere le loro strade, nella lotta contro il comune nemico.
Scritto nel 1903, il racconto è la storia del lento pervenire del giovane Kröger alla coscienza della propria diversità dai coetanei. In una condizione di totale isolamento la sua sensibilità si dibatte nell'antinomia tra origini borghesi e attrazione per l'arte. Il contrasto fra arte-malattia da un lato e borghesia-normalità dall'altro - matrice della poetica di Thomas Mann - si manifesta nel silenzioso idillio con Ingeborg Holm e nell'incompresa amicizia per Hans Hansen: le due figure che costituiranno per sempre i limiti della solitudine e della gelosia di Tonio. Questo difficile equilibrio viene vissuto con drammatica inquietudine tra Lubecca, dove il giovane scrittore è nato e si è formato, e Monaco, dove diventerà celebre, senza sedare del tutto le proprie angosce.
Questo volume avvia l'opera di traduzione, a distanza di cinquant'anni, di tutta la narrativa di Thomas Mann (a eccezione di "Giuseppe e i suoi fratelli", ripubblicato nei Meridiani nel 2000). Autore storico della casa editrice, Mann era infatti tutto presente nella collana dei Classici contemporanei stranieri in volumi curati da Lavinia Mazzucchetti e risalenti agli anni Cinquanta, con traduzioni perciò assai invecchiate. L'edizione dei Meridiani che con questo volume si avvia occuperà quattro volumi ed è aperta da un saggio introduttivo di Marcel Reich-Ranicki, critico e intellettuale tedesco di grande fama. Essa prevede il coinvolgimento dei migliori traduttori disponibili; tutti i romanzi hanno introduzioni specifiche firmate da studiosi italiani o stranieri e un ricco commento, affidato a Luca Crescenzi. In questo primo volume, la traduzione dei "Buddenbrook" (il romanzo che nel 1905 segna l'esordio narrativo di Mann e immediatamente lo segnala come scrittore di straordinario talento) è di Silvia Bortoli; quella di "Altezza Reale" (fiaba morale del 1909, sul potere e sulle sue rappresentazioni) di Margherita Carbonaro.
"In 'Giuseppe e i suoi fratelli' si è voluto vedere un romanzo sugli Ebrei, anzi per gli Ebrei. La scelta dell'argomento veterotestamentario non fu certo un caso. Essa era senza dubbio in segreta, testarda e polemica relazione con tendenze del tempo che mi ripugnavano visceralmente, con il razzismo giunto in Germania a livelli inauditi, che costituisce una componente fondamentale del volgare mito fascista. Scrivere un romanzo che è una sorta di monumento allo spirito ebraico era attuale, proprio perché appariva inattuale. Ed è vero, il mio racconto si attiene con una fedeltà sempre per metà scherzosa ai dati della Genesi e spesso va letto come esegesi e amplificazione della Torah, come un midrash rabbinico." (Thomas Mann)
"Faccio iniziare la storia della vita di Giuseppe, il primogenito della graziosa e bella Rachele, intorno al 1400 a.C, quando in Egitto regnavano i due più famosi Amenhotep, III e IV, da cui risulta che Giuseppe non era 'realmente' il pronipote dell'uomo che da Charran in Mesopotamia emigrò per primo nelle terre occidentali, perché Abramo era vissuto seicento anni prima, al tempo di Hammurapi, il legislatore. Ciò non impedisce che il grazioso e bel Giuseppe si ritenesse suo pronipote, perché la difficoltà, fonte di grandissimo diletto, consiste nel fatto che io racconto di uomini i quali non sanno precisamente chi sono, e perciò la coscienza del loro 'Io' si fonda molto meno sulla chiara distinzione del punto in cui, tra passato e futuro, si situa la loro esistenza che sulla identità col proprio 'tipo' mitico..." (Thomas Mann)
"Il terzo 'Giuseppe' per il suo contenuto erotico è la parte più romanzesca di un'opera che nella sua totalità richiedeva di fare del romanzo qualcosa di diverso rispetto a quanto s'intende comunemente. La variabilità di questa forma letteraria è sempre stata molto grande. Ma oggi sembra quasi che nell'ambito del romanzo rientri soltanto quel che non è più romanzo. Forse è sempre stato così. Per quanto riguarda 'Giuseppe in Egitto', nonostante tutta la psicologia, si troverà stilizzato in senso mitico anche l'elemento romanzesco-erotico, il che vale specialmente per la satira sessuale di invenzione fiabesca racchiusa nelle figure dei due nani. 'Giuseppe in Egitto' mi appariva senz'ombra di dubbio o quasi il culmine poetico dell'opera, anche per la riabilitazione in senso umano che mi ero proposto, l'umanizzazione della figura della moglie di Potifar, la storia dolorosa della sua passione per il maestro di palazzo cananeo al servizio del marito tale solo di nome." (Thomas Mann)
"'Giuseppe e i suoi fratelli' non è un romanzo sugli Ebrei, ma un canto allegro e serio al tempo stesso che celebra l'uomo e fa discendere la sua benedizione non solo sul pupillo di Giacobbe, trascinato dalla vita a compiere un apprendistato tanto severo quanto splendido, ma sull'umanità stessa. Ho avuto cura di caratterizzare Giuseppe come una natura d'artista ed è certamente una benedizione quale si conviene a un artista quella che egli riceve dal padre. Il fascino umano che emana la condizione di ogni artista consiste in questa doppia benedizione: quella che discende dall'alto e quella dell'abisso; è il fascino dei sensi che si fanno spirito e dello spirito che diviene corpo; è una dote che discende dal fondamento materno della vita, dalla sfera dell'istinto, del sentimento, del sogno, della passione; ed è dote che discende dalla sfera paterna della luce dello spirito, della ragione, dell'intelletto, del giudizio ordinatore." (Thomas Mann)
Nei quattro libri che compongono questo grande e appassionante romanzo del Novecento europeo, la materia biblica dà luogo a un emozionante racconto che accoglie al tempo stesso suggestioni dalla psicologia, dalla storia delle religioni e dal mito. Quale commento, nel volume è compresa, oltre a un ricco e preziosissimo corredo di note che ne chiariscono i riferimenti biblici e culturali, un'ampia sezione che raccoglie scritti manniani non reperibili altrove: riflessioni dell'autore sulla propria opera, nonché le lettere inviate, a partire dal 1934, da Mann a Károly Kerényi, grande studioso del mito e delle religioni, e riguardanti appunto la genesi e l'elaborazione del romanzo. La traduzione è quella, storica, di Bruno Arzeni, accuratamente rivista per questa nuova edizione. Arricchisce il volume un inserto iconografico che presenta immagini tratte dai testi su cui Mann si documentò per la descrizione, assolutamente fedele, di personaggi e luoghi dell'Egitto.